harold pinter

Making Pinter

Recensione a The Basement Il seminterrato regia di Rita Maffei

foto di Nicola Boccaccini

foto di Nicola Boccaccini

Lui, lei, l’altro. E viceversa. Potrei iniziare dicendovi che la storia è quella di un amore, anzi due. La storia di due amici che si contendono la stessa donna, o meglio ragazzina. Una convivenza forzata e voluta, quella di Stott, Law e Jane. Un rapporto morboso che slitta continuamente tra l’amore e l’amicizia. Tra le quattro pareti del seminterrato si consuma un “triangolo” scaleno e in continuo mutamento. Prima la gelosia dell’amico nei confronti di Jane. Poi l’amore clandestino, la rivalsa, e poi tutto di nuovo, tutto daccapo. Potrei raccontarvi questo. E invece no. Al centro di The Basement-Il seminterrato non c’è solo la storia di tre vite passate a consumarsi l’un l’altra. C’è la storia di un testo. Harold Pinter scrisse quest’opera nel 1966, e la catalogò nella sezione teatro. Da quella data fu messa in scena in televisione e al cinema, raramente a teatro, mai in Italia. La particolarità dell’opera sta infatti in un taglio drammaturgico totalmente ibrido tra cinema e teatro. Il susseguirsi delle scene è intervallato da didascalie che indicanointerno d’appartamento/esterno pub/esterno spiaggia’. Una scansione ritmata e veloce che non presuppone un cambio scena teatrale ma una partitura decisamente cinematografica. È proprio su questo punto che si sviluppa l’idea registica di Rita Maffei: portare il testo a teatro mantenendo l’ambiguità della dimensione televisiva. In scena tre attori supportati dalla presenza di due cameramen e un servo di scena: recitazione, cambi di costume, trucco, riprese e montaggio tutto in presa diretta. Il pubblico assiste ad un vero e proprio making-off di uno sceneggiato Anni ’60, continuamente in bilico tra l’ironia del processo e la tensione dell’azione. I piani si moltiplicano, la scena, lo schermo, il monitor della macchina da presa, gli attori e il cameramen. L’effetto è lo stesso di Las Meninas, il famosissimo quadro di Velàsquez, questa volta però il pubblico è l’uomo che guarda in fondo alla scala e il quadro è lì davanti ai suoi occhi.

foto di Nicola Boccaccini

foto di Nicola Boccaccini

Bravi gli attori: Gabriele Benedetti (Accademia degli Artefatti), Alessandro Genovesi e Angelica Leo dimostrano di saper gestire una recitazione – non più solamente teatrale – che richiede precisione e accortezza nell’espressione catturata e restituita poi dal mezzo cinematografico.  Interessante messa in scena che risulta però macchinosa nella realizzazione, e spezza forse troppo il ritmo della storia, pensata comunque per essere fluida ed arrivare ai climax di tensione tipici di Pinter. Scelta coraggiosa, quella di Rita Maffei; un testo inedito, tradotto appositamente da Alessandra Serra,riporta in scena nella sua dimensione originale il difficile dialogo  tra teatro e televisione, con tutte le sfumature e contraddizioni del caso.


Visto a CSS Teatro Stabile di Innovazione, Udine

Camilla Toso


Living Pinter

 foto di Eugenio Novajra

foto di Eugenio Novajra

In principio fu un teatro all’italiana. Il piccolo Teatro San Giorgio, che sorge nel centro di Udine, è un edificio semplice: foyer, camerini, sala prove, magazzino e un’unica sala all’italiana; lo stretto necessario, appunto. Mai ci si aspetterebbe di vederlo animarsi e trasformarsi in uno spazio polivalente, multisala, con tanto di cocktail-bar e video-lounge. Si respira l’aria frizzante del festival – 5 spettacoli per 11 recite a sera – già dalle prime giornate:  un vero e proprio tour de force, condotto con stile e maestria dallo staff del CSS Teatro Stabile di Innovazione del FVG. Living Things gioca sulla destrutturazione dell’edificio teatrale, sulla scelta di testi diversi e meno comuni per riportare alla luce l’eredità di Harold Pinter, scomponendo la sua opera in quattro formati diversi: Quintessential Pinter, i testi più famosi riproposti in una nuova versione, Pinter’s shorts, sketch – anche sarcastici e divertenti – dalle pagine più nascoste e dimenticate, e infine Pinter Post, interpretazioni libere a partire dallo stile inconfondibile del maestro, mutato e riletto attraverso nuovi media e nuovi linguaggi.

Tra i classici andati in scena lo scorso week-end, Il Calapranzi, per la regia di Gigi Dall’Aglio, basato sulla carismatica presenza scenica di Claudio Moretti e Fabiano Fantini. Due attori per due ruoli, opposti e complementari, tra commedia e serietà. Un dialogo sull’attesa,  sull’incomprensione a volte caricaturale. Uno studio in continua tensione, tra parodia e tragedia. Semplici ed essenziali, scene e regia lasciano libero spazio ad una performance spogliata da ogni lettura inquieta e violenta, presente in alcuni recenti allestimenti pinteriani – per esempio Il Calapranzi di Cantieri Teatrali Koreja.

foto di Fabio Cussigh

Victoria Station, foto di Fabio Cussigh

Di tutt’altro stampo l’interpretazione di Paolo Fagiolo per l’allestimento iper-realistico di Victoria Station, un corto ambientato dentro un taxi in mezzo al traffico di Londra. La città non è la stessa, ma il taxi nero anni-cinquanta-guida-lato-destro c’è, è lì che ti aspetta fuori dal teatro, pronto a portarti ovunque tranne che a Victoria Station, il terminal più famoso della capitale anglosassone. Spettacolo per tre spettatori, improvvisamente calati nella particolare visione della vita di 274, tassista di cui non sapremo mai il nome. Un dialogo indiretto tra autista e centralinista, presi nel limbo tra vita e lavoro, una trattativa sul senso della vita: lavorare o restare a guardare la donna amata, vicino ad un parco in centro città.

Fino al 6 dicembre Living Things sarà al Teatro San Giogio. Grande attesa anche per Pinter Post: Rita Maffei, Teatrino Giullare e Ricci/Forte si cimentano nelle più diverse analisi del teatro pinteriano: The basement, testo mai messo in scena in Italia, La stanza, un ambiente familiare scosso da improvvisi conflitti, e Pinter’s Anatomy, dove la nuova drammaturgia di Ricci/Forte esplora i temi di violenza, discontinuità e i rapporti tra forza e debolezza.


Visto al Teatro San Giorgio, Udine

Camilla Toso