scandalo del teatro

Lo scandalo del teatro. Ieri e oggi

“Lo scandalo del teatro”, è stato un momento di confronto e approfondimento durante il festival Vie, organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione e curato da un comitato scientifico di studiosi della Université Paris-Sorbonne e dell’Università di Bologna (Bruna Filippi, Claudio Longhi, il progetto «Haine du théâtre» du Labex Obvil con François Lecercle e Clotilde Thouret).
Il 22 e 23 ottobre “Lo scandalo del teatro” si è discusso in forma di convegno di studi all’Auditorium dei Laboratori DMS dell’Università di Bologna. Il 24 ottobre, a Modena, ha preso la forma di una tavola rotonda dedicata agli artisti e coordinata da Roberta Ferraresi, che ha avuto come ospiti d’onore Belarus Free Theatre.
Il testo che segue è una riscrittura dell’intervento di apertura della tavola rotonda. Aveva l’intenzione di raccogliere stimoli e spunti emersi nei lavori precedenti e rilanciarli, in forma di domande, agli artisti presenti. Ora viene pubblicato in forma discorsiva in vista del convegno “Blasphemìa. Il Teatro e il Sacro”, organizzato a Vicenza il 7 e 8 novembre dall’Accademia Olimpica in collaborazione (fra gli altri) con Rete Critica.

LOCANDINA_SCANDALO_convegno

Scandalo e teatro. Insieme fin dagli inizi, intimamente legati, sempre a rischio di incontro e scontro. La storia è lunga come si è visto nei giorni di convegno fra Bologna e Modena: dalla Grecia classica al Seicento, fino a Ibsen, Victor Hugo, il balletto e la cultura giapponese. E, ovviamente, poi, fino ai giorni nostri.
Il passo sembra breve dalle Grandi Dionisie dell’antica Grecia ai festival del nostro tempo, se si passano in rassegna gli episodi vistosi e numerosi in cui lo spettacolo teatrale ha fatto parlare di sé ben oltre le pagine della storia e della critica del teatro. Basta pensare alla nostra storia recente (le avanguardie degli anni ’70, “la mossa del cavallo” che ha investito i Magazzini, il mito di Carmelo Bene), alle vicende del teatro contemporaneo internazionale (da Rodrigo Garcìa a Castellucci), o anche soltanto all’ultima estate dei festival, aperta a Santarcangelo dallo scandalo di Tino Sehgal e chiusa a Vicenza, in settembre, da quello di Angélica Liddell.

L’arte (e il teatro in particolare) sono campi piuttosto marginali nella società attuale, e producono fatti o eventi altrettanto minoritari, partecipati grossomodo e nella maggior parte dei casi da piccole – seppur vivaci – élite di appassionati. In effetti, la vita minore del teatro, i suoi piccoli eventi, diventano grandi solo in coincidenza a particolari episodi: il teatro diventa argomento di discussione comune, pare, quasi soltanto proprio quando provoca scandalo (e qui ci sarebbe da riflettere, e abbondantemente, su cosa possa ancora oggi scandalizzarci a teatro, domanda non banale né scontata se si valuta il festival di Santarcangelo di quest’anno, fra il polverone sollevato intorno alla coreografia di Sehgal e quello che invece in qualche modo è mancato intorno all’opera di Milo Rau su Anders Breivik).

Se guardiamo agli episodi teatrali che hanno fatto scandalo, possiamo individuare due passaggi fondamentali, spesso ricorrenti: da un lato ci sono i rapporti fra opera e contesto di creazione e fruizione, perché l’arte che dà scandalo spesso va a sovvertire qualche norma più o meno tacita (di carattere morale, politico, ecc.); dall’altro, si realizza un processo di mediatizzazione, all’interno del quale il fatto artistico diventa notizia (scandalosa). Naturalmente, purtroppo, poi, lo scandalo d’arte si può convertire anche in oggetto di percorsi di falsificazione e strumentalizzazione che dimostrano obiettivi altri (peraltro, andando ad agire proprio sul piano del contesto, cioè estrapolando l’opera dall’ambiente in cui e/o per cui è stata creata): per fare un esempio emblematico, è possibile ripensare l’amara vicenda di Genet a Tangeri dei Magazzini Criminali alla luce dei fatti teatrali successivi e delle conseguenze che ha avuto sul gruppo, come la punta vistosa di un iceberg molto più grande che nel nostro Paese, a metà degli anni Ottanta, inaugurava l’impresa del rappel a l’ordre dopo le stagioni (forse troppo) calde e vivaci dell’avanguardia.

