festival drodesera 2013

Intervista ad Antonio Latella

Antonio Latella (foto Andrea Pizzalis)

Antonio Latella (foto Andrea Pizzalis)

Abbiamo incontrato Antonio Latella a MEIN HERZ, festival di Centrale Fies all’interno del quale presentava, assieme alla sua compagnia stabilemobile, A.H., un lavoro interpretato da Francesco Manetti che si muove intorno alla figura di Adolf Hitler, affrontando le tragedie che hanno segnato l’Europa nel secolo scorso e le ragioni che ne hanno permesso la concretizzazione. A.H., con la sua partitura travolgente, si muove fra performance e un universo testuale ricchissimo, portando in scena una riflessione sul male che non lascia scampo: pur valorizzando i rapporti fra estetica e politica, fra teatro e memoria, facendosi esplicitamente carico di guardare con lucida precisione le vicende che hanno segnato l’Occidente novecentesco, è una materia capace anche di prescindere dalle coordinate spazio-temporali per aprirsi ad affondi umanissimi, che evocano qualità di una dimensione tragica che attraversa epoche, vicende, storie.

L’incontro con Antonio Latella racconta del processo creativo che ha dato vita allo spettacolo, delle scelte autoriali e dei riferimenti che ne compongono la tessitura, ma diventa anche un’occasione di discussione più ampia: sui rapporti fra testo, attore e regia, sull’approccio alla scena e alla cultura, sul possibile ruolo, infine, che, oggi, può avere il teatro.

Come è nato A.H. e come si colloca all’interno della sua ricerca?
Quello che faccio di solito – anche di più da quando c’è stabilemobile – è darci un tema e, su questo, sviluppare più lavori. In questo modo, lo spettacolo non viene vissuto ogni volta come una prova, ma diventa uno dei tanti appuntamenti intorno a un tema, diventa parte di un processo.
A.H. ha origine dal bisogno di confrontarsi sul tema della menzogna, percorso di cui fanno parte Die Wohlgesinnten, spettacolo dalle Benevole di Jonathan Littell, anch’esso sul nazionalsocialismo, che debutta nell’ambito di Romaeuropa Festival e un lavoro su Peer Gynt, il testo classico per eccellenza che tratta la menzogna; in questo percorso si colloca anche la creazione del Servitore di due padroni. Ci sono più appuntamenti, uno diverso dall’altro, ma riuniti tutti all’interno dello stesso tema: per me, è come fare un unico grande spettacolo.

"A.H.", Francesco Manetti (foto Brunella Giolivo)

“A.H.”, Francesco Manetti (foto Brunella Giolivo)

Francesco Manetti lavora da moltissimo tempo con me – come coach, trainer, assistente alla regia… fa moltissime cose – e credo sia oggi la persona che più possa tradurmi in scena. È più di un attore, nel senso che è una persona che mette la sua arte a servizio di un progetto. Sono un regista che lavora sull’attore e sull’autore – queste sono le mie tematiche, le mie ossessioni, quello su cui mi piace lavorare e su cui oggi, ancora di più, cerco di focalizzare lo studio della regia. Aggiungo che non penso mai a me stesso come a un regista, ma piuttosto come a qualcuno che studia la regia; questo porta non solo a evitare di ripercorrere sempre gli stessi linguaggi, ma anche alla possibilità di scardinarli. Infatti, diverse volte, c’è difficoltà a etichettare il mio lavoro: passo da uno spettacolo da stabile a uno off, da un lavoro di ricerca a uno solo di movimento. È quello che, in assoluto, oggi mi interessa di più di questo lavoro: dimostrare – anche per questo per me è interessantissimo stare qui a Fies – che il teatro oggi non ha più limiti di categoria, nonostante si provi ancora ad etichettarlo. Continuare in questo tentativo è una giustificazione, ed è anche consolatorio, perché, riconoscendosi in un genere, sai che lì puoi “stare a casa tua”. Il teatro è teatro. Punto. Quello che mi interessa, e che è più difficile, è di non restare a casa propria, per vedere cosa succede – a te stesso e agli altri.

