age collettivo cinetico

Da Collettivo Cinetico a Scuola di Platea

Al Teatro dell’Aquila di Fermo è andato in scena lo spettacolo <AGe> di CollettivO CineticO, un lavoro geniale che ha avuto un riscontro emozionante e importante di pubblico, soprattutto perché ad assistere vi erano 200 ragazzi delle scuole superiori che hanno reso la serata ancora più speciale. Attraverso Scuola di Platea – progetto di AMAT-Associazione Marchigiana Attività Teatrali, con cui chi scrive collabora – tanti adolescenti stanno scoprendo il teatro, non solo quello più classico e più affine ai programmi scolastici: imparano a conoscere la varietà di quest’arte, le sue possibilità e i differenti linguaggi utilizzati. Un progetto importante perché forma gli spettatori di domani, svela che il teatro in fondo è vivo, interessante; e rappresenta una valida alternativa al cinema, ai concerti, alla piazza. Abbiamo deciso qui di riportare un articolo comparso sul sito di documentazione di AMAT “Abracadamat” che parla dello spettacolo <AGe>, del progetto Scuola di Platea e soprattutto di quello che è successo a Fermo quando i due elementi si sono incontrati.

ageUno spettacolo difficile da etichettare. Un prologo e tre capitoli. Un numero determinato di slide per ogni fase, delle regole ben precise, un rigore matematico dentro cui operano nove performer. Su questo schema fisso e prefissato il grande punto interrogativo di quello che può succedere effettivamente sulla scena, ossia l’imprevedibilità del risultato: per chi calca il palcoscenico, chi sta in regia e soprattutto per chi è semplicemente seduto in platea. In teatro uno spettacolo si completa sempre nella testa dello spettatore, ma qui quest’ultimo concetto è portato al suo compimento più estremo. La risposta del pubblico diventa l’incognita mancante per risolvere un’equazione mai uguale a se stessa, impossibile da fissare e soprattutto in continua evoluzione.

Il discorso potrebbe risultare complicato, ma non lo è. O meglio lo potrebbe essere, ma solo se si vuole. Stiamo infatti parlando del geniale <AGe> di CollettivO CineticO, spettacolo approdato al Teatro dell’Aquila di Fermo e che ha visto succedere qualcosa di unico, di non scontato: una partecipazione emozionante, vivace, ma soprattutto importante, del pubblico, tra cui anche tantissimi ragazzi delle scuole superiori della città. Geniale, appunto, perché <AGe> mescola tanti registri, utilizza più linguaggi espressivi, si relaziona con il pubblico in maniera diretta ma allo stesso tempo può innescare in chi guarda infinite possibilità di pensiero, letture, risposte. Ne è indice già lo stesso titolo dello spettacolo: può rimandare all’età dei performer in scena (compresi tra i 16 e i 19 anni di età), ma il segno grafico “<“ può anche essere interpretato come una “C” trasformando così il titolo Age in “Cage”, omaggio-riferimento al grande compositore americano che ha rivoluzionato il concetto di musica e di ascolto nel ‘900.

Oltre essere vincitore del bando Ripensando Cage, <AGe> sembra aver assorbito la lezione del grande Maestro per riproporla con piglio del tutto personale: CollettivO CineticO infatti lavora su dei concetti cari al geniale provocatore come quello di “rischio” per uno spettacolo “sempre mutevole”, “impossibile da predeterminare”, e che si compone e si disfa ogni volta; è una scommessa che va giocata. E chi poteva prender parte a questo gioco rischioso e al contempo estremamente serio? La risposta è in scena, è nei nove adolescenti che compongono l’atlante di possibilità e di categorie umane che è <AGe>; è nella ricchezza semplice – e complessa – di cui si fanno portatori i ragazzi stessi, pieni di sfumature, di infiniti cambi di umori ed emozioni.
Egregio il lavoro che hanno fatto Francesca Pennini – che ha curato il concept e la regia – e Angelo Pedroni – assistente alla drammaturgia e alla didattica, vero e proprio deus ex machina in scena: invece di aggiungere segni e significati, hanno eseguito un lavoro di pulizia e di “scarnificazione”, andando a creare degli spazi vuoti carichi di attese su cui gli spettatori proiettano il proprio immaginario, aggiungendovi ricchezza: come Cage ci spiegava che il mondo era già musica e andava ascoltato in modo personalissimo da ognuno di noi, così CollettivO CineticO ci mostra un atlante di gioventù che va osservato, rispettato, ma soprattutto non giudicato.

