recensione maria stuarda

Un labirinto di musica

Recensione di Maria Stuarda di Donizetti – regia, scenografia, costumi e luci di Denis Krief

Maria Stuarda - musica Gaetano Donizetti - regia, scene, costumi e luci Denis Krief. Photo © Michele Crosera

Maria Stuarda - musica Gaetano Donizetti - regia, scene, costumi e luci Denis Krief. Photo © Michele Crosera

Giuseppe Bardari aveva solo 17 anni quando Gaetano Donizetti gli commissionò il libretto per Maria Stuarda: la sua inesperienza determinò numerose censure e rifacimenti del testo, che vide la luce ed il debutto con diversi mesi di ritardo, il 30 dicembre 1835 alla Scala di Milano. La prima dell’opera non fu il 6 luglio, come da programma, anche a causa dei litigi delle due prime donne, Giuseppina Ronzi de Beignis e Anna del Sere (rispettivamente nei ruoli di Maria ed Elisabetta), che trasformarono la scena dello scontro delle due regine in una vera e propria rissa, forse immedesimandosi troppo nei personaggi.

La vicenda, infatti, narra la lotta tra la regina d’Inghilterra Elisabetta e Maria Stuarda, regina di Scozia, imprigionata per alto tradimento. Un conflitto non solo politico e religioso – l’una protestante, l’altra cattolica – ma soprattutto romanticamente amoroso: entrambe amano lo stesso uomo, Roberto Leicester. Il tenore cerca di sfruttare il suo buon ascendente sulla regina in carica per intercedere sulle sorti della donna imprigionata, ma l’incontro che riesce ad organizzare ottiene gli effetti opposti: Maria cerca di mostrarsi sottomessa ed innocua, ma la superbia e l’odio di Elisabetta la fanno scoppiare in una serie di insulti (Figlia impura di Bolena, parli tu di disonore? Meretrice, indegna oscena, su te cada il mio rossore! Profanato è il soglio inglese, vil bastarda, dal tuo piè!) che determineranno la sua condanna a morte. L’esecuzione non tarda ad arrivare, nella partecipazione commossa di un coro di seguaci scozzesi e la presenza dell’amato Leicester che la accompagna, come suo ultimo desiderio, al patibolo.

Nell’allestimento di Denis Krief regista, costumista, scenografo e light designer – i luoghi della vicenda vengono stilizzati in un unico immenso labirinto di mura e scale, che conferiscono alla scena una pendenza di forte impatto. Interessanti effetti di luce trasformano questi elementi da fortezza a giardino di siepi, fino ad allargarsi nell’ultimo atto per aprirela via della morte e marcare la definitiva separazione tra Maria e Roberto. Ma i movimenti di scena risultano deboli, e completamente ingiustificata la scelta di lasciare il resto del palco a nudo, senza quinte né fondale, dando l’impressione di una scenografia incompleta e con un sapore metateatrale che mal s’addice al lavoro.
Di poco impatto anche i costumi, poco caratterizzanti i personaggi, e di una semplicità forse eccessiva, che fa perdere la ‘regalità’ della vicenda, oltre che sicuramente non molto originale.
La ridotta disponibilità dello spazio praticabile dagli attori determina, infine, una regia piuttosto statica, spesso monotona, ma che riserva comunque trovate interessanti, per esempio nella scena del sestetto, in cui la forma a labirinto diviene davvero elemento di incomunicabilità e solitudine tra i personaggi.

In generale, Krief tende a stilizzare i contenuti dell’opera in simbolismi sottili e geometrici, ma Maria Stuarda è, già di per sé, un componimento secondo molti aspetti ‘astratto’, intessuto di musicalità spezzettate e momenti fortemente frammentati. Il risultato è una regia che non aggiunge significati altri, non offre una chiara chiave di lettura all’opera, cristallizzandola tra le pareti di un labirinto voluto per l’allestimento ma nel quale il lavoro sembra perdersi non trovando una via d’uscita forte per la messa in scena.

Durante lo spettacolo queste considerazioni non trovano spazio perché la bravura del cast, magistralmente diretto da Fabrizio Carminati, offre due ore di grande emozione. Se la sensazione a posteriori è di non aver visto un allestimento eccezionale, durante l’esecuzione non si può non lasciarsi trasportare dal virtuosismo del soprano Fiorenza Cedolins (Maria Stuarda) e del mezzosoprano Sonia Ganassi (Elisabetta d’Inghilterra). Tra queste due voci femminili con forza e bravura si insinua quella tenorile di José Bros (Roberto conte di Leicester ). Infine, sicuramente degne di nota la fine interpretazione del basso Mirco Palazzi (Giorgio Talbot), quella di Marco Caria (Lord Guglielmo Cecil) e di Pervin Chakar (Anna Kennedy). Insieme conferiscono al lavoro quella magia che la lirica può dare agli spettatori, aldilà delle scelte registiche o del colore dei costumi: infatti, il pubblico li accoglie e li premia con un lungo e sentito applauso.

Visto al Teatro La Fenice, Venezia

Silvia Gatto