Come è nata e come si è sviluppata la collaborazione con Francesco Manetti?
Quando comincio un nuovo lavoro, c’è una cosa che ormai faccio quasi sempre: dare dei compiti prima dell’incontro – libri da leggere, cose da scrivere, canzoni da scegliere, video da vedere. Poi, questi “compiti” vengono condivisi e si comincia a lavorare. A.H. è uno dei casi che chiamerei di teatro di drammaturgia totale; nel senso che per me tutto, in questo caso, è drammaturgia. Questo è stato possibile perché c’è un attore come Francesco: penso che tutto diventi drammaturgia perché nasce da lui, da cose che gli chiedo e dalle sue improvvisazioni. La scena sulle armi, ad esempio, è una sequenza che potrebbe fare solo Francesco: insegna combattimento scenico in tutta Europa e per me era interessante togliergliele, per metterlo nella condizione di farci vedere la guerra, la storia della guerra attraverso la storia dell’arma. Tutto è pensato su di lui. Anche i testi sono nati, non prima, ma dopo l’incontro con lui. Quindi, non sappiamo più chi abbia scritto cosa: ci sono testi nati da Francesco, altri da Federico (Bellini, ndr), altri ancora da me: è veramente un’operazione collettiva, posso dire che è un’operazione di stabilemobile in tutto e per tutto, a 360 gradi.
È un approccio che uso anche in altri casi: per me è fondamentale la persona, non decido mai prima come farò una certa cosa, se non so chi la farà. La scelta delle persone che lavoreranno a un progetto è molto intima e lunga. È un approccio fortemente autoriale, anche quando il testo è un classico, anche quando è già scritto.

Vorremmo chiederle di raccontare qualcosa del processo di lavoro. A.H. si costituisce di un denso tessuto di estratti, citazioni, riferimenti a numerose testualità – letterarie, visive, sonore – differenti. Come sono stati selezionati e poi rielaborati nella fase di montaggio?
Il processo di lavoro è stato strano: lavorando, prima di venire qui, era diventato uno spettacolo comico; non ci dormivo la notte, mi dicevo che non era possibile: quello che vedevo mi piaceva moltissimo, ma non era quello che si poteva e si doveva fare. Dopodiché ci siamo messi nuovamente a parlare della materia. Ricordo che in quel momento avevo in mano un mandarino – ho quest’abitudine di rompere la buccia in pezzetti piccolissimi – e ho pensato che, forse, avremmo potuto ripartire proprio da quei pezzetti: dal frammento, dall’ossessione di spezzettare-spezzettare-spezzettare una vita umana, un’idea, che poi diventa maceria. Il percorso di lavoro è nato da questo: prima una drammaturgia visiva, su cui sono state poi scelte le cose da dire; la partitura fisica, così, ha compreso il testo, come se fossero delle note. Pur avendo moltissimo materiale, il testo è rimasto a servizio della partitura.
Ci sono vari riferimenti. La prima parte nasce da improvvisazioni di Francesco sul tema della menzogna; poi ci sono i comandamenti – non una scelta provocatoria, quello che mi interessava dire è che in ogni processo di creazione, fin dalle origini, c’è il dittatore, ci sono il bene e il male –, quindi siamo arrivati alla Bibbia e alla Creazione. E poi, per me, non poteva non esserci – ma questa è un’ossessione mia e di Federico – Heiner Müller, è il punto di riferimento in tutto il lavoro che facciamo e, per quanto mi riguarda, credo sia colui che ha cambiato totalmente la drammaturgia del Novecento europeo. Un omaggio a Müller si trova nella sequenza del cane: quando riscrisse l’Arturo Ui di Brecht, fece recitare Martin Wuttke – suo strepitoso attore – non commettendo l’errore banale in cui spesso si incorre, mettendogli la divisa e altri segni di questo tipo, ma facendolo comportare come un cane: aveva sempre la lingua di fuori, totalmente rossa, si capiva che era uno affamato, che voleva mangiarsi tutto quello che c’era intorno.

