Termine ultimo: lavoro

Recensione di Underwork – Babilonia Teatri

Foto di Antonella Tarvascio

Foto di Antonella Tarvascio

L’attesa: questo elemento che caratterizza spesso le nostre vite diventa uno dei principali protagonisti in Underwork, spettacolo che i provocatori Babilonia Teatri hanno portato in scena nel paesino lagunare di Chioggia, rendendo il pubblico felice e contento di aver riso delle sue stesse disgrazie.

Tre attori, seduti come se si trovassero in una sala d’aspetto, rimangono in silenzio mentre in platea si prende posto rumorosamente. Accompagnati da tre galline libere di girare sul palco, indifferenti alle parole pungenti che investono lo spettatore, i tre giovani veronesi danno vita a un vero e proprio show ironico e intelligente, semplice ed efficacissimo.

È il tema del lavoro a passare sotto la lente di ingrandimento: viene analizzato in ogni suo aspetto, a partire dalla legge Biagi, dai giovani laureati che si ritrovano con un inutile pezzo di carta, dagli anziani che in dialetto veneto rimproverano i propri nipoti di perdere tempo anziché andare a lavorare. Come se fosse facile. Il fiume di parole, con cui la compagnia consegna immagini di una società sospesa tra sfrenato consumismo ludico e difficoltà di trovare un lavoro, si riempie di stereotipi, luoghi comuni, stacchetti musicali di programmi televisivi retrò. La fotografia riprodotta è desolante, ma perfetta a ritrarre un Bel Paese dove i giovani disoccupati non risultano neanche essere tali: infatti cercare un impiego è già un lavoro di per sé.

I fondatori del gruppo, nonché interpreti e autori, Enrico Castellani e Valeria Raimondi, sono ormai noti per il loro stile inconfondibile che, insieme alla terza attrice in scena Ilaria Dalle Donne, sviscera un linguaggio privo di qualsiasi intonazione, ripetuto in coro in perfetta sincronia, urlato ed esasperato. Non accusano, non giudicano, ma ‘sputano’ la fredda verità, senza veli e senza inganni, semplicemente dicendo ciò che è e non ciò che appare o che potrebbe essere. Traendo ispirazione dalla cronaca italiana e dalla realtà che li circonda, i Babilonia Teatri riescono a mettere in luce tutte le incongruenze di un paese dove le leggi, che dovrebbero migliorare la vita di un cittadino, non fanno altro che complicarla ancora di più. Di fronte all’esposizione senza pause e senza interruzioni delle caratteristiche che ritraggono un tipico giovane in cerca di lavoro, si ride ma si rimane anche impietriti sulla poltrona: si inizia a riflettere sulla propria condizione, sui paradossi tipici di un’Italia dove purtroppo politica e realtà viaggiano su rette parallele che non si incontrano mai. È incredibile come i testi riescano a dar vita a giochi esasperanti di parole; ad esempio il geniale inserimento di termini uguali in contesti semantici diversi, fino all’esplosione divertente della frase: “Un centro di gravità permanente/Un lavoro permanente/una casa permanente/un uomo, una donna, qualcuno permanente/un parrucchiere!”. Ma nel momento in cui è il vocabolo ‘contratto’ a passare sotto i riflettori, questo meccanismo acquista un sapore amaro: si realizza come le varie declinazioni di questa parola non appartengano ad ambiti diversi, perchè il contratto diventa a chiamata, a progetto, occasionale, intermittente, interinale… tutte sfumature che sostituiscono il temuto termine ‘precariato’.

L’alienazione riprodotta dai Babilonia è continua, ma raggiunge l’apice quando sotto le note dell’inno ‘menomale che Silvio c’è’, il tecnico del gruppo si traveste da Babbo Natale e regala ai tre attori costumi da bagno e maschere: dimostrazione che ai giovani qualcuno pensa; peccato che questo sia un personaggio di illusione, che fornisce, a chi cerca lavoro, strumenti per sopravvivere solamente per poco in un mare in continua mutazione, proprio come il mondo del lavoro.

Si esce dal teatro con la sensazione di avere assistito a uno spettacolo con dinamiche che ricordano per certi versi quelle teatrali ottocentesche: provocatorie nei confronti di quella classe sociale, la borghesia, che osservava seduta in platea, comunque indifferente, sorda alle critiche.

Visto all’Auditorium San Nicolò, Chioggia

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