L’esotico è un luogo culturale

Il video sul coreografo e artista cinese Shen Wei dura pochi minuti. Elisa Guzzo Vaccarino lo commenta per aprire la riflessione sul più ampio rapporto tra l’europeo e il non europeo/esotico, tematica malleabile che attraverso le esigenze sociali e culturali delle varie epoche è diventata una sorta di mitologia. ‘Esotico’ è l’alone suggestivo esercitato dai paesi lontani, specialmente tropicali e orientali, bottino succulento di un Occidente rampante e colonialista. Vaccarino cita giustamente Bayadère, balletto tardo-ottocentesco ambientato in un’India deformata dal gusto europeo, in cui danzatrici sacre si muovono a tempo di valzer. «Oggi», dice Vaccarino, «il fascino dell’esotico non esiste più», nel senso che ormai ogni cultura ha un suo esotico da captare e rielaborare, e l’univocità occidentale del fenomeno è andata sgretolandosi. Proprio questo è il fuoco del dibattito di sabato 16 maggio, ovvero come la danza sia uno dei primi e più diretti media per accogliere senza troppi scossoni il primo impatto di culture che si toccano.

Foto di Alvise Nicoletti

Foto di Alvise Nicoletti

La barriera culturale tra l’Europa e il suo ‘oltre’ ha bisogno di essere continuamente frizionata per poter essere sensibile agli stimoli. In questo contesto si inserisce il lavoro di Shen Wei, ex danzatore dell’Opera di Pechino, transfuga a New York dove fonda la propria compagnia, la Shen Wei Dance Arts, e solo in seguito riabilitato dalla madre Cina.

Mentre Vaccarino e Ismael Ivo spiegano il ruolo della danza nei crocevia culturali come uno dei primi spazi occupati dal concetto di identità multiple (vedi Akram Khan, Sidi Larbi, Saburo Teshigawara), i ballerini dell’Arsenale della Danza occupano silenziosamente il palco, invitati da Ivo. Si scaldano lentamente, vestiti, come al solito, con i loro abiti di prova. Tutto è a vista. Segue un’improvvisazione, studiata dai danzatori nelle due settimane precedenti con la coreografa turca Geyvan McMillen, al cui centro ruota il tema dell’identità: “Chi sono io?”, esplorata da ciascuno dei ballerini in cinque diverse forme. Non c’è musica, solo i corpi-mappa dei ragazzi che tracciano le loro linee emotive e caratteriali. Ma la questione dell’interculturalità resta prioritaria e attuale, pulsando nelle orecchie di un pubblico chiamato a mettersi un po’ in discussione: se la danza sceglie di saltare qualche siepe nella corsa verso l’integrazione culturale, anche il pubblico deve mettersi in testa l’idea di sgambettare, ogni tanto… per non rimanere indietro.

Agnese Cesari

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