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Nel luna park di Babilonia Teatri

Il pop rock punk di Babilonia Teatri gode di ottima salute. Questa geniale compagnia veronese ha sperimentato modalità differenti di andare in scena senza quasi mai abbandonare quel flusso-fiume di parole non interpretate, ma semplicemente dette, vomitate, che è diventato un vero e proprio marchio di fabbrica. Nel tempo ha rimodellato questo stile senza aver perso un briciolo di riconoscibilità e carica corrosiva, e oggi lo propone non più asettico, ma con maggiore foga, fino a diventare quasi rapsodico. E con Calcinculo – che ha debuttato al festival B.Motion di Bassano del Grappa per poi approdare a Short Theatre a Roma – i Babilonia compiono un ulteriore passo avanti nel loro percorso: si spingono verso un concerto pop.

Dopo alcune produzioni che li hanno visti alternarsi in scena o addirittura sottrarsi, Enrico Castellani e Valeria Raimondi tornano a calcare il palco insieme, affiancati dall’insostituibile Luca Scotton. Calcinculo sembra riportare la compagnia a quella drammaturgia taglia e cuci dello stile televisivo di Blob, con accostamenti tematici e linguistici paradossali, che contraddistingueva il made in italy delle origini: da questa istantanea ironica e contraddittoria del reale che parlava del Nord-est italiano, il focus della compagnia si è spostato e ampliato per guardare all’uomo immerso nelle sabbie mobili del presente, impossibilitato a guardare (o sognare) oltre i propri stretti confini. Se Valeria nel suo abitino rosa romantico, attenuato dal giubbino di jeans, canta con un sorriso stampato sul volto “voglio la mia libertà / no alla socialità / un numero verde per la felicità”, Enrico urla le sue paure “i miei figli devono stare al sicuro / non sono mai scesi dal letto / io voglio che mia madre ci sia sempre / io ho bisogno di certezze”; se le canzoni diventano da subito orecchiabili, il testo porta da tutt’altra parte: attraverso delle melodie allegre e spensierate entrano a gamba tesa dei macro temi/problemi della società odierna come la costruzione di muri, l’immigrazione, la precarietà del lavoro, l’apatia comunitaria. Grazie alla composizione musicale di Lorenzo Scuda degli Oblivion, che strizza l’occhio all’indie-pop di un certo Calcutta o del super pop Rovazzi, il tutto diventa una pillola indorata, un cavallo di troia travestito da unicorno contenente pensieri-macigni. E allora eccole, le sensazioni contrastanti che questo pop stridente riesce a tirar fuori dallo spettatore: si passa dall’ironia al ribrezzo, dalla felicità alla nausea; è come ricevere un pugno nello stomaco mentre l’altra mano ti porge lo zucchero filato. Nel luna park atipico e personalissimo di Babilonia Teatri gli orpelli scenici sono ridotti all’osso e ogni oggetto è una sineddoche che apre a molteplici interpretazioni, distanti – come le sensazioni che suscita continuamente lo spettacolo stesso – eppure così vicine tra loro.

foto di Eleonora Cavallo

Lo stesso titolo racchiude in sé le varie distorsioni della vita e della realtà, dipende da che punto di vista ci si pone rispetto a essa: il divertimento più sfrenato dell’intramontabile giostra del paese, con il suo senso di libertà e spensieratezza e il benservito che ti riserva la società spegnendo ogni entusiasmo, ogni fuoco, ogni sogno. Perché con gli estintori sempre lì pronti per eventuali incendi – che si accendono solo intimamente ma all’esterno non divampano mai -, Calcinculo brucia lentamente proprio allo stesso modo con cui si disgrega la nostra società, pezzo dopo pezzo, lasciando una scia inevitabile di brutture e controsensi. Come se avessimo perso una bussola da seguire, perdiamo il contatto con la realtà in cui viviamo dove accettiamo cose abominevoli e ci indigniamo per frivolezze; soprassediamo ad atti violenti e irrispettosi nei confronti delle persone e umanizziamo gli animali. E allora la stessa sfilata di cani, a cui il pubblico assiste divertito, scambiandosi sguardi inteneriti e allegri, accompagnata da un Enrico Castellani sopra le righe che presenta ogni concorrente con aggettivi superlativi, diventa l’ennesima contraddizione interna di un sistema in eterno cortocircuito.  E non basta il coro finale degli alpini per farci ritrovare una “unità di misura per la realtà”; neanche questa istituzione che ha attraversato un secolo e rappresenta, almeno nell’immaginario collettivo di una certa generazione, una certezza può salvare questo nostro mondo dal disfacimento sociale.

Forse viene da pensare che gli stessi Babilonia siano una contraddizione: mentre continuano a sperimentare sul linguaggio dimostrano sempre di più di imparare la lezione dei classici. Vedendo Calcinculo e la sua rappresentazione della normalità o meglio dell’ordinaria follia quotidiana del nostro presente viene in mente Molière e le sue commedie amarissime che mettevano in scena i vizi della borghesia che a sua volta rideva a crepapelle delle sue stesse nevrosi. Speriamo che Calcinculo evolva in un disco di hit e che lo spettacolo-concerto, in cui si strizza l’occhio al popolare e allo stesso tempo si affina la lama che affonda nello stomaco, ci faccia svegliare dal torpore in cui tutti sembriamo addormentati. E diventare così la “tradizione della innovazione” a cui auspicava Leo De Berardinis prima ancora che i Babilonia Teatri facessero capolino nel teatro italiano.

Visto a Bassano del Grappa nell’ambito del festival B.Motion

Carlotta Tringali