recensione vincenzo pirrotta

Dentro le Sacre-Stie di Pirrotta

foto di Angelo Maggio

Non solo vivere ma anche fare teatro è un atto di coraggio, oggi più che mai; soprattutto nella situazione critica in cui ci si ritrova tra fondi che mancano, spazi dedicati alla cultura che scemano e, ovviamente, nella difficoltà a “resistere” che ne consegue. È un immenso piacere trovare degli artisti che restituiscono al teatro una sua prerogativa come è appunto quella del coraggio; persone che scelgono di utilizzare quest’arte per denunciare ciò che spesso viene taciuto, o non ha la giusta rilevanza, vanno sostenuti; soprattutto se gli argomenti che trattano sono di solito affrontati in appena due minuti, tempo a disposizione durante il telegiornale tra una notizia di cronaca e l’altra. I servizi si susseguono rapidamente e con la stessa velocità si dimentica ciò di cui si è appena parlato; le notizie passano, in fondo le brutture caratterizzano ormai il nostro quotidiano. Ma ci sono alcuni temi, alcuni scandali, che non possono passare inosservati, non devono; dovrebbero essere approfonditi, discussi e non nascosti come è successo fino ad ora. Scritto e diretto da Vincenzo Pirrotta, Sacre-Stie trascina fuori da un tunnel oscuro una tra le scabrosità più violente che solo in questo ultimo periodo è stata messa in luce: la pedofilia all’interno della chiesa. I continui flashback di cui si serve il testo per narrare vicende lontane costituiscono il terreno di un presente doloroso: da un passato che riaffiora tra poesia, passionalità e impudicizia maniacale, un cardinale si ritrova a fare i conti con un suo diocesano tornato a vendicare la sua infanzia e la sua vita perduta per colpa dello stupro avvenuto tra le mura ecclesiastiche tanti anni prima.

foto di Angelo Maggio

Filippo Luna è uno strepitoso Principe di Dio posseduto da Satana: ma il diavolo non è che un abbaglio, come lo stesso Dio, dietro cui si nasconde l’ossessione schifosa che lo abita.  La sua figura omosessuale si palesa sin dall’inizio, in un rapporto morboso che ha con il suo segretario, un accondiscendente Marcello Montalto, che esegue i suoi ordini. A poco a poco la perversione dilaga lasciando emergere i peccati di cui il cardinale si è macchiato: l’uomo viene legato a una sedia da un giovane prete che furente entra con una pistola nel suo studio. Interpretato da un convincente Alessandro Romano, il giovane diacono rivive l’incubo dei momenti passati in segreto nell’ufficio del cardinale – a suo tempo rettore dell’istituto dove studiava – e di quelli all’interno del confessionale dove, ancora bambino, perdeva la sua innocenza. Attraverso il racconto i due si spingono in un territorio impervio con un’estrema crudezza e allo stesso tempo una poesia carica di violenza verbale. Pirrotta con il suo testo si chiede perché la chiesa abbia cercato sempre di nascondere questi crimini; la rabbia nei confronti di coloro che abusano, in nome della religione, di ragazzini innocenti e puri è talmente alta che il regista fa anche i nomi di chi è rimasto a guardare, come lo stesso Papa Ratzinger, accusato di aver nascosto le prove che infangavano i sacerdoti della chiesa. La denuncia di Pirrotta è così diretta e senza mezzi termini che gli è valsa la scomunica. Il testo del drammaturgo e regista siciliano diventa ancor più un bellissimo atto di responsabilità che andrebbe sostenuto e abbracciato, a cominciare dagli operatori che potrebbero osare e dare spazio a uno spettacolo così spinoso ma necessario, prendendosi la loro parte di coraggio.

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari

Carlotta Tringali