Intervista alla Generazione Scenario 2013

 

Mio figlio era come_8piccola M.e.d.e.a_7piccola W (prova di resistenza)_piccola trenofermo_6piccola

Nel 2009 Codice Ivan, Anagoor, Marta Cuscunà e Odemà. Nel 2011 Matteo Latino, foscarini:nardin:dagostin, Carullo-Minasi, ReSpirale Teatro. Solo per citare alcuni degli artisti che hanno composto le precedenti Generazioni Scenario e che abbiamo incontrato negli scorsi anni (intervista a Generazione Scenario 20092011 #12011 #2). La settima edizione di B.Motion Teatro ospita i vincitori della nuova Generazione Scenario; per l’occasione riproponiamo un format breve, domande dirette per risposte veloci. Non un ritratto dell’artista, né un racconto della messa in scena. Pennellate piuttosto, materiche o astratte, incisive o poetiche. Lavoro, nordest, dialetto nelle parole dei Fratelli Dalla Via, Marta e Diego, che firmano e interpretano Mio figlio era come un padre per me, vincitore del Premio Scenario. Rabbia e terra per Terry Paternoster, che firma e dirige gli attori del Collettivo InternoEnki in M.E.D.E.A. Big Oil, vincitore del Premio Ustica. Popolo, miseria, barricata in W (prova di resistenza) di e con Beatrice Baruffini, che ha ricevuto la Segnalazione Speciale. Il sud, la provincia, il branco per Dario Aita, ideatore e interprete di treno fermo a- Katzelmacher della compagnia nO (Dance first. Think later).

Il primo spettacolo visto?
Marta Dalla Via: Una rappresentazione de I gemelli veneziani, con un unico attore che riusciva a fare entrambi i personaggi.
Terry Paternoster – Collettivo InternoEnki: Un Don Chisciotte, all’età di 13 anni.
Beatrice Baruffini: Uno spettacolo sull’Iliade, con marionette di legno su una collina di sabbia. Avrò avuto 5 o 6 anni.
Dario Aita – nO (Dance first. Think later): Un Aspettando Godot, del quale non ricordo il regista.

E il primo fatto?
Marta Dalla Via: Romeo è altrove, che ho scritto quando ho conosciuto quello che poi è diventato mio marito.
Diego Dalla Via: Piccolo mondo alpino.
Terry Paternoster: Le serve di Jean Genet.
Beatrice Baruffini:  Odisseo col Teatro del Lemming di Rovigo.
Dario Aita: Aspettando Godot, come regista e attore.

In una frase cos’è il vostro teatro? E cosa non è?
Marta Dalla Via: È autentico, fatto in casa. Non è artificiale.
Diego Dalla Via: Artigianale. Non è un modo per affermare delle verità.
Terry Paternoster: Un teatro incivile, che vuole andare controcorrente, che vuole dimostrare con un gesto politico che si può andare in scena in tanti, contro un sistema che ci vuole soli e deboli. Non è banale, non è intrattenimento.
Beatrice Baruffini: Ho tre parole per definirlo: è poetico, politico, popolare. Io le chiamo le 3 “p” del mio teatro. Non è un muro per il pubblico. Non è indecifrabile.
Dario Aita: Il nostro teatro è corpo che diventa voce. Non è finzione.

Una o più immagini del vostro lavoro?
Marta Dalla Via: La seggiovia con due sciatori che non vogliono scendere. I nostri lavori sono sospesi, il quotidiano convive con un mondo parallelo dove è tutto alterato.
Diego Dalla Via: Penso anche io a un’immagine che non è dello spettacolo: io e Marta che trasportiamo l’attrezzatura da sci a Milano. Siamo come delle chiocciole, con la casa sulla schiena.
Terry Paternoster: Una Basilicata stroncata dalle trivellazioni. Una Basilicata debole. Una Basilicata che ha tante bellezze e tanta cultura, non solo popolare. Una Basilicata che deve combattere una mentalità ancora troppo radicata nel “servaggio” di un tempo.
Beatrice Baruffini: La barricata.
Dario Aita: nove ragazzi di una provincia del sud con caschi luminosi sulla testa.

Quali sono stati i materiali di partenza?
Marta Dalla Via: Ho iniziato a sviluppare questo progetto in Finlandia, uno Stato in cui il suicidio è molto sentito come tema e che mi affascinava molto. Ho visto inoltre molti film di Aki Kaurismäki, tra cui Ho affittato un killer. Un altro materiale è stato La proprietà privata non è più un furto di Elio Petri, che si chiude con la frase di un anziano sorridente, sospeso sull’altalena: «mio figlio era come un padre per me».
Diego Dalla Via: Abbiamo utilizzato anche L’ingorgo, un libro di Giorgio Triani, che parla di come sopravvivere all’abbondanza.
Terry Paternoster: Un lavoro sul campo che si divide in due tempi: nel 2011 sono stata in Basilicata, perché conoscevo il problema ma non ero mai stata a contatto con le persone di Villa d’Agri, Digiano, dove c’è una grossa produzione di petrolio. Poi ho cominciato a scrivere: avevo già in mente il parallelismo con Medea, la madre che uccide i suoi figli perché tradita dall’uomo, dallo straniero. Il secondo tempo viene nel 2012, con il coinvolgimento del Collettivo InternoEnki per approfondire il tema – nessuno di loro è lucano – e per far loro sporcare le mani.
Beatrice Baruffini: Tanti libri e le interviste dei superstiti delle barricate di Parma del 1922: sono state fatte nell’82 e non esistono in formato di file, sono state sbobinate con la macchina da scrivere. Sono andata in archivio – ho cominciato due anni fa – e le ho lette tutte.
Dario Aita: Il testo di partenza è stato Katzelmacher di Fassbinder. Abbiamo preso questo come espediente e ci siamo lasciati contaminare da tutto il resto. Io e Elena Gigliotti portiamo del materiale che viene condiviso con gli attori e messo in relazione al loro vissuto, ai personaggi del loro quotidiano e della loro memoria.

