Una perla di poesia

Recensione a Una tazza di mare in tempestaRoberto Abbiati

foto Lucia Baldini

Nelle Scuderie del Palazzo Comunale, nel primo pomeriggio di festival Estate a Radicondoli, Roberto Abbiati porta in scena una riduzione in frammenti del Moby Dick di Melville. Uno spazio racchiuso ospita una quindicina di persone, adulti e bambini che in pochi minuti si lasciano trasportare sottocoperta dai racconti sul capitano Achab e la sua balena. L’attore accoglie il pubblico, come fosse a casa propria, chiedendo silenzio perché il teatro è un luogo sacro e anche lo spettatore si deve preparare alla visione. Uno spazio scenico davvero particolare riproduce l’interno di una stiva navale: quattro pareti di legno grezzo, qualche mobilio e tanti piccoli quadri. “L’equipaggio” chiuso al suo interno aspetta che succeda qualcosa.
Ecco allora che la nave prende vita: Abbiati interpreta Ismaele, il marinaio, e attraverso il suo narrare crea uno spazio quasi magico dove gli oggetti si animano e disegnano gli episodi della fantastica storia. Sono oggetti comuni — cucchiaini, grucce, conchiglie, pipe — lavorati e assemblati insieme per creare forme nuove: un veliero, una balena, l’albero maestro. L’attore li usa con una gestualità espressiva dalla mimica “onomatopeica”: la mano su cui si muove il veliero è l’onda che lo culla. Un movimento al limite tra il lavoro del burattinaio e quello del pittore, carico di poesia e precisione. I frammenti della storia di Achab si susseguono — un moto circolare intorno allo spettatore e dentro e fuori la stiva — in soli venti minuti: l’imbarco di Ismaele, l’avvistamento della balena, la tempesta e il naufragio illuminano la scena ogni volta con un espediente diverso, sempre con una poesia unica.
Roberto Abbiati (regista, scenografo e interprete) stupisce con questa perla di artigianato e maestria, dove la semplicità e l’equilibrio tra le arti creano un’atmosfera ideale, dove anche lo spettatore più anziano ritorna bambino e sorride di stupore. In fondo è il gioco che facevamo da bambini — quando ci chiudevamo nella scatola di cartone e la mamma faceva spuntare i pupazzi dai buchi delle “finestre”. Ci si ritrova all’interno di una macchina scenica progettata per creare meraviglie e piccoli mondi in miniatura. La scenografia non si riduce a puro abbellimento, ma diviene protagonista della scena, centro e motore di uno spettacolo in cui l’attore è il dio che con il suo soffio vitale crea il mondo.

Visto a Estate a Radicondoli

Camilla Toso


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