Ma ora spostiamo il fuoco dell’attenzione. Da <AGe> alla sua fruizione, particolare e deflagrante. Perché se in scena ci sono nove adolescenti e in platea ce ne sono duecento allora può succedere davvero l’incredibile. Al Teatro dell’Aquila di Fermo quella sera, infatti, a guardare i ragazzi sul palco, c’erano giovanissimi spettatori curiosi di Scuola di Platea, il progetto di AMAT che propone agli studenti delle scuole superiori un percorso guidato che li accompagna nella visione di spettacoli di diverso genere, avvicinandoli così al teatro e formandone una coscienza critica. (E non si vede solo Shakespeare o la tragedia greca, ma anche teatro e danza contemporanei, e Fermo è una vera e propria roccaforte della “ricerca”: negli anni i ragazzi si sono visti, solo per fare dei nomi, Teatro Sotterraneo, Babilonia Teatri, Motus e quest’anno CollettivO CineticO. E ogni volta ne sono usciti spiazzati ma felici di esserlo, scoprendo che le possibilità di fare teatro sono infinite, come infinito è il modo di stare in scena e le possibilità dello spettatore di reagire). Scuola di Platea mese dopo mese, spettacolo dopo spettacolo, anno dopo anno, ha creato e crea veri e propri “spettatori professionisti” che una volta terminata la formazione, ma anche durante il ciclo scolastico, scelgono liberamente di andare a teatro, sanno che è possibile passarci un sabato sera. Perché è divertente, stimolante, emozionante… ma anche semplicemente perché è “figo”.

Il progetto – che si articola in tre momenti e prevede una lezione seminariale propedeutica alla visione, la visione dello spettacolo e successivamente un incontro tra gli studenti e la compagnia per approfondire l’esperienza vissuta a teatro – anche questa volta ha dato i suoi frutti. Se con la lezione propedeutica su <AGe> i ragazzi hanno appreso chi fosse CollettivO CineticO, dell’esistenza di John Cage – altro Cage illustre dopo… Nicholas! citando i ragazzi stessi – e i principi alla base dello spettacolo che avrebbero visto in scena, a teatro sono arrivati curiosissimi, molto aperti nei confronti di una pièce che non aveva né attori né trama; senza pregiudizi verso un tempo dilatato e un ritmo in crescita, da apprezzare una volta entrati dentro il meccanismo scenico.

Carlotta Tringali

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Inequilibrio 2013: tra silenzi scenici e quieti visive

Castello Pasquini

Castello Pasquini

Il sole filtra debole, tra gli alberi, nel parco giochi di Castello Pasquini, insolitamente inerte nelle prime ore del mattino, quando gli artisti riposano e le strutture sonnecchiano, in attesa di altre repliche e nuovi spettacoli. Creazioni coreografiche, viaggi nella memoria, piccole allegorie si alternano in momenti diversi della giornata, dal tardo pomeriggio alla sera inoltrata, tra luce naturale e illuminazione artificiale. Nuove produzioni, iniziazioni, esposizioni, abitano spazi differenti per tipologia e struttura, suoni e rumori, visione e fruizione, adattandosi alle sonorità e alle luminosità degli habitat, chiusi o aperti, intimi o estesi. La sedicesima edizione di Inequilibrio si sposta dalle stanze della fortezza alla Pineta Marradi, dalla stazione di Castiglioncello alla Torre Medicea, dalle tensostrutture al lungomare, mutando forma al mutare dei linguaggi, al variare delle atmosfere, al cambiare delle cornici. Se un itinerario, tra passato noto e futuro possibile, è già stato tracciato (leggi l’articolo), questo racconto vuole essere una passeggiata tra albori mattutini e brezze notturne, silenzi scenici e quieti visive.

