inteatro polverigi

Dal Festival Inteatro tre giorni di ‘presente’

Villa Nappi - Polverigi

Villa Nappi – Polverigi

Da 35 anni nel piccolo comune marchigiano di Polverigi, nella splendida sede di Villa Nappi, il Festival Inteatro lavora, abita, crea. Dopo le difficoltà quasi senza fine degli ultimi anni – nel 2011 è completamente saltato l’appuntamento, nel 2012 è ripartito in sordina – quest’anno sembra accaduto un piccolissimo miracolo: per tre giorni spettacoli, installazioni e esiti di laboratorio hanno animato gli ambienti della Villa stessa, il cinema del Paese, il Teatro della Luna.
Non si possono sottovalutare gli aiuti giunti al Festival affinché potesse essere: una buona pratica del fare rete, del sostenersi che ha portato diversi enti e progetti a convogliare le forze nella direzione della resistenza, dell’aiuto e diciamo anche del successo. Successo che si è verificato con la grande affluenza di pubblico e registrando anche il tutto esaurito per alcuni spettacoli. Diamante di Inteatro è anche il sistema di residenze di cui si avvale l’ente durante tutto l’arco dell’anno: la Villa è un importante punto di riferimento per coloro che ricercano e creano e possono avere anche un momento di incontro che avviene durante lo stesso festival. E così è stato per Marco D’Agostin che ha presentato Per non svegliare i draghi addormentati, per Iacopo Braca, Filippo Paolasini e Alessio Martinoli che hanno debuttato con Fight_Prologo al Faust, Muta Imago, che ha proseguito il proprio percorso iniziato un anno e mezzo fa con Romaeuropa Festival e dopo 10 giorni di residenza ha presentato al pubblico lo studio In Tahrir. Studio sulle tracce di Gihan; e poi i danzatori Claudia Catarzo, Matteo Tontini e Giulia Ferrato.
Spettacoli ancora in fase di ricerca, ma che presentano chiare direzioni poetiche e tracce di un presente che si affaccia, in alcuni casi, prepotentemente ma in maniera frammentata, spezzata.

foto di Ludovica Galeazzi

foto di Ludovica Galeazzi

È un frullatore di idee, parole, canzoni, pensieri, Fight_Prologo al Faust: frammenti di una quotidianità che cerca l’immortalità dell’esistenza, attraverso il ricordo di idoli del passato; che tenta di sopravvivere combattendo la Paura, la Morte, l’Amore, ma perdendo di fronte alla Speranza di un domani, di un futuro (leggi l’intervista)
La realtà domina anche il nuovo studio di Muta Imago: In Tahrir. Studio sulle tracce di Gihan, è un racconto istintivo e polifonico che ripropone e insegue le foto, i video, i suoni, i messaggi e i tweet che una blogger egiziana, Gihan Ibrahim, ha lasciato in rete durante lo scoppio della Primavera Araba al Cairo. In scena Chiara Caimmi e Riccardo Fazi – ideatori del percorso insieme a Claudia Sorace, che cura anche la regia – ricostruiscono le giornate concitate di quel gennaio 2011, svelando tutti i meccanismi di riproduzione utilizzati per amplificare i passi, i rumori della piazza, di una quotidianità (lampo di una borsa che si chiude, chiavi di casa) esasperata e che ha portato tantissimi giovani in piazza a manifestare per i propri diritti. Un ribaltamento del modo di lavorare – che rimane sempre impeccabile e di altissima qualità tecnica, anche grazie alla collaborazione con Luca Brinchi della compagnia Santasangre, che ha realizzato un video di quei giorni concitati, attraverso tracce filmiche online, proiettato alle spalle dei due attori – che tende a mostrare piuttosto che nascondere, tanto che in scena si possono vedere i modi con cui i suoni vengono prodotti live da Chiara e Riccardo. Se Muta Imago ci ha sempre abituato al mistero, proponendo suoni e immagini che arrivavano da lontano e da un mondo perduto – quello dei ricordi, della memoria fallace e umana – qui la materia è così incandescente e così reale (la storia di Gihan è data da fatti di cronaca) che sembra impossibile trattarla con l’immaterialità poetica a cui la compagnia romana si è sempre rivolta. Lo studio è arrivato a raccogliere i materiali fino a febbraio 2011: le rivoluzioni che a oggi sono riprese costringeranno la compagnia a seguire una nuova piega, a raccogliere ulteriori tweet, foto, video se di quella realtà così cruda e svelata si vogliono nutrire. E ci chiediamo se continueranno a lanciare – fino ad ora persa nel vuoto, ma carica di un’aura romantica – una richiesta di incontro a questa blogger così intraprendente che non fornisce loro alcuna risposta per un possibile contatto. I fatti di Gihan sono reali, la sua presenza fallace; non ci resta che aspettare a ottobre il debutto a Romaeuropa Festival.

