Roberto Citran

Sogni lontani

Recensione a Il Sogno – reading di e con Roberto Citran

Scritto sul finire degli anni quaranta e pubblicato nel 1962, Sogno di una cosa è il romanzo d’esordio di Pier Paolo Pasolini, che in questo esperimento narrativo descrive, a suo modo, il mondo contadino friulano dell’immediato dopoguerra.

Roberto Citran, foto di Claudia Fabris

Roberto Citran, foto di Claudia Fabris

Protagonisti sono il “Lodo De Gasperi”, la ricerca di una vita migliore emigrando all’estero, i difficili rapporti tra i due sessi, le sagre di paese dove i ragazzi si incontrano e nascono nuove amicizie e le rivendicazioni nate al fine di far rispettare una legge che stabiliva rapporti di lavoro più equi tra proprietari terrieri e contadini,
Roberto Citran porta queste situazioni in scena, facendo di Sogno di una cosa il testo da cui attingere per costruire uno spettacolo di teatro di narrazione. L’attore padovano racconta la storia di un gruppo di giovani amici che lotta contro la disoccupazione, vive le prime avventure amorose, inneggia al comunismo e non perde occasione per far festa. Un gruppo destinato a crescere, a prendere parte della propria spensieratezza, ad imbattersi negli oneri di una famiglia più o meno voluta, a scontrarsi con la pericolosità e la necessità di un lavoro che può finire con l’uccidere.
In scena solo un tavolo, due sedie e, in un angolo, illuminata, una bicicletta abbandonata. Sul tavolo una bottiglia e un bicchiere di vino. Vino che qui assurge a ruolo di collante sociale, simbolo della vita quotidiana colta nei suoi momenti più gioiosi ed elementari, come il bere e il mangiare, e di quell’aspetto di condivisione insito nella convivialità.
Mentre Citran narra le vicende di Eligio, Milio e Nini, sullo schermo alle sue spalle scorrono i video curati da Antonio Panzuto che si impongono come sfondo visivo, richiamo ai paesaggi friulani tanto amati da Pasolini. In dissolvenza incrociata si alternano immagini di lunghi fili d’erba ingialliti dal sole che ondeggiano al vento, verdi campagne delimitate dalle folte chiome degli alberi e ancora una bicicletta che percorre strade lastricate e sentieri dissestati, quasi a voler condurre il pubblico direttamente dentro la realtà di cui sta sentendo parlare.
Spettacolo ancora da rodare e tecnicamente da rafforzare, Il Sogno si presenta come un’anteprima sulla quale c’è ancora molto da lavorare. Forse cominciando da una riflessione sul perché scegliere oggi un testo come questo.

Visto al Teatro alle Maddalene, Padova

Sara Furlan

Neorealismo distante

Recensione de Il sogno – Roberto Citran

Un testo appartenente a una realtà lontana, ambientato nella campagna friulana del secondo dopoguerra, viene attraversato nei suoi punti salienti da un solo attore in scena: Il sogno di una cosa di Pier Paolo Pasolini torna con sfumature neorealiste nel libero adattamento teatrale di Roberto Citran.

La disposizione degli oggetti sul palco riporta alla povertà tipica di quegli anni successivi alla fine del conflitto mondiale: un tavolo con due sedie, una bottiglia di vino, due bicchieri e una bicicletta buttata in terra; tutti elementi che si ricollegano alla storia narrata da Citran, ma che sembrano troppo didascalici e scontati, non aggiungendo nessuna connotazione originale. L’attore-regista, seduto a quel tavolo, racconta la vicenda di tre amici che scelgono di emigrare verso la Jugoslavia durante la giovinezza per trovare lavoro. Aderendo alla ideologia comunista e sperando di trovare in quest’ultima ciò che nella propria patria non riuscivano ad avere, Nini, Eligio e Milio si ritrovano costretti a tornare a casa, perché consapevoli di essersi illusi e di aver trovato, oltre il confine, una realtà non lontana a quella friulana in termini di qualità della vita.

foto di Claudia Fabris

foto di Claudia Fabris

Citran non riesce a fare inserire lo spettatore nella trama del discorso, non coinvolge: racconta mantenendo sempre una certa distanza dalle vicende, non dona una propria vita alla storia, ma piuttosto sembra studiare un racconto strada facendo, con matita alla mano e appunti da consultare appoggiati sopra il tavolo. La stessa scelta di Cecilia – altro personaggio de Il sogno – giovane incapace di donarsi totalmente all’amore, decisa a farsi suora, e la prematura morte di Eligio sono snocciolate dal suo sguardo esterno come se fossero semplici parti di un racconto e niente più. È un teatro di narrazione troppo povero, non riesce a creare un ponte tra la parola detta e quella scritta; non rimanda a nessun collegamento tra la nostra quotidianità e il mondo contadino ormai scomparso, descritto in questo primo testo scritto da Pasolini.

Proiettato sullo sfondo, il video di Armando Panzuto accompagna Citran nel suo viaggio all’interno de Il sogno di una cosa: immagini di verdi paesaggi, spighe di grano e strade ghiaiose sono riprese con un effetto rallentato, da una bicicletta di cui si intravede solamente il manubrio.

Racconto, video e la insicura prova attoriale di Citran non riescono a far decollare l’entusiasmo dello spettatore, non lo lasciano ‘sognare’: il mondo arcaico del testo pasoliniano non viene rievocato e il pubblico si ritrova escluso da questo universo che non gli appartiene.

Visto al Teatro delle Maddalene, Padova

Carlotta Tringali