"Die Wohlgensinnten", Thiemo Strutzenbergher (foto Ralf Hoed)

“Die Wohlgensinnten”, Thiemo Strutzenbergher (foto Ralf Hoed)

Che rapporto c’è tra teatro, arte, l’elaborazione autoriale e creativa, e la sua posizione rispetto alla storia, nel senso anche di memoria collettiva? Esiste una forma di responsabilità dell’autore a livello intra- ed extra-teatrale? Poi, in questo caso, sta trattando di Hitler, una figura per molti versi ancora tabù, legata a vicende e fatti non del tutto rimarginati e assorbiti.
È un argomento che, per me, si è chiarificato da non molto tempo. Prima pensavo che fare questo lavoro fosse una necessità; oggi, invece, posso dire che penso che sia soprattutto un dovere, rispetto a me stesso e alle generazioni che verranno: c’è bisogno che ci sia qualcuno che testimoni da tutti i punti di vista – storico, politico, artistico –, c’è bisogno di qualcuno che racconti cos’era il teatro una volta, così come che cos’è stato il male del Novecento. Anche se credo che sia difficile dare una risposta o esprimere un giudizio, ma penso che il dovere del teatro, oggi, sia più di ogni altra cosa la testimonianza e, attraverso la scelta di cosa testimoniare, probabilmente è possibile far capire cosa se ne pensa.
Il rapporto con la storia per me è incredibile. Per quanto mi riguarda, affrontare un tema come questo, oggi, è importantissimo soprattutto per il periodo storico che stiamo vivendo, un medioevo – innanzitutto culturale – terribile, un periodo storico pericolosissimo, soprattutto in Italia. Non si può non testimoniarlo, credo sia fondamentale, per me è necessario.
Questo tema è stato trattato in tantissimi modi, quello che ho cercato di fare è stato di renderlo completamente trasparente e accecante. Ho cercato di non scendere mai nel grottesco, in una qualche caratterizzazione, di non involgarirlo né di trovare la battuta facile; su temi come questo, di solito, si arriva fino a un certo punto e poi si sente il bisogno di utilizzare il grottesco per esorcizzare, perché il dolore è troppo grande e non si può andare oltre: si “mettono i baffi” – invece di toglierli –, perché si ha paura di affondare.

Per quali ragioni ha scelto il tema della menzogna?
La scelta nasce anche da un problema mio, come regista: lavorare in teatro significa avere a che fare con una materia che non resterà mai, perché, quando finisce lo spettacolo, quello che ne resta è forse il testo, forse le tracce nella memoria di qualche spettatore che lo potrà raccontare, ma poi anche coloro che l’hanno visto se ne andranno. Il teatro è un mezzo che usa l’artificio – mi piace proprio per questo motivo –, ma è il luogo in cui tutto può diventare vero, in cui tutto diventa verità perché è il luogo assoluto della menzogna – non in senso negativo –, della fantasia, del bambino che può rendere tutto vero. Mi sono chiesto come fosse possibile trasmettere quest’idea: per me, quello della menzogna è un tema teatrale – oltre che politico e culturale – e oggi mi interessa dichiarare questa consapevolezza, come a dire allo spettatore: “accetta l’inganno, ma non farti ingannare”. In questo momento, per me, è uno dei temi fondamentali, forse anche una delle motivazioni che mi ha dato il coraggio di fondare una compagnia, un luogo ideale in cui la creatività fosse totalmente non condizionata da mercati, da quello che gli altri vorrebbero che tu facessi. In questo senso, il Tram è una dichiarazione: tutto è finto.
Quando si riesce a focalizzare l’attenzione su altre prospettive, di colpo i testi – anche quelli che pensavamo morti e sepolti – diventano leggibilissimi assumendo un valore epico, ancora evocativo – il senso del tragico dell’uomo e dell’attore che Francesco consegna, che è il nodo che mi interessa.

intervista a cura di Elena Conti e Roberta Ferraresi

Prossime repliche degli spettacoli citati:

> Die Wohlgensinnten
12, 13 ottobre, Teatro Eliseo / Romaeuropa Festival
18-19 ottobre, 8-9 e 30 novembre, Schauspielhaus Wien

> A.H.
15 > 20 ottobre, Milano, Teatro OUT OFF
22 > 24 ottobre, Modena, Teatro delle Passioni
25, 26 ottobre, Firenze, Cantiere Florida
27 ottobre, Terranuova B.ni (Ar), Le Fornaci
6 novembre, Potenza, Festival Città delle 100 Scale
8 novembre, Cosenza, Teatro Morelli
14 > 17 novembre, Napoli, Teatro Nuovo