Quali sono gli strumenti del tuo lavoro?
Diego Dalla Via: La lingua e il vissuto del territorio, e delle persone che ci circondano.
Marta Dalla Via: Gli altri, chi vive intorno a noi.
Terry Paternoster: Interviste e lavoro sul campo. Abbiamo cercato di far camminare parallelamente l’antropologia e la ricerca: il lavoro sul campo viene poi rielaborato drammaturgicamente in una testualità che lascia allo spettatore la possibilità di creare la propria cronologia e la propria regia.
Beatrice Baruffini: La materia: il mio è un teatro materiale, di materiale fragile – perché sono mattoni forati – e resistente, perché è sulla Resistenza. Tanti gli oggetti che mi influenzano nella scrittura, che è un’altra cosa necessaria nel mio lavoro. E l’improvvisazione: costruisco a partire da quello che c’è; non lavoro molto fuori dal palco.
Dario Aita: La musica e il nostro corpo.

Una citazione dello spettacolo che sia rappresentativa del lavoro:
Fratelli Dalla Via: «Noi altri semo la sua eredità».
Terry Paternoster: «Qua i politici fanno i politici e i petrolieri i petrolieri, e nuj?» «E nuje p’ mó accuglimm’ i p’mmudur’»
Beatrice Baruffini: La voce fuori campo che all’inizio dice: «Capita raramente che un intero gruppo di mattoni forati riesca a resistere a un carico studiato apposta per sgretolarli. Quando questo succede, è una rivoluzione».
Dario Aita: «Simme venuti ca’ ppe fa’ ammuina» che è una sorta di confusione, di baccano, ma anche di movimento ed energia fatta di corpi e voci.

Il prossimo passo?
Marta Dalla Via: Scrivere. Abbiamo abbastanza chiara qual è la struttura ma abbiamo un po’ un conflitto sul finale (sorride, ndr). Il prossimo passo è finirlo.
Terry Paternoster: Allungare lo spettacolo. Ho iniziato a scrivere e sono a buon punto, però non sono ancora soddisfatta del risultato. Ancora per un mese continuerò a lavorare sul testo e poi da fine settembre torneremo alla messinscena.
Beatrice Baruffini: Ritornare con i miei mattoni in una sala teatrale e mettere insieme tutto il materiale che ho già raccolto. E costruire, a metà tra l’artista e il muratore.
Dario Aita: Completare questo studio.

È stato un processo creativo collettivo o vi è stata una divisione di ruoli?
Marta Dalla Via: Le responsabilità sono equamente divise, è assolutamente collettivo, sono due teste e quattro mani.
Terry Paternoster: È un processo che comincia da una necessità personale di raccontare la storia. Continua come lavoro collettivo in cui ognuno diventa responsabile e si ritaglia naturalmente un proprio ruolo.
Beatrice Baruffini: È stato un processo creativo di assoluta solitudine. Difficile, molto difficile, perché ho avuto continui dubbi soprattutto dalla Semifinale alla Finale: avevo avuto dei consigli da parte della giuria sul tipo di lavoro e volevo provare a seguirli da sola, pur avendo capito che potevo chiedere aiuto a qualcuno. Ho voluto fare di testa mia. Poi è andata benissimo, ma è stato un processo di tanta, tantissima solitudine.
Dario Aita: C’è stata una divisione di ruoli e, allo stesso tempo, una concertazione collettiva. Ognuno mette del suo secondo le proprie specificità: io mi occupo maggiormente della recitazione, Elena dei movimenti scenici, Flavio del coro. E poi il lavoro si fonda sull’improvvisazione, rendendo certamente collettiva la creazione.

Le tappe del Premio Scenario hanno cambiato il processo creativo?
Diego Dalla Via: Le tappe hanno strutturato il lavoro e lo hanno fatto progredire. Mi auguro che questo aspetto ci aiuti a focalizzare i passi verso il debutto. Importante è stato il confronto con gli altri finalisti. Stare insieme, vedere i lavori di tutti, capire quali sono i punti di contatto o meno, tutto questo ci ha consentito di capire meglio il nostro progetto.
Terry Paternoster: Sono occasioni per portare ad evoluzione la riflessione sull’argomento, ogni tappa ci dà qualcosa in più. Anche nel rapporto con il pubblico.
Beatrice Baruffini: Molto. Sempre, dai cinque minuti ai venti della Semifinale e poi della Finale: ho cambiato molto il lavoro, cercando ogni volta di ascoltare i consigli, ovviamente filtrandoli.
Dario Aita: I colloqui con le commissioni sono stati molto utili perché i loro consigli hanno influenzato positivamente il percorso. Non hanno cambiato il processo creativo ma piuttosto è il lavoro che continua a mutare, anche qui a Bassano, ogni volta che riprendiamo lo spettacolo torniamo a lavorarci, è sempre in evoluzione.

*La redazione di b-stage 2013 è composta da Elena Conti, Roberta Ferraresi, Rossella Porcheddu, Carlotta Tringali 

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