Il MAXXI danza per Sasha Waltz

Recensione a Dialoge 09 – MAXXI. Deconstruction I di Sasha Waltz & Guests

 foto di S.Bolesch

foto di S.Bolesch

Un’architettura dalle forme fluide ed eleganti incontra la leggerezza e la sinuosità di corpi danzanti, in un dialogo muto ma ben visibile all’occhio dello spettatore: il MAXXI – nuovo museo delle arti del XXI secolo di Roma, progettato da Zaha Hadid – apre i suoi spazi vuoti alla compagnia Sasha Waltz & Guests emozionando con frammenti di opere d’arte in movimento. Non è la prima volta che la coreografa berlinese interroga con il suo teatro-danza un’archiscultura: dopo il Dialoge messo in scena al Museo ebraico di Berlino e quello più recente, realizzato sempre nella capitale tedesca, al Neues Museum restaurato da David Chipperfield, la compagnia ritorna con Dialoge 09 – MAXXI. Deconstruction I in uno spazio complesso che ricorda, per i materiali impiegati e per la sua struttura labirintica, proprio il museo ebraico di Daniel Libeskind.

Non si rimane seduti ed esclusi a guardare, ma si è costretti a girovagare per le diverse sale asettiche e luminose della struttura, incontrando i numerosi ballerini seguiti da singoli musicisti. Libero di circolare come se seguisse il percorso di una mostra d’arte, il pubblico diventa l’artefice del proprio spettacolo: costretto a scegliere perde automaticamente la visione di altre performance che avvengono contemporaneamente nei livelli differenti del museo stesso. Non si può possedere nella totalità ciò che accade e si rimane semplici spettatori – forse a volte un po’ frustrati nel cercare assiduamente di contenere il tutto, inutilmente -; ma si ritorna a casa con un’esperienza privata e completamente propria, che al tempo stesso si è fruita pubblicamente. Il tempo e lo spazio diventano relativi e sono decostruiti e ricostruiti attraverso la percezione dell’osservatore e le apparizioni del performer.

 foto di R. Galasso

foto di R. Galasso

La presenza e l’assenza si materializzano nell’architettura attraverso le installazioni sonore di Hans Peter Kuhn, la musica eseguita dallo String Quartett of Solistenensemble Kaleidoskop e da altri solisti, e dai corpi dei 36 ballerini che appaiono all’improvviso iniziando a dialogare con le linee morbide di vetro, acciaio e cemento del museo.

Corpi nudi, appesi a testa in giù con dei tiranti, si sostituiscono all’esposizione di dipinti, diventando delle sculture a tutto tondo che a poco a poco iniziano ad oscillare impercettibilmente, mentre su un altro piano delle imponenti macchine del vento spargono per tutta la superficie di un’ampia sala dei fogli di carta rigorosamente bianchi che un performer tenta assiduamente di recuperare. Delle figure si intersecano e si sovrappongono in un duo di contact improvisation, mentre nella stanza, rinominata silence room, tra frammenti di piatti una violoncellista abbandona il suo strumento per spargere farina su un ballerino accovacciato in terra. Affascinante come da quest’ultimo spazio, situato all’ultimo piano, sia possibile assistere contemporaneamente a più performance: una fascia di vetro inserita nella pavimentazione permette di intravedere come nei livelli inferiori altri corpi si relazionino con le linee sinuose del MAXXI.

Solo in chiusura i ballerini e i musicisti si concentrano tutti in un’unica sala, mentre gli spettatori accorrono per assistere anche dalle scale e dal piano superiore. I bravissimi performer danno vita a una coreografia di gruppo con un’ipnotica corsa in cerchio, greve e ben cadenzata, che contrasta con il tappeto di fiori gialli sistemato in terra come segnale di un confine. Un movimento che trova infine la sua quiete, raggiungendo un’astrazione di affascinante bellezza con un dialogo sublime tra danza e architettura.

Visto al MAXXI, Roma

Carlotta Tringali

 

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *