Ballata della semplicità perduta

Recensione di La madre dei gatti – Teatro Tascabile di Bergamo

foto di Andrea Cravotta

Un teatro semplice, fatto di pochi elementi: un siparietto mobile, strumenti musicali e una scena che si compone e scompone, seguendo il movimento dei tre attori. Uno spettacolo di canzoni e ballate popolari riportate in un dialetto, quello milanese, che parla di gente della strada, di malaffari, di un’umanità bassa, ma viva. Il Teatro Tascabile di Bergamo porta al festival di Padova La madre dei gatti, opera che si sviluppa tra le osterie dormienti milanesi, tra ubriachi e vecchie pazze, bordelli e cantastorie. Spazi e personaggi vengono rievocati tramite i testi di Giovanni Barrella, Ivan Della Mea, Dario Fo, Alda Merini e Carlo Porta, storici lombardi che si sono occupati del folclore popolare, ponendo la loro attenzione sugli istinti umani, sulla rabbia di chi ha perso tutto e cerca di sopravvivere, aggrappandosi a una bestemmia leggera, detta sottovoce.

I bravissimi Tiziana Barbiero, Luigia Calcaterra e Alessandro Rigoletti si alternano nel suonare fisarmonica, chitarra, tamburo, violino e tromba; cantano e ballano dando vita a piccoli quadretti di storie intrecciate tra loro, che iniziano con un brindisi a un Dio ingiusto e terminano con una circolarità ritrovata, nel bicchiere di vino bevuto e l’ultima goccia versata a terra. L’ambientazione evocata attraverso la poesia della Merini, “gli anfratti bui delle osterie”, è riprodotta attraverso l’uso di un semplice tavolo, un calice di vino e una donna lì seduta: riviene in mente il quadro di Degas, l’Absinthe, per lo sguardo assente dell’attrice, bevitrice solitaria. Una fioca illuminazione fa emergere dal buio una vecchia malinconica che canta il suo amore sciupato e ormai perduto, rompendo un silenzio tombale, mentre nella scena successiva tre cantori raccontano vivacemente di un miracolo, avvenuto in un bordello. Di una fanciullesca piacevolezza la scena proposta durante la canzone El me gatt, scritta da Della Mea e qui cantata da Rigoletti: piccole marionette di cartone mimano il crudo testo della canzone, riuscendo a ricreare una poetica visione della storia.

foto di Andrea Cravotta

foto di Andrea Cravotta

Perfetta la scelta di interpretare quasi tutto lo spettacolo in dialetto: solo tramite questo linguaggio, vivo e non fittizio, si possono scandagliare le testoriane ‘viscere dell’esistenza’, avvicinandosi al mondo proposto da questi personaggi. Anche chi non conosce il dialetto milanese riesce ad apprezzare il lavoro: gli attori sono infatti molto abili nel restituire un significato comprensibile a tutti, presentato attraverso la gestualità del corpo e l’intonazione vocale. Questo si può notare soprattutto nel monologo finale, dove la Barbiero interpreta il personaggio della mamma di gatt; la donna alterna momenti di dolcezza a stati di pura rabbia per narrare la sua storia: rinchiusa in un manicomio, dopo aver perso il suo bimbo appena dato alla luce, le viene concesso di essere solo madre dei gatti.

Dedicato a Ivan Della Mea, recentemente scomparso, La madre dei gatti alterna divertimento a momenti di estrema drammaticità: basta questa sua semplicità – oggi spesso abbandonata – di un teatro che si spoglia dei suoi ornamenti, per ritornare al luogo originario di incontro tra persone e storie straordinarie.

Visto al Teatro delle Maddalene, Padova

Carlotta Tringali

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *