Un buon gioco dura poco

Wendy Houstoun

Wendy Houstoun

Recensione della prova aperta di Wendy Houstoun

“And dancing and dancing and dancing”: sono queste le parole che continuano a girare in testa in modo ossessivo non appena usciti dal Teatro Fondamenta Nuove, dove si è tenuta una prova aperta del nuovo lavoro di Wendy Houstoun. L’eclettica inglese, che spazia dal teatro alla danza coniugando i diversi aspetti in modo divertente, passa in rassegna tutte le azioni umane che, per compiersi, si servono del corpo. Un presupposto ambizioso, come dice inizialmente la stessa coreografa, dato il tempo limitato della sua performance e l’ampia gamma di movimenti possibili; ma che riesce in un modo curioso a raggiungere l’obiettivo prefissato.

Sola sul palco, la Houstoun trova nel Mac che l’accompagna il giusto strumento interlocutore per interagire con il pubblico in sala. In silenzio, seduta davanti al computer, gli affida i suoi pensieri, lasciando chesia la tecnologia a darle voce traducendo la sua scrittura in parole. Si crea un cortocircuito pieno di humour e la performer è bravissima a reggere il gioco: lo strumento sembra non funzionare bene, ripetendo ostinatamente alcune frasi; e perfetta è la tempistica calcolata dalla Houstoun nell’intrecciare la sua voce live con quella registrata che proviene dal computer in off. È come se fosse presente una specie di alter ego sul palco che dialoga con lei ma non si riesce a vedere. Sembra di trovarsi di fronte al corrispettivo femminile del coreografo francese Jerome Bel, che ha completamente scardinato le coordinate coreutiche tradizionali: non si assiste infatti semplicemente a uno spettacolo di danza, ma a un lavoro che utilizza trasversalmente altre forme espressive, come immagini, movimento e parole.
Proiettando un video sul fondale, che richiama dei movimenti specifici eseguiti in una sequenza del tutto originale, la Houstoun inizia a leggere velocemente un elenco di azioni che appartengono all’uomo e, precisamente, al suo corpo. Alcune definizioni tornano spesso, come ‘falling’ e ‘flying’ ma è il termine ‘dancing’ che si ripropone insistentemente e chiude la lunga lista. Tra le immagini che scorrono rapidamente anche le prime foto-studio intorno al movimento umano fatte da Muybridge all’inizio del XX secolo, oppure scene cinematografiche o assurde situazioni che sembrano appartenere al gioco dei guinness dei primati. Spesso ritornano in loop i volti sorridenti di alcune donne appartenenti agli Anni ’50 che ballano, e bellissimo è l’effetto che la Houstoun riesce a creare con la sua ombra: muovendosi davanti al fondale il suo corpo entra direttamente a far parte del video in bianco e nero attraverso la sua sagoma scura. L’interazione con le immagini avviene così tramite due piani che scorrono parallelli: quello fisico, dato dal corpo reale della coreografa, e quello immaginario della sua ombra.
La nota stonata di questa prova aperta sta nella parte finale del percorso: la voice off che insistentemente fa ascoltare al pubblico in loop il termine ‘dancing’, accompagnato a un movimento della Houstoun troppo casuale e inespressivo, si rivela ripetitivo.
Se lo scopo era quello di rispedire a casa lo spettatore costringendolo a pensare a uno dei movimenti principe del corpo, quello di danzare appunto, il risultato è stato ottenuto intelligentemente. Ma lascia l’amaro in bocca, se si pensa che a tutto si è assistito meno che a uno spettacolo di danza.

Carlotta Tringali

Visto al Teatro Fondamenta Nuove, Venezia