festival forlì

Dietro c’è un mondo. Anzi di più

 

foto concessa da Sunset Workshop

Ipercorpo 2011 prende vita in quello che fu un deposito autobus, ormai chiuso da quindici anni: Città di Ebla ha scelto di portare qui la propria rassegna, che negli ultimi 5 anni è stata realizzata ai Magazzini Interstock, nell’ex Deposito ATR di Forlì. Il gruppo ha fatto rivivere questo spazio inconsueto, l’ha messo in sicurezza e riallestito non solo con un’articolazione teatrale, ma anche facendo del grande corpo centrale un luogo di incontro e attesa particolarmente suggestivo, contrappuntato di concerti e sculture, installazioni e video che si snodano in tutti i differenti spazi, interni ed esterni. Senza trasformarne radicalmente i profili, ma con grande rispetto per l’essenza del luogo: i muri incrostati di verniciature successive e i cartelli, le catenelle e le stanzette, le increspature del pavimento rimangono protagonisti di una riflessione architettonica che ha condotto a un riallestimento estremamente delicato, all’interno di cui trovano sì spazio i diversi ambienti teatrali, ma in cui l’identità del luogo è profondamente osservata (segno emblematico il grande autobus d’epoca al centro della sala, che sembra dimenticato lì da chissà quanto tempo e che torna parte attiva, anzi protagonista, della serata). Più che un allestimento a scopo teatrale, si tratta di un “restauro” concettuale e materiale in cui passato e futuro dell’edificio si incontrano e dialogano, dando vita a curiosi cortocircuiti di atmosfera e di senso.

Qui, nella prima serata di Festival, in un’architettura che impone un’ambientazione radicale, si succedono come in una trama unitaria le indagini intorno alle possibili riconversioni del corpo estremo di gruppo nanou, che con Sport sembra sfidare lo sguardo dello spettatore a inseguire l’inafferrabile vertigine muscolare e dinamica di Rhuena Bracci, e di Masque teatro, il cui Special Coils compone una partitura fra movimento e suono le cui compressioni in immagine assumono profili seriamente inquietanti, che violano i limiti della comprensione visiva andando a comporre in scena un corpo altro. Qui e lì, seppure i lavori osservino estetiche e propositi profondamente diversi, l’edificio invoca se non addirittura impone l’innesco di una riflessione condivisa delle relazioni che intercorrono fra corpo e spazio. O, meglio, delle pressioni che le sfide del corpo e le partiture di movimento riescono a imprimere ad un ambiente che sembra denso, come a contenere già tutte le traiettorie e gli itinerari fisici passati e futuri. I corpi non sono votati all’esposizione, ma alla concentrazione, in un processo di spiazzamento dello sguardo e delle aspettative capace, in qualche passaggio, di materializzare le energie e la presenza di un altro modo di stare, di muoversi e di trasformare l’ambiente circostante attraverso il gesto.
Una pausa dedicata al concerto di Unstable Compound, e la serata riprende con la ricerca condotta da Masque intorno al lavoro di Nikola Tesla. Prima c’è un esperimento-omaggio a una delle macchine dello scienziato, in cui una performer sfida e domina le scariche elettriche ad alto voltaggio generate da questi strani oggetti cilindrici, strani ready-made di gusto post-novecentesco. Poi, Lorenzo Bazzocchi, regista e fondatore della compagnia, accompagna il pubblico nel mondo di Tesla, tentando di spiegare il funzionamento e le potenzialità delle sue invenzioni e accompagnando il racconto con alcune dimostrazioni. Fra le tante intuizioni dello scienziato, la famosa “bobina” che porta il suo nome in grado di trasmettere elettricità senza necessità di fili, ma utilizzando l’aria come naturale conduttore chiude la serata del primo giorno di Ipercorpo.