Per non svegliare i draghi addormentati - foto di Ludovica Galeazzi

Per non svegliare i draghi addormentati – foto di Ludovica Galeazzi

Richiama invece un mondo fiabesco e immateriale, fatto di creature che popolano l’immaginazione dello spettatore il nuovo lavoro di Marco D’Agostin, Per non svegliare i draghi addormentati: in scena due danzatori, lo stesso D’Agostin e Francesca Foscarini, danno vita a trasformazioni fisiche che mostrano la loro forza e la bellezza di movimenti fatti di particolari, risvegliano figure della mente – dai draghi ai cavalieri, da creature alate a cavalli dai duri zoccoli – e aprono a un tempo e a uno spazio indefinito. Un’operazione che si avvale anche dell’aiuto di Floor Robert che, come un mastro di fiabe, apre e chiude non un libro, ma un origami da cui forse queste figure sono uscite: allo spettatore il compito di creare la sua storia.
Lo spettacolo di D’Agostin, oltre rientrare nel sistema di residenze di Inteatro, fa parte anche della rete Teatri del Tempo Presente: un progetto interregionale di promozione dello spettacolo dal vivo a cura del MIBAC – Direzione Generale per lo spettacolo dal vivo e delle Regioni: Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto. Ogni regione produce, sostiene e promuove una creazione artistica che poi circuita nelle altre regioni che aderiscono a questo progetto. A Inteatro, Teatri del Tempo Presente ha visto Marco D’Agostin per il Veneto, la compagnia Fibre Parallele per la Puglia, e il dittico performativo di Mara Cassiani e 7-8 Chili per le Marche. Se lo spettacolo di Fibre Parallele Lo splendore dei supplizi propone, un po’ sul filone dei vecchi film da commedia all’italiana, quattro episodi per quattro supplizi in maniera magistrale, grottesca, ironica e terribile al tempo stesso, appellandosi a un teatro di parola ottimamente scritto e interpretato da Licia Lanera e Riccardo Spagnulo (leggi l’articolo di Emilio Nigro), da tutt’altra parte vanno i lavori di Cassiani e 7-8 chili, entrambi connotati da un connubio tra realtà, ricerca estetica e interazione con i mezzi tecnologici.

Mara Cassiani

Mara Cassiani

Si ispira al cortometraggio danese di Jorgen Leth, Det perfekte Menneske, il lavoro di Mara Cassiani L’uomo perfetto: in scena uomini in camicia bianca e cravatta ammiccano, donne sensuali in abiti fucsia si mettono in mostra, sfilano, posano. Una camera riprende alcuni dettagli dei loro movimenti proiettandoli sullo schermo alle loro spalle: corpi, visi, mani si toccano. Solo nel mondo virtuale e nell’installazione video avviene il contatto: questi esseri così perfetti non sono in grado di comunicare, ma piuttosto restituiscono un’alienazione delle possibilità di contatto, troppo presi a curare loro stessi e i propri movimenti.

Neanche in Hand Play della compagnia 7-8 Chili c’è contatto fisico tra chi è in scena: Davide Calvaresi e Giulia Capriotti interagiscono senza mai toccarsi, rimandando l’unione dei loro movimenti esclusivamente al video alle loro spalle.

7-8 chili

7-8 chili

Tappa finale di un percorso visivo iniziato con Replay e proseguito con Display, questo nuovo lavoro continua a utilizzare il mezzo del video e dello schermo in maniera ironica e divertente, mostrando le infinite possibilità di interazione con il mondo esterno e soprattutto di relazione tra l’uomo e la donna. Seguendo un gioco di prospettive, le dita di Calvaresi diventano il corpo dell’uomo con cui Capriotti, posta a distanza dalla webcam in scena, interagisce. La realtà di oggi, il nostro presente, sta andando proprio nella stessa direzione: l’interazione virtuale sta scavalcando di gran lunga quella fisica, i rapporti si consumano più in chat, su webcam, su schermi, che non semplicemente nel contatto corpo a corpo. In 3 intensi giorni questo presente frammentato e tecnologico ha fatto capolino anche a Inteatro.