Tre studi sulla vacuità - Fosca

Tre studi sulla vacuità – Fosca

Bagliori pomeridiani accompagnano gli spettatori verso la Sala 1, lunga, stretta e buia. È Stefano Rimoldi, pantaloni e camicia nera, piedi scalzi, a rischiarare, e riscaldare, l’ambiente, aprendo la finestra su una sedia vuota. Nessuno spartito, poche note: non è la musica la protagonista del solo di appena 15 minuti, parte dei Tre studi sulla vacuità di Fosca. L’attenzione si concentra tutta sul corpo del musicista, diritto davanti al pubblico, volto serio, archetto in una mano, violino nell’altra. A essere fotografato è l’attimo prima del concerto, la postura, lo strumento che si adagia sul collo, le dita che sfiorano il legno cercando le corde, la testa che si piega trascinandosi dietro l’orecchio, le narici che inalano l’aria. Frammenti di Schumann, gesti, vibrazioni, respiri, per una musica da percepire e un silenzio da ascoltare. È più ampia, e accoglie un maggior numero di spettatori la Sala 3 del castello, muta ospite dell’ensemble che chiude il festival nella tarda serata del 7 luglio, primo studio per quintetto di Fosca, realizzato in coproduzione con Armunia. Tepore di un interno, fari sulla scena, un pianoforte a coda, quattro sedie, cinque spartiti per l’Op. 44 di Robert Schumann, che squarcia i momenti silenti, si interrompe e riprende, fiorisce e sfiorisce, cresce e decresce. Movimento corale, tiepidamente ironico, morbidamente plastico, tra corpi che cascano, tensioni che scemano, melodie da sussurrare, e un concerto che deve ancora cominciare.

 CollettivO CineticO

age – CollettivO CineticO

Inizia con calma distaccata ‹age› di ColletivO CineticO. Un computer, parole che scorrono sul fondale, la scena che si compone pezzo per pezzo: un tavolo, una sedia, due panche, 4 litri di acqua in bottigliette di plastica, e 9 adolescenti, tra i 16 e i 19 anni, labbra serrate e sguardo rivolto al pubblico. Un elenco di caratteristiche fisiche, caratteriali, comportamentali, una serie di movimenti collettivi per un’azione performativa scandita dal suono di un gong. Si alzano dalle panche, gli ‘esemplari’, quasi giocatori in attesa di entrare in campo, si spostano con passo deciso verso il centro del palco, seguendo le didascalie, che prima descrivono le specificità, poi associano una peculiarità a un gesto, infine coordinano formazioni corali per arrivare alla decostruzione dello spazio ludico. Descrizione e ordine. Esposizione e imposizione. Parata di adolescenti che non si raccontano, ma rispondono a un comando, freddamente, lucidamente. Performance schematica, matematica, analitica. Gioco rigidamente disciplinato, rigorosamente pulito, non privo di energia e ironia, ma al quale ci sembra che manchino partecipazione, reale condivisione, e umano calore.

Balene, asini e pialle - opere di Roberto Abbiati

Balene, asini e pialle – opere di Roberto Abbiati

È debole e torrido il chiarore che entra nella Cappella situata alle spalle di Castello Pasquini, che ospita, in orario tardopomeridiano, la mostra di Roberto Abbiati Balene, asini e pialle. Casupola abitata da cavalli di legno e mestoli, popolata da capre con muso di spazzola. Spazio da sogno, pullulante di oggetti riciclati, eredità di vecchi spettacoli. Ventre gravido di ingranaggi magici, dove le seggiole diventano asini e i bauli uomini. Ed è quasi soffocante l’aria nella piccola sala, delimitata da teli bianchi, che accoglie Carezze, di e con Roberto Abbiati e Maurizio Lupinelli. Viaggio a disegni di due adulti che ritornano bambini, tra bolle di sapone e onde marine, scaramucce infantili e malinconici ricordi. Non ci sono voci in Joseph_kids, solo musiche che accompagnano immagini, e nuvolette che comunicano stati d’animo. Linguaggio multimediale e lessico fumettistico s’incrociano, performer in abiti da supereroi s’incontrano nella versione per bambini del primo solo di Alessandro Sciarroni, che ha voluto Michele Di Stefano davanti all’occhio digitale. Il volto si deforma, il corpo si sdoppia, creando figure buffe e ironiche, tra musiche di Bjork e Morricone, atmosfere western e tenere chat per piccoli nerd.

Foresta bianca, la mostra

Foresta bianca, la mostra

Bianche e nere, ingiallite e rovinate, lievemente sfocate o decentrate, strappate o ben conservate, le fotografie di Foresta Bianca – esito di un progetto biennale ideato da Matteo Balduzzi e Stefano Laffi per Armunia  ritraggono diverse stagioni e differenti momenti della giornata, dal mattino alla notte, dall’estate all’autunno, dalla spiaggia alla pineta, dagli anni Sessanta al Duemila. Scatti muti, che raccontano chiacchierate fra amici e gite di famiglia, momenti di solitudine e di condivisione, lunghi sguardi al mare e abbracci colmi d’amore. A descrivere le istantanee, protette da cornici bianche, brevi frasi: nomi, luoghi, date, parole che dormono su fogli sostenuti da spilli, precari sostegni per tempi che mutano e anni che passano.

 Rossella Porcheddu