Ad ogni modo, quando l’arte dà scandalo, sembra subire uno slittamento – è qualcosa che salta subito agli occhi. L’attenzione, che in origine verteva (o avrebbe dovuto vertere) su di essa, si sposta immediatamente dall’opera al campo della sua ricezione, interpretazione, valutazione; e poi, una volta che lo scandalo è segnalato e comunicato, capita spesso che l’attenzione lasci del tutto l’ambito dell’opera (o anche addirittura dell’arte) per svilupparsi infine tramite ragionamenti più ampi, ad esempio, su cosa sia giusto o sbagliato, lecito o meno; su quale sia il ruolo dell’arte nella società, quali i suoi limiti d’azione; più ampiamente, su questioni che riguardano in fondo l’identità stessa di una o più comunità.
E, da qui, si osserva un secondo fatto degno di interesse negli scandali d’arte e del teatro: al di là dei casi poco dignitosi di strumentalizzazione da parte della comunicazione e della politica – di cui comunque è fondamentale tenere conto –, in questi episodi l’opera d’arte supera abbondantemente i canoni delle modalità di fruizione passive o contemplative, si sposta nello spazio pubblico e innesca (nel migliore dei casi) dibattito, attivando prima il pubblico in sala e poi quello in senso lato dei cittadini, che magari non hanno visto il lavoro in questione ma sentono comunque di dover intervenire in merito.

Diceva François Lecercle, nel suo intervento che ha aperto il convegno bolognese, che uno degli elementi-chiave che consentono al teatro di dare scandalo è la sua capacità connaturata di poter debordare fuori da se stesso, nella società.
Quando il teatro eccede i limiti del proprio spazio diventa “osceno”, appunto esce dalla scena. Ciò significa che quando parliamo dei rapporti fra scandalo e teatro rimandiamo in primo luogo a un territorio dove si negoziano le relazioni fra il mondo dell’arte e quello della realtà, dei suoi confini e delle sue norme.
Lo scandalo del verismo – dalla Cappella Sistina a Courbet – avrebbe molto, moltissimo da dire su questo. E lo stesso generazioni e generazioni di teatro politico in senso stretto e lato, in cui gli artisti hanno voluto affrontare, discutere, a volte anche cambiare, questioni calde d’attualità o nervi scoperti nelle comunità presso cui stavano operando.
C’è un lungo filo rosso che si può rintracciare all’interno di tutti questi episodi e che attraversa in misura diversa buona parte dei casi artistici che hanno dato scandalo: astraendo e generalizzando al massimo, fra scandali antichi e moderni, veri e falsi, più o meno fondati, il punto è – mi sembra – che quando l’arte si avvicina troppo alla realtà e prova a toccarla davvero, allora, lì, sì, dà scandalo.

Ma c’è un’altra domanda che è importante affrontare, e che ci riguarda ancora più da vicino, e cioè: ma perché proprio il teatro, forse più o almeno più specificamente che le altre arti?
Il teatro è ritenuto altamente pericoloso fin dalla Grecia antica: si sa per esempio che rappresentava una delle grandi preoccupazioni di Platone. Perché? Fra altre cose ben più note, si potrebbe notare come il filosofo mettesse in guardia – com’è stato ricordato durante il convegno – dalla capacità del teatro di incidere direttamente e radicalmente su chi lo vede e fruisce.
Ma non c’è solo questo rischio legato alla osservazione dal vivo di un dramma nel momento stesso in cui si consuma. L’intervento di Silvia Bottiroli – Università Bocconi e direttrice del festival di Santarcangelo – ci permette uno sviluppo ulteriore: in un passaggio della sua interessante rassegna su opere d’arte che hanno dato scandalo nel contemporaneo, ha riflettuto sull’importanza del fatto che le arti performative fondino il proprio dispositivo visivo sul piano della reciprocità. Cioè, non solo lo spettatore a teatro guarda qualcosa che accade live, lì davanti ai suoi occhi, e vi partecipa direttamente; ma lo spettatore a teatro si accorge (come non mai) che anche l’opera lo sta guardando, lo riguarda, riflette noi e su di noi – un artista come Romeo Castellucci torna da anni su questo punto.