Carlotta Tringali

Da Teatro Sotterraneo a “Fight”: un’intervista a Iacopo Braca e Filippo Paolasini

Il 29 giugno ha debuttato al Festival Inteatro di Polverigi lo spettacolo Fight: un progetto particolare ideato e diretto da Iacopo Braca, tra i fondatori di Teatro Sotterraneo, scritto e interpretato da Filippo Paolasini e Alessio Martinoli – insieme con Claudia Domenici che si divide tra palco e aiuto regia. Li abbiamo incontrati e intrapreso un’intervista frammentata, iniziata durante il post-spettacolo nel parco di Villa Nappi – antica sede che ospita il Festival marchigiano – proseguita poi con una chiacchierata skype con Filippo Paolasini e terminata in uno scambio email con Iacopo Braca. Una frammentazione che forse segue e ricalca la struttura stessa dello spettacolo Fight..

foto di Futura Tittaferrante

foto di Futura Tittaferrante

Raccontatemi come nasce il progetto Fight, che ha debuttato al Festival di Inteatro dopo una residenza di due settimane. Sicuramente ha origine da un nuovo incontro…
Filippo Paolasini: A settembre 2012, dopo aver preso parte allo spettacolo Il Signor Bruschino diretto da Teatro Sotterraneo per il ROF di Pesaro, Iacopo Braca mi ha proposto di partecipare alla webseries The Scape: io ho accettato subito, pensavo potesse essere un modo per avvicinarmi ancora di più al lavoro di Iacopo e dei Sotterraneo che mi interessava molto.
Durante il primo giorno di lavoro di The Scape ho incontrato Alessio Martinoli: personaggio ombroso di giorno e splendido di notte con cui è partita una chiacchierata durata tre giorni, tra canzoni e racconti di storie passate. Nel frattempo Iacopo stava iniziando un percorso nuovo, lontano dal mondo del teatro.
Alla fine di The Scape abbiamo deciso di partecipare al Premio Scenario: una prima esca lanciata a Iacopo – che dapprima non voleva parteciparvi – ma che poi ha proposto di realizzare un suo sogno. Nel sogno portava una grande palla sulla schiena mentre un’altra persona cercava di fermarlo con il lancio di farina, caffé…Iacopo è un visionario, riesce a filtrare tutto e a renderlo aulico!
Io e Alessio siamo andati a Scenario, abbiamo presentato la scena-chiave del sogno di Iacopo (che è anche la prima scena dello spettacolo Fight, ndr), ma abbiamo puntualizzato sin da subito che la nostra partecipazione aveva il solo scopo di porre tre domande alla giuria: «che rapporto c’è tra pubblico e attore?», «che importanza deve avere il pubblico per l’attore?», «vi siete mai chiesti che funzione avete?». L’ultima ha avuto questa risposta «è la domanda delle domande. Voi ve lo siete mai chiesti?» e noi abbiamo risposto «sì altrimenti non saremmo stati qui».

Il progetto vero e proprio si è consolidato tra febbraio e marzo 2013 quando Iacopo ha deciso di scrivere una scheda di presentazione per la produzione dello spettacolo. Una scheda di otto pagine, tante, troppe, perché tante erano le idee e la voglia di lavorare insieme. Pensavamo a una brandizzazione del progetto e per questo abbiamo avviato delle partnership: Residenza per anziani RSA Il Giglio di Firenze, l’Associazione Treedom – ente che si occupa della riforestazione e per il quale abbiamo creato il nostro Bosco Fight – e PokerStars (investiamo 50 euro nel poker… non si sa mai!).

Il primo tentativo di messa in scena di Fight dopo l’esperienza con Scenario è stato Fight_Un omaggio a Lenny Bruce: una performance da poter fare nei locali in stile Lenny Bruce, comico americano degli Anni ’50 e ’60, passato alla storia per aver piegato i rigidi sistemi del proibizionismo linguistico dell’America di quel periodo. Un’ora di spettacolo in cui parliamo di tematiche legate alla sessualità, alle questioni che ci appartengono in una dimensione di one man show per due attori. Ad Arezzo è venuta a vedere questo spettacolo Claudia Domenici che si è aggiunta al progetto, la cui tappa successiva è stata la 12 ore al Teatro Occupato di Pisa…

