Parole parole parole

Una tazza di mare in tempesta

La drammaturgia – intesa, in senso ampio, come scrittura per la performance – ha vissuto stagioni di declinazione estrema nella seconda metà del secolo scorso: prima rimossa e superata, ma anche discussa, ripercorsa, riproposta, ricontestualizzata, la scrittura per il teatro ha perso autonomia e, da allora, vive sempre aggettivata. Si incontrano infatti, oltre la celeberrima “scrittura scenica” che ha fatto scuola, teorie del testo che si propongono in relazione alla drammaturgia visiva e alla drammaturgia degli oggetti, drammaturgia d’attore, dello spettatore, dello spazio, di scena, e via così, come a comporre un panorama animato da singoli percorsi di scrittura ad hoc, indipendenti e completi. Tanti quanti sono gli elementi immaginabili che compongono uno spettacolo. Nelle sue tante declinazioni possibili, la pratica della scrittura teatrale si è dunque applicata, in modi differenti, alla scena degli ultimi cinquant’anni, mentre l’elemento testuale tout court perdeva progressivamente d’attenzione. A tutt’oggi è difficile saper dire quante versioni, aggettivate o meno, ne esistano e, soprattutto, in che modo coesistano nell’unicum della performance.
Da qualche tempo, invece, si assiste ad accenni di ritorno alla testualità teatrale intesa in senso “convenzionale” (si fa per dire, avendo la drammaturgia, appunto, attraversato e assorbito periodi di molteplice restaurazione e ricreazione). Artisti che si erano distinti per percorsi di negazione della composizione drammatica tout court si rivelano, in tempi recenti, attraverso una riscoperta e un riavvicinamento alla dimensione testuale; mentre le avanguardie della regia (o di quel che ne rimane) instaurano vivaci collaborazioni con autori contemporanei, teatrali e non, le giovani compagnie tentano percorsi di composizione autonoma che certo ha poco a che fare con la testualità tradizionalmente intesa, ma si distingue comunque per un’attenzione particolare ai paradigmi testuali, al discorso e al parlato. Il teatro di fine millennio, in Italia, è popolato dagli anni d’oro di In-Yer-Face-Theatre, dalla nuova scena iberica di Rodrigo Garcìa, Rafael Spregelburd, Juan Mayorga e dalla riscoperta della drammaturgia francese (Koltès e Lagarce, ma anche Camus e Genet). E per quanto riguarda le creazioni strettamente nazionali, è necessario ricordare che alcuni dei percorsi più interessanti e vivaci della scena degli ultimi vent’anni appartengono ad artisti che hanno fatto della ricerca testuale il nucleo del proprio lavoro. Certo i testi di Emma Dante, come quelli di tanti altri nuovi gruppi, incontrano le improvvisazioni degli attori e passano attraverso la centrifuga della messinscena, prima di approdare alla forma compiuta; e quelli di Ascanio Celestini, fra gli altri, rimbalzano nelle parole delle tante persone che l’autore-attore ha incontrato durante il suo percorso creativo. Ma, pur secondo modalità e passaggi differenti e originali, il risultato (sulla scena e sulla pagina) è quello di un ritorno di attenzione per la ricerca drammaturgica, un affondamento deciso nella strutturazione del discorso e nella potenza della parola, per lungo tempo marginalizzata dai palcoscenici d’Europa.

Gioco di mano

Tracce e Intrecci, titolo di questa edizione di Estate a Radicondoli, può diventare esemplare rispetto alla varietà che popola la scena contemporanea, ma anche delle principali modalità di approccio alla scrittura nel teatro d’oggi. Gli spettacoli in programma  si collocano all’interno di questo panorama di “rinascimento testuale”: ogni creazione si caratterizza per un differente approccio alla questione della composizione drammaturgica e può considerarsi rappresentativa di una linea di azione che scuote la teatralità nazionale. Si va – per citare soltanto i lavori che incontrerà Il Tamburo di Kattrin nei suoi giorni di permanenza radicondolese – da progetti che hanno origine da grandi classici della cultura occidentale e ne verificano, sulla scena, l’incontro con l’attore, con l’umano e con l’individuo (come Una tazza di mare in tempesta di Roberto Abbiati che è composto a partire da Moby Dick, Coco di Dario Marconcini dall’ultimo testo, incompiuto, di Koltès,  La stanza di Pinter proposto da Teatrino Giullare, il Doctor Frankenstein di Koreja e l’Enrico 4 di Michele di Mauro) a scritture che tentano di dare voce e volto all’Italia in cui si vive oggi, andandone a cercare origini e contesti (Quanto mi piace uccidere… di Virginio Liberti, Gesuino di Simone Nebbia, L’Italia s’è desta di Stefano Massini). Altre sperimentazioni drammaturgiche si sviluppano intorno all’esplorazione dell’elemento autobiografico, come momento sia d’innesco che di verifica della storia: Carrozzeria Orfeo, con Gioco di mano, si impegna nel recupero di piccoli frammenti di vita troppo spesso risucchiati dalla Grande Storia, portando così in luce le

Coco

strategie individuali che hanno costruito materialmente le vicende e i fatti che tutti conoscono soltanto per astrazioni; Alessandro Benvenuti sperimenta possibilità inedite per l’affondo biografico in scena: Me medesimo, in cui il protagonista è sospeso e ripreso nelle trame del se stesso attore, «non è uno spettacolo ma un pezzo di vita da vivere in palcoscenico»; Teatri Divaganti, nell’anno dei Mondiali, indaga l’umano attraverso il gioco del calcio, che è parte della biografia di Andrea Mitri, autore e protagonista dello spettacolo. Infine la presenza, di alcuni dei più interessanti autori teatrali italiani, come il già citato Stefano Massini, ma anche l’ultimo lavoro di Lucia Calamaro (L’origine del mondo) e Passo di Ambra Senatore, autrice la cui scrittura per la danza si è rivelata uno dei percorsi creativi più interessanti della scena contemporanea. Le diverse strategie messe in atto e i percorsi di sperimentazione esplorati si esprimono in schemi compositivi (ma anche emotivi) differenti, che incarnano angolature personali, approcci, singole esperienze dei tentativi di dare forma al materiale di partenza. Nella varietà di forme, ragioni e impatti, si può accennare a una linea comune, che accoglie anche diversi linguaggi (prosa e narrazione, ma anche danza, musica, romanzo e, perché no, calcio) ed è fortemente rappresentativa di quello che sta accadendo oggi su (e dietro) i palcoscenici italiani: si tratta di esperimenti testuali che rivendicano un pregnante e particolare rapporto con la realtà (artistica e non) da cui provengono, esemplare nei tentativi di incastonare piccolissime biografie nei vortici e nei monumenti del panorama socio-politico contemporaneo. Sono scritture che generano spettacoli in cui il processo di creazione è reso concreto, materiale e percepibile e che trovano il proprio fine nel rapporto col pubblico, nell’esplorazione della comunità e nella costruzione di una prossimità o solidarietà umane. Nuovi percorsi di una scrittura, dunque, che torna alla ribalta, collocandosi con forza fra il mondo che la precede e la origina e la realtà della scena e della platea destinata a seguirla.

Roberta Ferraresi

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