Quando si parla di teatro e scandalo, dello scandalo del teatro, il fatto artistico diventa quindi un fatto politico in diversi sensi e a differenti livelli, proprio per questa sua capacità di debordare dai propri confini, di riguardare direttamente chi ne fruisce, di attivare la fruizione, di incidere forse addirittura sulla realtà degli spettatori e, di conseguenza, su quella circostante, anche fuori, ben oltre, gli stessi teatri.
Resta quindi da chiedersi, in modo non retorico, visti tutti gli scandali che ultimamente sta inanellando la scena contemporanea della ricerca: può il teatro davvero toccare la realtà, aprirvi squarci e creare scandali? Può realmente incidere su di essa, provare a cambiarla?

Roberta Ferraresi

APPROFONDIMENTI

MAGAZZINI CRIMINALI (1984)
I Magazzini di Sandro Lombardi e Federico Tiezzi presentano Genet a Tangeri per il festival di Santarcangelo dell’84 nel macello di Rimini. Il fatto solleva un vero e proprio caso, prima teatrale, poi soprattutto politico, che attira l’attenzione anche fuori dal teatro: c’è chi sostiene che la compagnia avesse ucciso un animale (un cavallo) in scena, mentre si trattava del normale svolgimento (fuori scena) dei lavori del mattatoio.
> Ferdinando Taviani ha ricostruito l’accaduto e soprattutto il processo di mediatizzazione (quando non di falsificazione) che ha irradiato in La mossa del cavallo, inizialmente preparato per il Patalogo di quell’anno e ora incluso anche nel suo Contro il mal occhio (Textus, 1997).
RODRIGO GARCÍA (2007)
Fra i numerosi spettacoli considerati provocatori, contestati e anche censurati dell’artista (l’ultimo in ordine di tempo è Golgóta Picnic), in Italia ha destato scalpore – soprattutto da parte degli animalisti – nel 2007 Accidens (matar para comer), in cui il performer in scena cucinava un astice vivo e poi lo mangiava.
> L’intervento di Renzo Martinelli e di García in seguito alle contestazioni al Teatro I di Milano >>>
ROMEO CASTELLUCCI (2011)
Nel 2011 lo spettacolo Sul concetto di volto nel figlio di Dio provoca polemiche, proteste e aggressioni da parte dell’integralismo cattolico, prima in Francia e poi a Milano.
> La lettera aperta di Romeo Castellucci in seguito alle aggressioni esplose intorno al suo Il concetto di volto nel figlio di Dio >>>
> L’appello a sostegno della rappresentazione del Concetto di volto sul sito Ateatro.it (comprensivo di una ricca rassegna stampa) >>>
TINO SEHGAL A SANTARCANGELO (2015)
Nel luglio 2015 una performance firmata da Tino Sehgal fa scalpore al festival di Santarcangelo, per via delle scene di nudo e in particolare di un’azione che vede il performer orinare nello spazio pubblico.
> Il testo della direttrice Silvia Bottiroli in merito alle contestazioni sollevate >>>
> Una rassegna di Ateatro.it sugli scandali teatrali, a partire dalla vicenda di Sehgal >>>
ANGÉLICA LIDDELL A VICENZA (2015)
Nel settembre 2015 si scatenano polemiche (preventive) intorno al nuovo lavoro dell’artista, Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi, che doveva debuttare nel contesto del Ciclo di Spettacoli Classici.
> L’intervento di Roberto Cuppone in seguito alle polemiche su Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi di Angélica Liddell contestato a settembre 2015 a Vicenza >>>