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La finitezza sfuggevole di Bestiale improvviso

Recensione a Bestiale improvviso – Santasangre

Nebbia, fumo, pannelli opachi disposti tra scena e platea. Una percezione incerta, dissolta e vibrante quella che si presenta all’ingresso della sala In.Off del Teatro Goldoni che, a chiudere la vivace rassegna EXTREME.TEATRO, ospita il lavoro di Santasangre, Bestiale improvviso. La nuova creazione del gruppo romano è l’epilogo di un lungo percorso scandito da “ipotesi” sul tema, la ricerca sull’energia, presentate – in progress – in occasioni come festival e rassegne, da Drodesera a B.Motion, solo per citare alcune tappe del lavoro. Con Bestiale improvviso Santasangre dichiara di parlare dinucleare, una fonte di energia primaria che se da un lato, tramite la fusione indotta, «è responsabile della pericolosissima bomba all’idrogeno – come si legge nel foglio di sala – con la fusione spontanea regala una delle più preziose manifestazioni della natura, l’energia delle stelle». Una citazione necessaria per procedere nella riflessione sul lavoro, fondamentale nell’assunzione di alcune informazioni di partenza non meglio esplicate nello spettacolo se non sotto forma di percezioni.

Bestiale improvviso

Il linguaggio artistico del collettivo, oscillando tra rarefazione e frammentazione dell’immagine, sorpassa ogni dettato concettuale e politico della questione, per approdare direttamente ad una rappresentazione ottico-sonora del fenomeno. Una pura esperienza percettiva quella che viene consegnata allo spettatore. Ma come si può tradurre l’energia? Scorporando l’opera in tre “parti”, il non-testo di Bestiale improvviso recupera una chiarezza e maturità che non era ancora presente nella 3ª ipotesi (sottotitolo dello studio precedente) e il lavoro si arricchisce sia nella struttura drammaturgica che in quella formale. A presentare come in un prologo gli elementi che costituiranno il lavoro, Bestiale improvviso si apre con la presenza di un pannello posto a margine del palco e dietro ad esso, a chiudere la “scatola bianca”, tre schermi per proiezione della dimensione del fondale e delle pareti laterali. Immersa nella nebbia – e al di là del pannello opaco – una massa in movimento. La visione si dissolve; la barriera accenna alla presenza di uno o più corpi in costante vibrazione, una pulsazione che prende vita dal suono, un lento risveglio. Con la discesa del pannello ogni presenza umana scompare e come in una corsa senza sosta e dalla meta sconosciuta, prende avvio l’attraversamento di uno spazio prospetticamente infinito proiettato nei grandi schermi. La figura amorfa che lo abita lascia libera l’immaginazione: si delinea una presenza inquietante, un essere animale che percorre veloce uno spazio ancestrale, luogo non identificabile nella sua astrazione. Allo stesso tempo è una fuga all’interno di una galleria, o la visione di un paesaggio alterato dalla velocità del treno. Certamente è movimento. Con il placarsi della corsa si ripresenta la figura umana: i corpi delle tre danzatrici (le bravissime Roberta Zanardo, Teodora Castellucci e Cristina Rizzo) appaiono questa volta senza barriere ma evidente – anche se non perfettamente riuscita – è la volontà di celare il loro femminino tramite l’ausilio di una tutina color carne e di una maschera-calza sul volto. Piccoli movimenti, gesti intermittenti e robotici per una lenta presa di consapevolezza del proprio corpo. Poi il crescendo: la potenza vitale trasforma i corpi in elementi taglienti e incisivi, “bestiali all’improvviso”.

Complice in tutto questo è la capacità di Santasangre di comporre una partitura in grado di riassumere in un’unica forma suono, danza e tecnica (dalle proiezioni video al disegno luci); ogni parte viene colta come riconoscibile in sé ma allo stesso tempo parte di un tutto, tassello di un universo in cui la potenza del singolo elemento va a sommarsi a quella dell‘altro. Un linguaggio affascinante che è stato interrotto dalla discesa di un’imponente struttura nera che nel ruotarsi verticalmente – fino a divenire parete che invade l’intera scena – ha lasciato dietro di sé i tre corpi e le superfici protagoniste finora del lavoro e creatrici di un movimento sconosciuto. Un escamotage va in scena. La luce riflette sulla lastra d’alluminio posta sulla struttura. I raggi luminosi invadono la platea e accecano il pubblico: si è manifestata l’energia ma il cambiamento di registro poetico, così epico, fa di questa apparizione una costrizione, un’induzione rispetto al naturale affiorare di bellezza e inquietudine delle creature di Santasangre.

Visto a EXTREME.TEATRO – sala In.Off del Teatro Goldoni, Venezia

Elena Conti

Ipotesi nebulosa

Recensione a Bestiale improvviso_3a ipotesiSantasangre

Bestiale improvviso_3a ipotesi - foto Adriano Boscato

Procedendo con metodo scientifico, Santasangre elabora, per B.Motion, un’altra ipotesi, la terza, sul suo progetto Bestiale improvviso, che verrà presentato nel suo esito definitivo ad ottobre in occasione di Romaeuropa Festival. Spunto di riflessione ed elaborazione dichiarato è l’energia nucleare, nella sua duplice espressione devastante se manipolata dall’uomo e di infinito e vitale fascino nella sua forma astrale.
Il teatro viene così invaso da una fitta nebbia, nella quale si intravedono figure che si muovono in un tappeto sonoro artificiale e fragoroso. Al diradarsi della coltre, divengono più percepibili i movimenti delle tre performer — Roberta Zanardo, Teodora Castellucci e Cristina Rizzo — che sviluppano una coreografia fatta di gesti rapidi e convulsi eseguiti con estremo rigore, ma che, coinvolgendo principalmente solo la parte superiore del corpo, risulta paradossalmente statica. La scena è mossa da un disegno luci complessissimo e articolato, che, forse ispirandosi proprio alla luce astrale, crea un continuo gioco di chiaroscuro a tratti quasi psichedelico.

Un’ipotesi spettacolare tecnicamente impegnativa e ben studiata, quindi, ma che probabilmente ribadisce un percorso di ricerca linguistico piuttosto che arricchirlo, realizzando un lavoro impeccabile ma forse autoreferenziale e poco azzardato. A farne più le spese è la comunicabilità stessa del lavoro: nonostante la nebbia avvolga indistintamente palco e platea, lo spettacolo non risulta altrettanto coinvolgente, per una gestualità eccessivamente reiterata ed un lavoro che, nel complesso, soffre di una eccessiva cripticità che fa percepire una distanza apparentemente insormontabile per lo spettatore con le premesse  — o promesse — del foglio di sala.

Visto a B.Motion, Bassano del Grappa

Silvia Gatto