Dubbi dimensionali

Recensione di Flatlandia – lettura drammatica e musicale di Chiara Guidi, Socìetas Raffaello Sanzio
di Chiara Guidi

Chiara Guidi, foto di Andrea Cravotta

Chiara Guidi, foto di Andrea Cravotta

In un luogo come i Bastioni Santa Croce, in cui lo spazio trasmette forte la sua tridimensionalità, stupisce ritrovarsi ad ascoltare il racconto di un paese bidimensionale come quello di Flatlandia, mondo inventato nel 1882 dal reverendo e pedagogo Edwin A. Abbott  e oggi  presentato, in prima regionale, da Chiara Guidi, fondatrice della Societas Raffaelo Sanzio.
L’attrice quasi nascosta dalla scrivania che troneggia al centro del palco, incanta lo spettatore con una lettura su universi altri, dalle diverse concezioni di spazio: dal Paese del Punto, a quello della Linea, a quello del Piano, su fino all’ancora ipotetica quarta dimensione. La narrazione è resa viva e vibrante dal continuo fluire di immagini di varia natura.
Immagini sonore di voce umana, che diventa molteplicità di voci, fatte sottili come le figure geometriche del testo, acute per gli esseri-segmento, o che si scoprono corpose quando escono dal  solido del “Maestro sfera”, venuto dalla Spacelandia per rivelare al protagonista i misteri del mondo a tre dimensioni.
Ma la voce è anche parole, parole interrotte, ripetute, mangiate, fino a esprimere, nell’abbassamento del volume, la perdita delle certezze del proprio universo. Grida, sussurri, che si confondono nelle trame musicali di frammenti di opere liriche, di rumori di oggetti rotolanti nei cassetti della scrivania, di ticchettii di metronomo combinati con musiche ad alto volume che scandiscono e accelerano il ritmo dell’onirica conversazione tra il narratore e il re di Linelandia, il Regno delle Linee Rette.
L’oscurità dello spazio è rischiarata da semplici oggetti di luce: fogli luminosi, sfere, cubi colorati, echi concreti di visioni di mondi difficili da immaginare, giochi evanescenti di realtà continuamente messe in dubbio dall’esistenza di altre realtà. La creazione così rigorosa di un mondo bidimensionale scardina le fondamenta della percezione umana: se un paese piatto appare possibile e così straordinariamente razionale, qual è il valore di un corpo? Solo immaginandoci come esseri percipienti da un nuovo punto di vista, quello dell’occhio all’altezza di un piano di tavolino, riusciamo ad entrare in un’alterità che ci rivela a noi stessi.
Ed ecco che del nostro mondo non rimane che la parte più mentale, più piatta: le parole, veicoli di pensieri, che sembrano scintillare nel loro ultimo bagliore di precisione logica, prima di svanire nel fumo del vuoto, portatore di dubbio e del potere nascosto del non detto.
Se, come ha affermato Romeo Castellucci, altro fondatore della Socìetas, la bellezza si può liberare “solo in un incontro su terreno comune tra l’umano e il disumano”, Flatlandia ha sicuramente la forza di rivelarla, in tutta la sua fragilità e potenza.

Visto a Bastione Santa Croce, Padova

Ilaria Faletto

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