recensione il gregario

Camera d’albergo

Recensione a Il GregarioValdez Essedi Arte

Ciclismo e guerra civile, rapporti umani e Grande Storia si intrecciano con equilibrio e maestria nel bel testo di Sergio Pierattini, firmatario anche della regia ed interprete dell’allestimento presentato in prima nazionale a Castrovillari. Il Gregario, infatti, è un sommesso dialogo tra due ciclisti (insieme a Pierattini il trevigiano Alex Cendron) impegnati nel Giro d’Italia. È il 1946: la guerra è appena finita lasciandosi alle spalle tensioni irrisolte che tornano nelle parole dei due compagni di squadra. Tensioni tra i due che si rivelano essere non solo politiche – l’uno comunista e l’altro fascista – ma anche personali. Ma il crescere di una irrecuperabile frattura tra i due amici sembra avvenire solo a livello drammaturgico: le parole scorrono lente, a un ritmo scandito da ampie pause, per una messa in scena che risuona un po’ monocorde, non riuscendo appieno a far arrivare il testo.

Chiusi all’interno di una stanza dell’Hotel Grande Italia, la quarta parete è issata in modo netto, seguendo una direzione decisamente ed estremamente naturalista, che indebolisce forse le potenzialità dell’operazione drammaturgica. Ostacolato anche dall’uso di una recitazione a mezza voce, che rende talvolta ostico cogliere tutte le sfumature del testo, il lavoro soffre di un’eccessiva distanza che si viene a creare tra palco e platea, coinvolgendo poco il pubblico. A farne più le spese un testo importante che solleva questioni che, nonostante siano ormai passati sessant’anni dai tempi di Coppi e Bartali, restano nel nostro Paese ancora aperte. E le affronta delineando due personaggi – l’uno veneto, l’altro toscano – umanissimi e veri, che avrebbero potuto commuovere maggiormente se solo fossero usciti per un attimo da quella stanza d’albergo. Il Gregario, invece, resta barricato tra le sue mura non permettendo mai di percepire cambiamenti sostanziali nelle relazioni e nei personaggi, che restano appiattiti sullo fondo di una scelta registica che, in nome di un impeccabile realismo, non sembra troppo interessata ad instaurare un vero rapporto comunicativo con lo spettatore. Il risultato è una messa in scena che non riesce a mantenere viva e costante l’attenzione di un pubblico che si sente estraneo ed escluso dalla vicenda rappresentata.

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari

Silvia Gatto