retrospettiva teatro castellucci

E la volpe disse al corvo: il teatro di Romeo Castellucci

Parsifal3©Bernd-Uhlig_Le-Monnaie

Parsifal_foto di Bernd-Uhlig_Le-Monnaie

Un telo grande, grandissimo, nella sua immacolata bianchezza e leggera purezza sta a dividere lo sguardo dello spettatore da quello che privatamente succede sul palco. Non è dato vedere, non è dato capire. Si può solo immaginare. Nella mente di chi (non) vede inizia un viaggio, un infinito attraversamento di pensieri e colori, parole e emozioni grazie a quel bianco su cui proiettare ciò che si preferisce, dove è ricamato solo un piccolo segno di interpunzione: è una virgola per concedersi una pausa, un ristoro dopo tutto quello che si è visto e ascoltato nelle note melodiose di un Wagner senza tempo e di un Parsifal che non mostra il suo Sacro Graal ma lo cela per renderlo ancora più sacrale. Stiamo parlando della visione di un’opera eccezionale, il Parsifal diretto da Romeo Castellucci e visto al Teatro Comunale di Bologna, per costruire un approfondimento sulla “retrospettiva” che il Comune di Bologna ha dedicato al regista fondatore della Socìetas Raffaello Sanzio a partire da gennaio e che va a concludersi in questi giorni con gli ultimi appuntamenti di E la volpe disse al corpo: Corso di Linguistica Generale. Il teatro di Romeo Castellucci nella città di Bologna. Cinque mesi di importanti giornate che hanno riattraversato l’opera di uno dei più importanti registi non solo in Italia, ma nel mondo.
Quella virgola sul telo bianco può assumere tante accezioni: è il Graal che non possiamo vedere; è il disco nero che parte dall’ombelico di Sigfried e in un attimo inghiotte tutta la scena catapultandoci in un’illusione tenebrosa; è il buco nero che tutto attrae e richiama a sé, mangiando pensieri e corpi, energie e vibrazioni; è quel buco che dopo aver abitato l’opera Parsifal, aver attraversato il sepolcro di Lazzaro in Uso umano di essere umani arriva a Giudizio Possibilità Essere, spettacolo presentato nella Palestra di Arcoveggio nel mese di aprile. Come se in tutti questi lavori ci fosse continuamente una negazione della visione e una valorizzazione di altri sensi – oltre i cinque classici, la percezione che ce ne possano essere altri all’interno del proprio corpo: lo spettatore è chiamato a esperire ciò che accade in scena nella sua interezza, perché in quel momento in cui si è accolti su una poltrona o si attraversa l’ex Ospedale dei Bastardini di Bologna o si è seduti in terra all’interno della palestra di Arcoveggio, il rito che sta accadendo chiede al corpo di partecipare con ogni sua fibra, vibrazione, sensazione più recondita e sconosciuta alla coscienza.

RomeoCastellucci2©You-Wei-Chen

RomeoCastellucci_foto di You-Wei-Chen

Il telo bianco, le punteggiature e il buco nero non sono che dei piccoli dettagli nell’immensa visione di un uomo che porta sulle spalle trent’anni di importante carriera. Talmente significativa la sua visione che in molti negli ultimi anni gli hanno dedicato studi e ricerche. Proprio per questo, all’interno dei cinque mesi di retrospettiva, ha avuto luogo ad aprile presso il Palazzo Marescotti di Bologna La Quinta Parete, convegno internazionale a cura di Piersandra Di Matteo, interamente rivolto al lavoro di Castellucci. Tanti gli ospiti che hanno affrontato da diverse angolature, offrendo interessanti spunti di riflessione, il teatro di Castellucci; curioso che il regista fosse lì tra il pubblico, seduto ad ascoltare, silenzioso e attento alle analisi dettagliate che riguardavano un lavoro che svolge quotidianamente. Sicuramente non capita spesso, anzi in generale ciò che sta succedendo a Bologna è da considerarsi una rara eccezione (bisogna infatti sottolineare come Il Comune di Bologna, dopo aver dedicato dei focus a Cage e Celati nei due anni passati, abbia organizzato una retrospettiva dedicata a un artista ancora in vita e soprattutto attivo e realmente impegnato a realizzare ogni anno nuovi lavori di spessore). Tra i temi più interessanti che sono stati sollevati durante il convegno (in cui sono intervenuti Marco De Marinis, Joe Kelleher, Dorota Semenowicz, Enrico Pitozzi, Eleni Papalexiou, Shintaro Fjii, Daniel Sack, Lucia Amara, Marcello Neri, Marie Hélène Brousse e Adele Cacciagrano) vorrei ricordare l’intervento di Marcello Neri: non uno studioso, non un teatrante ma un professore incaricato di teologia cattolica presso l’Università di Flensburg. Il teatro del corpo, l’enigma liberato – questo il titolo del suo focus – ha portato un’alta riflessione su come il corpo appare liberato dalle sovrastrutture del logos, dagli addomesticamenti della cultura, alterandosi in qualcos’altro, in un corpo che quasi tocca l’animale. Neri ha sottolineato un punto che qui abbiamo preso in precedenza: «non è un teatro del visibile, dell’immagine, ma il teatro del corpo è una convocazione dell’insieme dei sensi; ed ecco che l’estetico accende l’etico perché si presenta con la capacità di convocare l’intero apparato sensorio».

Giudizio-Possibilità-Essere4@ZugicSonja

Giudizio-Possibilità-Essere_foto di Zugic Sonja

Questo intero apparato sensorio è stato chiamato in causa durante lo spettacolo Giudizio Possibilità Essere: amplificando le onde del suono, impossibili da udire a orecchio umano, che corrono sull’orlo del buco nero per poi essere inghiottite per sempre; richiamando un dolore immenso, ma solo ipotetico, all’idea di tagliarsi la lingua per non proferire più parola, come fanno le 12 fanciulle in scena al loro ingresso; con la mancanza di sincronizzazione tra il labiale delle attrici e le loro voci registrate; attraverso i versi declamati dei personaggi rievocati in scena (Pantea, Empedocle, Pausania, Crizia, Ermocrate), propri dell’antica Grecia, in leggera differita nella loro restituzione sonora, proveniente da fonti altre quali radio o dalle armi portate dalle fanciulle; con il gesto delle donne che si autogenerano, autopurificandosi e riconsegnandosi a una nuova nascita. Lo stupore e, quindi, il coinvolgimento dell’intero apparato sensorio, rimane sempre una delle caratteristiche principali del teatro di Castellucci: uno dei pochi che riesce a far godere occhi, stomaco e intelletto.

Carlotta Tringali