> Il servitore di due padroni
21>24 novembre, Cesena, Teatro Bonci
27 novembre> 1 dicembre, Venezia, Teatro Goldoni
3 dicembre >8 dicembre, Padova, Teatro Verdi
10>11 dicembre, Correggio, Teatro Asioli
12>18 dicembre, Modena, Teatro Storchi

 

MEIN HERZ Drodesera XXXIII

Quest’anno l’appuntamento trentennale di Centrale Fies con la performing art prende una nuova forma, contaminando la sua fisionomia canonica di festival per diventare un organo vivo, un cuore pulsante al centro di una programmazione eterogenea nella quale forze diverse e contrastanti fanno circolare il sangue, riempiendo il centro di quel corpo cavo, ampio e spazioso che è il mondo delle arti dal vivo.

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MEIN HERZ [26 luglio_03 agosto 2013] sceglie di chiamare a raccolta il meglio della scena italiana ed alcuni dei più importanti centri di creazione che lavorano nel campo delle performing art in tutta Europa, modificando il proprio formato per spingersi oltre la propria funzione storica di vetrina delle avanguardie.

Da anni Fies svolge infatti un ruolo costante e prezioso di incubatore, sostenendo la produzione italiana e la circuitazione delle energie creative del nostro paese. Per questo lavoro di diffusione, ha ricevuto nel tempo diversi riconoscimenti a livello internazionale e quest’anno una delle artiste della Factory di talenti creata e promossa negli ambienti della Centrale, Francesca Grilli, è stata scelta per rappresentare il nostro paese alla 55esima edizione della Biennale di Venezia.

Non a caso la quasi totalità dei lavori che saranno presentati alla XXXIII edizione di Drodesera è coprodotta da Centrale Fies: a partire dai nomi più celebri di Motus, Ricci/Forte, Stabilemobile Compagnia Antonio Latella ad alcuni dei più importanti talenti che si sono recentemente imposti all’attenzione internazionale quali Alessandro Sciarroni e alcuni artisti della Factory (Francesca Grilli, Pathosformel, Teatro Sotterraneo, Codice Ivan), fino ad alcune delle novità più fresche ed intriganti del nostro panorama come Quiet Ensemble, Mara Cassiani, Enrico Pantani. Uno sguardo e una cura particolari sono stati riservati ai trentini Mali Weil, che elaborano una nuova idea di concept-store in collaborazione con l’interior e product designer Liviana Osti e l’architetto Luca Bertoldi, anch’essi trentini; al cantautore di nuova generazione P o P_X e all’artista visivo altoatesino Michael Fliri. Artisti che fanno della contaminazione e del superamento della tradizione la loro bandiera, mescolando senza soluzione di continuità i linguaggi e disgregando senza timori i confini di genere.
A impreziosire le serate del festival due presenze d’eccezione, a cominciare da quella della Socìetas Raffaello Sanzio/Romeo Castellucci, che riceverà il Leone d’Oro alla Carriera a Venezia il prossimo 2 agosto. Ritorna a Dro invece, dopo il folgorante L’effet de Serge presentato a WE FOLK! lo scorso anno, l’umorismo magico di Philippe Quesne/Vivarium Studio (FR).
Altro ritorno infine per CollettivO CineticO, compagnia ferrarese che si sta affermando tra le migliori proposte nel campo della performing art in Italia, che porta nove ragazzi in scena in uno spettacolo-documentario sui teenager.

Tuttavia, il fulcro di MEIN HERZ non potrebbe trovarsi altrove che nel suo cuore: la grande novità di questa edizione saranno infatti le tre serate centrali, nelle quali gli ambienti di Fies si apriranno ad altrettante realtà italiane ed europee che ne abiteranno integralmente la programmazione.
Lunedì 29 luglio toccherà a CODALUNGA, innovativo polo del contemporaneo creato e gestito con grande coraggio a Vittorio Veneto da Nico Vascellari, di ritorno dalla straordinaria collaborazione con Robert Wilson e Marina Abramovic al Luminato Festival di Toronto. I protagonisti della serata saranno Cesare Feudi e La Belva Psicadelica, GGP, Sissy Biasin, Ninos Du Brasil.
Martedì 30 sarà la volta delle performance di Francesca Banchelli, Valentina Curandi / Nathaniel Katz, Sabina Grasso, Giovanni Morbin, Serena Osti, Luca Pucci / Franco Airaudo / Emanuele De Donno, Anne Sophie Turion, finalisti di LIVE WORKS_ performance art award, un premio per le arti performative nato quest’anno dalla collaborazione di Centrale Fies e il centro di documentazione milanese Viafarini DOCVA: una giuria di addetti ai lavori sceglierà il vincitore dalla rosa dei cinque progetti, selezionati a partire dai 285 pervenuti e ospiti della Centrale in residenza creativa nel periodo precedente la premiazione.
Mercoledì 31 luglio sbarcheranno a Fies da Vienna gli artisti di BRUT, tra i centri per la produzione di performing art più all’avanguardia del continente: in programma tre prime nazionali con Florentina Holzinger & Vincent Riebeek (A/NL), Barbara Ungepflegt (A), Michikazu Matsune (A/J) e il ritorno in Italia del sorprendente Zachary Oberzan (USA/A), membro del collettivo newyorkese Nature Theater of Oklahoma e autore dell’acclamato Your Brother. Remember?.

