festival dei 2mondi morris

Ai 2Mondi la Mark Morris Dance Company incanta il pubblico

The Argument - foto di Maria Laura Antonelli

The Argument – foto di Maria Laura Antonelli

Una grammatica corporea precisa, puntuale, schematica e ritmata quella che la compagnia di Mark Morris ha presentato all’anfiteatro romano di Spoleto. Due ore in cui la danza ha trasmesso divertimento e ironia attraverso diversi pezzi coreografici riproposti qui per il Festival dei 2Mondi: 5 compositori per cinque coreografie debuttate rispettivamente a Boston (1999), Berkeley (2005), Lenox (2008), Becket (1999) e New York (1992). Per Spoleto56 Morris ha assemblato momenti e movimenti di spettacoli che hanno già ricevuto apprezzamenti dall’altra parte del globo e che ritrovano anche nello splendido anfiteatro spoletino calore ed entusiasmo.

Non esiste sudore né fatica – almeno all’apparenza – per i danzatori della Mark Morris Dance Group: sono instancabili e pieni di energia, i loro volti distesi e sorridenti mentre saltano e corrono, si sollevano e si colpiscono, cadono e si rialzano. 14 i ballerini si alternano sul palco accompagnati da tre musicisti, Colin Fowler al pianoforte, Owen Dalby al violino e Andrew Janss al violoncello, che eseguono partiture al metronomo in cui le note si trasformano in appendici corporee e diventano visibili proprio grazie ai movimenti dei danzatori.

Candleflowerdance - foto di Maria Laura Antonelli

Candleflowerdance – foto di Maria Laura Antonelli

Quattro coppie di ballerini, elegantissimi nel portamento e negli abiti, velluto nero per le donne e camicia e pantaloni per gli uomini, danno avvio alla serata con The argument su musiche di Robert Schumann. Nel dialogo tra uomo e donna il corpo delle ballerine sembra prendere allo stesso tempo due direzioni opposte: le braccia sono protese in avanti mentre il corpo retrocede, come a volersi discostare da quello che sta accadendo; cercano di difendersi e affermarsi battendo piedi o colpendosi l’una contro l’altro, ma in fondo si lasciano semplicemente trasportare dall’uomo senza voluttà, in un continuo retrocedere e abbandonarsi.

È dedicato alla grande studiosa Susan Sontag Candleflowerdance: su musiche di Igor Stravinsky i sei ballerini in scena – questa volta coloratissimi – eseguono passi all’interno di un quadrato segnato a terra. Una danza schematica e perfetta, un’esplorazione dello spazio che va ad offrire tutte le diverse possibilità legate a quella forma geometrica che diventa luogo altro. I corpi sembrano spostarsi seguendo una forza magnetica invisibile, attratti con il loro peso verso uno stesso angolo; cadono e si rialzano espandendosi e occupando poco alla volta tutta la superficie. Anche Excursions su musica di Samuel Barber segue degli schemi rigorosi, fino a quando prende campo il gioco e il divertimento, quasi infantile; il rigore si trasforma e dà vita a forme nuove, a un intreccio corporeo dalle numerosissime possibilità.

Un'opera di Gianfranco Chiavacci

Un’opera di Gianfranco Chiavacci

In questa occasione la coreografia di Morris, il suo schematismo presente e proteso verso la creazione di altro e i colori accesi dei vestiti dei ballerini riportano in mente, per un’associazione del tutto soggettiva, i quadri astratti di Gianfranco Chiavacci, a cui è dedicata una retrospettiva a Palazzo Collicola di Spoleto. Il pittore pistoiese – presente nel bel spazio espositivo insieme a una temporanea di Schifano, Bucchi e Marras – ha dedicato la sua ricerca artistica al sistema binario, poi trasformando la sua ossessione per la bidimensionalità in tridimensionalità. Come affermava Chiavacci stesso egli aspirava a “un lavoro in cui ci fosse il massimo delle modificazioni possibili con una sintassi rigida, precalcolata”. Proprio quello che ritroviamo nelle coreografie di Mark Morris, dove la sintassi corporea è rigida ma apre a tantissime possibilità coreografiche.

Si abbandona “l’astrattismo alla Chiavacci” e si entra a pieno titolo nella modern dance americana con Silhouttes su musica di Richard Cumming, in cui due danzatori, dai corpi marmorei, protendono continuamente verso l’alto, con salti e giravolte in mezzepunte.
Ciò che più rimane impresso di questa serata è però l’ultimo pezzo presentato: il pubblico esplode in un fortissimo applauso di fronte al dirompente e accattivante Polka sulla musica di Lou Harrison. Sono tutti i danzatori in scena: in 14 girano in cerchio tra gesti animaleschi e feroci, come se volessero invocare degli dei; si colpiscono violentemente ventre e cosce con le mani, battendo i piedi a terra e sollevando poi le braccia in aria, inarcando il corpo e distendendosi, in un ballo che è quasi un rito sciamanico. Polka chiama, metaforicamente, dentro il cerchio lo spettatore, trasportandolo con forza in un immaginario mistico e misterioso.

Visto al Festival dei 2Mondi, Spoleto

Carlotta Tringali