foto di Sandra Lazzarini

Tanto questi esperimenti che i primi due lavori si impongono come soglie: ricerca e drammaturgia si intrecciano con consistenti aperture e offrono al pubblico l’occasione di attraversare, come in un dispositivo di risonanza, altri mondi. C’è l’immaginario della preparazione atletica in Sport − con tutta l’indagine che la compagnia conduce fra corpo, luce e suono e l’affondo letterario-filosofico fra Kafka e Deleuze in Just Intonation, anch’esso declinato attraverso una particolare attenzione verso la dimensione musicale e di luce. Poi c’è la scienza di Tesla, e tutte le sue implicazioni politiche, oggi attualissime, in parte svelate dal racconto di Lorenzo Bazzocchi. La scena diventa un interstizio fra realtà e magia in cui si possono incontrare linguaggi e mondi differenti, rappresentando veri e propri “inviti al viaggio” per lo spettatore disposto a lasciarsi trasportare verso nuovi territori.

A un primo sguardo, appena si entra nelle schegge di fascino, antiche e attuali, del Deposito ATR, viene da pensare all’habitus: una compagnia che va ad abitare uno spazio, un vecchio edificio che si “veste” per il Festival. Ma, man mano che scorrono le esperienze visive e sonore in programma nella serata – unicum di esperienza sapientemente composta da Città di Ebla – questa intuizione è spiazzata: l’esperienza di Ipercorpo ha poco a che fare con l’abitudine (altra versione di habitus che, in fondo, è portatore di significati prossimi allo stare, al possedere). O, meglio, qui si potrebbe situare l’innesco progettuale di questo fine settimana dedicato alle arti performative, ma l’intervento di Città di Ebla sembra guardare molto oltre: se la prospettiva ha davvero poco a che fare con involucri ed esposizioni, con questioni esteriori anche se il fascino del posto e del suo riallestimento sono certo di grande impatto la sua origine e fine prende sì le mosse da un’abitudine, ma per sorprenderla e spiazzarla. L’abitudine in questione è, a mo’ di emblema, la doppia serranda che separa il Deposito dalla città, che è rimasta abbassata per quindici anni e da qualche giorno si presenta al passante misteriosamente sollevata d’un soffio, fino ad arrivare all’apertura definitiva di giovedì 22 settembre.

Qui è la soglia che non separa, ma mette in comunicazione la città e il mondo altro del teatro, con la sua densa umanità, le sue regole proprie, codici e sguardi, attenzioni differenti. Nell’avvolgente luce del tramonto, che trabocca dal grande soffitto vetrato, l’apertura è segnata: da dentro si vede fuori e, soprattutto, dall’esterno si può sbirciare all’interno, intravvedere i profili di questa realtà parallela, annusarne i comportamenti, immaginarne i volti. Abitare, abito, abitudine – tutti concetti che hanno a che fare con il possesso e lo stare; Ipercorpo propone invece uno squarcio su una dinamica, un’apertura su quel terzo paesaggio (teatrale, culturale, politico) fatto di resistenza e impegno non solo estetici che è il teatro di questi anni, una zona in cui si ricrea, solo temporaneamente, lo spazio-tempo altro del teatro, a cui i cittadini possono affacciarsi anche solo per qualche momento ed entrare in contatto con formule conoscitive alternative. L’abitudine ha a che fare con un approccio conservativo, in cui si mantengono e si sviluppano il possesso e la conoscenza quanto si reiterano elementi e comportamenti; entrare in contatto con la disciplina conoscitiva propria del mondo teatrale offre l’occasione di intercettare altre modalità di sguardo e analisi che, più che con la linearità della ripetizione, con la chiarezza dell’evoluzione e con la certezza del controllo del ragionamento, hanno a che fare con il gusto dell’ombra, con l’opacità e con lo spaesamento. Più che certezze, abbandono; più che evoluzione, deriva; più che stasi, dinamiche; infine, più che interesse nel possesso e nella continuità, pratiche di spiazzamento e spossessamento.

Roberta Ferraresi