Ad un centro temporale del festival corrisponderà del resto anche un preciso centro fisico: la temporary gallery di MEIN HERZ. Da anni vera cassa di risonanza del tema del festival, anch’essa rifletterà infatti la natura innovativa di questa edizione, portando nel cuore della Centrale non un insieme di opere e di artisti, ma la rappresentazione stessa della sua essenza: un unico lavoro performativo/installativo, creato ad hoc da Francesca Grilli abiterà infatti la Galleria Trasformatori, fulcro dell’edificio, alla ricerca della disciplina ‘teatrale’ che viene custodita tra le sue pareti, esaminandone l’anatomia strutturale e considerandola come un corpo vivo nel quale le pareti diventano l’ossatura, le luci la pelle, le tende le palpebre che chiudono e svelano la visione.

Come ogni anno, nell’ottica di totale ascolto e rielaborazione dei codici e dei segni del contemporaneo, la realizzazione dell’immagine di MEIN HERZ è stata ideata in collaborazione con un artista “esterno”: il 2013 è l’anno di Giovanni De Pol, fondatore di DEAD MEAT – brand/progetto collettivo che lavora con la moda attraverso modalità e pensieri mutuati dalla filosofia, dall’arte e dalla letteratura – che ha il grande talento di trasformare in immagine “un pensiero critico e la radiografia di una generazione”.

Oltre 50 artisti presenti, 35 lavori (di cui ben 23 prodotti da Centrale Fies), 12 prime nazionali, per una full-immersion da non perdere nelle nuove frontiere della creazione contemporanea.

Nel Parco della Centrale – al quale sarà sempre consentito liberamente l’accesso – ogni sera un dj set animerà il dopo-spettacolo del festival, insieme alla presenza ormai fissa di alcune delle migliori realtà del panorama enogastronomico locale che permetterà al pubblico di conoscere ed apprezzare i prodotti del territorio.
Drodesera è come sempre realizzato nel rispetto assoluto del prezioso ambiente naturale che lo circonda: per questo non è consentito l’accesso alla Centrale con mezzi privati, ma l’organizzazione mette a disposizione del pubblico un servizio di bus navetta gratuito, attivo tutte le sere, partenza da Piazza Repubblica a Dro (vedi INFO).
Le prenotazioni agli spettacoli sono aperte: data la grande richiesta, è consigliabile riservare sin d’ora i biglietti chiamando lo 0464 504700, scrivendo a prenotazioni@centralefies.it o direttamente on-line su www.vivaticket.it (il servizio prevede un costo di prevendita di € 1,50).

Ad anticipare il debutto di MEIN HERZ, due preview in programma mercoledì 17 dalle 17 a Bolzano presso la sede di franzmagazine (Via Catinaccio 7) e venerdì 19 dalle 19 presso il Bar Locos (Via Valbusa Grande 7) di Rovereto, seguite da un aperitivo inaugurale: insieme alla crew di Centrale Fies, sarà presente la compagnia trentina Mali Weil che presenterà l’innovativo concept-store realizzato ad hoc per il festival.
L’opening di MEIN HERZ è prevista invece per il giorno precedente l’apertura ufficiale, giovedì 25 luglio, con la performance di live painting a cura di Enrico Pantani. A seguire dj set (entrambi gli appuntamenti sono ad ingresso libero).

centralefies.com