foto di Futura Tittaferrante

foto di Futura Tittaferrante

Come mai avete pensato di fare uno spettacolo di 12 ore? E come è andato questo passaggio?
F.P. Volevamo uscire dalla logica di “primo studio, secondo studio”…ecc ecc. La voglia era quella di testare del materiale, creando una struttura ampia che potesse permettere di vedere la tenuta scenica e mettersi alla prova, come attori e come uomini. Da qui è nato Fight_12 ore a Pisa.
Il materiale di improvvisazione aveva bisogno di una linea guida e Iacopo si è lasciato affascinare dalla biosofia, la filosofia che studia il ciclo della vita degli esseri umani. Rudolf Steiner definisce dei cicli della durata di 7 anni in cui le cellule tendono a rinnovarsi e noi siamo partiti da qui: abbiamo diviso le 12 ore in cicli di 7 anni, creando, ogni tre ore di spettacolo, un momento di condivisione col pubblico. Le scene dello spettacolo si mescolano a lezioni impartite da un Maestro Shaolin, a un concerto con musica dal vivo, alla vendita di chupiti, a una festa di compleanno, a un convegno sul tema dell’amore con l’intervento di un vero e proprio esperto chiamato appositamente. La 12 ore è stata filmata e i momenti migliori sono stati proiettati proprio come finale. I materiali dello spettacolo Fight. Prologo al Faust sono presi da qui.

foto di Futura Tittaferrante

foto di Futura Tittaferrante

Come si lega la vicenda del Faust a Fight? E Fight è una lotta contro che cosa?
F.P. Fight nasce come tentativo di sopravvivenza dell’uomo oggi: come sopravvive l’uomo e come sopravvive l’attore stando in scena? Dando il tutto per tutto, trovando un modo per non risparmiarsi. Vogliamo far suonare in modo fresco la scena: la qualità è onesta, le emozioni sono le nostre; tutto quello che è in scena è frutto della nostra scrittura. Non c’è tempo di cambiarsi: non c’è tempo di velare; noi amiamo mettere a nudo gli attori, non spogliarli, e facciamo sì che le immagini siano sempre interpretate. L’idea è di lasciare degli spazi aperti perché qualcuno si sorprenda… è quasi un gioco per tornar bambini.
Prologo al Faust è un primo movimento, un tentativo di Iacopo di tornare a lavorare sul testo, far risuonare delle parole potenti e antiche dentro un teatro. Il tentativo di sorprendersi e di farsi suggestionare da un territorio oscuro, un modo di rompere e uscire dal nostro passato; un’esigenza di buttarsi e di fare un salto nel vuoto.

La drammaturgia è molto particolare, direi quasi frantumata con al suo interno generi diversi, sketch che portano il pubblico continuamente dentro e fuori lo spettacolo…
F.P. Tutto quello che stavamo creando erano i presupposti di mettere in scena il Faust, un Faust che sognasse: un po’ come il film Eternal Sunshine of the Spotless Mind di Michel Gondry con Jim Carrey e Kate Winslet, in cui le cose che a volte perdi vengono amplificate o diminuite dai sogni, diventano dei ricordi.
La drammaturgia utilizzata è il sogno di Faust, è il sogno dell’immortalità – un uomo che cerca e ricerca attraverso la mente ma che non riesce a risuonare attraverso il cuore.

Fight più che una lotta, sembra un tentativo di sopravvivenza… È un tentativo di rendersi immortale?
Iacopo Braca: Siamo già immortali… Siamo nati da una stella esplosa che vagava nell’universo. Fight è il tentativo di far scontrare due visioni teatrali, mettere in risonanza Faust attraverso una visione, un sogno. L’illusione che ci accompagna quotidianamente, il velo di maya.

Da quello che mi raccontate, sembra che Fight sia legato indissolubilmente alla vostra vita, alla vostra realtà… Quali sono i prossimi passi? Sembra quasi abbia la struttura a episodi…
Filippo Paolasini: Il prossimo step è il matrimonio di Iacopo!
Iacopo Braca: Il fidanzamento di Filippo. La laurea di Claudia. Lo spettacolo di Alessio. Il progetto Fight deve adesso aggiustare dei pezzi e stringere dei bulloni. Lavorare sulla comunicazione e coinvolgere altre persone che hanno voglia ed entusiasmo per promuoverlo e venderlo. C’è ancora tanto da fare e da dire, alle volte bisogna osservare, fermarsi e capire come aggiustare il tiro per fare esplodere il gesto. Se non sai che cosa devi fare con una sedia in scena, rompila!

Intervista a cura di Carlotta Tringali

 Altre foto di Fight scattate da Futura Tittaferrante si possono trovare qui