L’enigma o l’azzardo?

Recensione a Il Mercante di Venezia – regia di Massimiliano Civica

foto Teatri delle Mura

foto di Andrea Cravotta

Parlando de Il Mercante di Venezia, il regista, Massimiliano Civica, lo paragona ad un enigma, e si domanda il perché si sia sempre convinti di dover trovare una risposta, perché è implicito che vi sia una soluzione. «L’enigma non è una domanda, ma una certificazione della realtà». Parte da qui l’interpretazione fedele del testo, nessuna riduzione o rilettura troppo drastica, se non la scelta di lasciare in scena solo quattro attori. Uno spazio vuoto, quattro sedie per quattro maschere. Inizia e finisce così, in totale semplicità, l’intenso intreccio della trama del Mercante. Quello a cui assiste lo spettatore è lo srotolarsi calmo di una spirale, lentamente si sciolgono i nodi e la storia procede. Le scelte dei pretendenti di Porzia (Elena Borgogni), a far punti d’ancoraggio e svolta, la ricerca della giustizia e la punizione finale a chiudere il cerchio. La lettura che ci propone Civica non lascia spazio al gioco dell’attore, ma lo scava fino al midollo, per renderlo completo servo del testo: mai visto un monologo di Shylock, (un impeccabile Oscar de Summa) recitato tutto d’un fiato, mai visto un attore non cedere alla tentazione della scenata. Ma è qui la chiave, dichiaratamente svelata, una recitazione che è una semplice constatazione della realtà, del testo questa volta. A primo impatto lascia a bocca asciutta, un po’ di stupore, forse uno strano senso di disorientamento. Ma poi si riflette ancora, perché in fondo questa essenzialità disarma. «Chi scrive semplice pensa complesso» ci ricorda Italo Calvino, non senza ragione. Forse avremmo voluto passione e rabbia, forse si era pronti a congiungersi a Shylock nel suo urlo di protesta, ma è arrivato altro; qualcosa di meno coinvolgente, ma di valore. Un’analisi minuziosa e pacata di meccanismi complessi, uno svelamento dei fatti lavato da ogni passione; ma la passione si insinua tra le parole più sussurrate, scivola tra le frasi dette così impersonalmente, mostrando la potenza di un testo magnifico e la maestria di William Shakespeare.

 

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