Silvio Castiglioni

Libero arbitrio

Recensione a Il silenzio di Dio – progetto di Silvio Castiglioni, produzione Celesterosa e I Sacchi di Sabbia.

Silvio Castiglioni porta in scena Il silenzio di Dio, un progetto in due atti. Il primo, Casa d’altri, è tratto dall’omonimo racconto di Silvio D’Arzo, il secondo Domani ti farò bruciare è ispirato invece al capitolo Il grande inquisitore de I fratelli Karamazov di Dostoevskij.
In scena solo tre microfoni ad asta e rigido, in piedi, vestita di lungo abito ecclesiastico, la figura di un eccessivamente alto prelato echeggia quella del vicario de La monaca di Monza rappresentata nel ’67 da Luchino Visconti. Da lassù, posizione privilegiata, il funzionario di Dio, consiglia, giudica o lascia correre, esercitando la sua professione di sacerdote in un piccolo paese di montagna. Tutto procede senza intoppi fino a quando una vecchietta lo pone di fronte a una domanda a cui egli non può rispondere: e se lei volesse uccidersi? Il tema del suicidio visto con gli occhi di un’anziana signora, stanca delle fatiche quotidiane e spaventata dal protrarsi della vecchiaia, cammino in salita verso la morte, ci appare qui in tutta la sua drammaticità.

Silvio Castiglioni, foto di Andrea Cravotta

Silvio Castiglioni, foto di Andrea Cravotta

Ad essa fa da contraltare lo spregiudicato cinismo di un demone, protagonista del pezzo successivo. Il seguace di Lucifero, intraprende una sagace invettiva contro Gesù Cristo accompagnata dalla comicità con cui cerca di gestire il prorpio corpo, dal fare legnoso, che gli sfugge continuamente. Lo accusa di aver abbandonato gli uomini a se stessi, di aver voluto dare loro la libertà, senza farsi carico del rischio che questa decisione comportava, d’aver deciso per loro ma senza conoscerli, perché se li avesse conosciuti avrebbe capito che, tanto deboli quanto sono, così agendo, li avrebbe condannati, non certo salvati. Ciò che facilmente accomuna i due testi è la mancanza di una risposta “dall’alto”, ma interessante è il loro accostamento anche nel momento in cui questo porta a rileggerli uno in funzione dell’altro. Ed è allora che ci si accorge di come entrambi facciano riflettere, partendo da presupposti diversi, principalmente su due aspetti.

foto di Andrea Cravotta
foto di Andrea Cravotta

Da una parte l’inadeguatezza della Chiesa e del mondo religioso, da sempre troppo distante dalla vita reale per comprenderne difficoltà ed esigenze, dall’altra il libero arbitrio, strumento che ci rende sì liberi di scegliere, ma che al tempo stesso ci incatena alla logica per la quale unici colpevoli dei nostri peccati saremo sempre e solo noi. Un’arma a doppio taglio che, rende decisamente ostico il rapporto tra umano e divino. Mirabile prova d’attore di Castiglioni che, sebbene parta sotto tono in entrambi i pezzi, poi recupera ritmo e riesce a catturare l’interesse degli spettatori, mostrando anche un’estrema capacità di controllo corporeo, tanto nella ricerca dell’immobilità in posizioni innaturali, quanto nella mimica contorta e nella gestualità scomposta, attentamente studiata, che caratterizzano la sua interpretazione del demone.

SaraFurlan

L’uomo si fa uomo

foto di Andrea Cravotta

foto di Andrea Cravotta

Le previsioni meteo, ieri, promettevano tempesta: i tre spettacoli in cartellone – Una vita importante, di Paolo Civati e con Maria Sole Mansutti; Tragedia tutta esteriore, di quotidiana.com; Il silenzio di Dio, di Silvio Castiglioni – sono stati tutti allestiti all’interno del Bastione Alicorno, con solo brevi intervalli tra le diverse rappresentazioni. Da questa piccola maratona teatrale è scaturita la serpeggiante sensazione di un filo conduttore che ha in qualche modo unito i tre angusti spazi del bastione, aprendo la possibilità – nonostante l’estrema diversità dei lavori – ad una riflessione più generale.
Lo sguardo, in assoluta coerenza con il tema del Festival, guarda al cielo, ma attraversa gli astri per cercare di vedere oltre: cosmologie che si allontanano dalla scienza per interrogare la religione. Se la Mansutti dipinge una Vergine Maria umanissima ed adolescente, i Quotidiana rompono i loro silenzi con le più disparate domande, tra cui alcune, irriverenti ed esilaranti nel loro straniante susseguirsi, sull’esistenza di Dio. Castiglioni, invece, affianca al monologo di un prete, senza parole di fronte una donna che vorrebbe suicidarsi, l’invettiva di un demone dietro cui si cela Il Grande Inquisitore di Dostoevskij.
Lavori che esternano un desiderio di un Dio più umano, credibile, vicino; un Dio con “i piedi per terra’”. In questo anno galileiano in molti sembrano volere puntare il telescopio sul pianeta Terra, anziché guardare all’universo e chiedersi cosa “move il sole e l’altre stelle”. Come se il mistero avesse ormai esaurito tutto il suo fascino, stanchi di un Dio che non risponde alle domande, che non si manifesta se non attraverso riti e catechesi ormai desueti e svuotati. Alla richiesta di elevarsi verso Dio, rinunciando a ciò che della natura umana ci tiene maggiormente ancorati al terreno, si potrebbe rispondere con una domanda: perché non scende, un po’ Dio verso di noi? Forse a lui costerebbe decisamente meno fatica. Ci si sentirebbe, così, meno soli. Una domanda appena sussurrata attraverso il sorriso splendido della Madre di Gesù della Mansutti, che si fa più esplicita nelle dissertazioni psuedoteologiche e ‘tutte esteriori’ di Roberto Scappin e Paola Vannoni, per essere, infine, urlata da Castiglioni.

Quello che viene dipinto è un uomo con le sue necessità più umane, vere, concrete. Un uomo spinto dalle contingenze a guardarsi intorno più che verso l’alto. Un uomo stanco di risposte insoddisfacenti, sermoni e paternali che trova nella libertà di dubitare la sua essenza, la sua forza, seppur, spesso, non la felicità.
Le alte guglie delle cattedrali gotiche non impressionano più, i discorsi alle finestre non convincono, anzi, spesso, risuonano troppo lontani dalla realtà, contro ogni bisogno umano. Il “mentire in maniera intelligente” ammesso con orgoglio dal Grande Inquisitore, rappresentante di un sistema tutt’oggi saldo e potente, forse è un po’ stato smascherato in questa ricerca di un uomo che assomigli un po’di più a se stesso. Un uomo che non si vuole più vergognare delle sue necessità più basse: vengono in mente dei versi di Bertolt Brecht, dalla sua Opera da tre soldi, che, con ironia, spiega questo concetto con sintetica semplicità:

Voi che alla retta via ci esortate
e ad evitare il fango del peccato
prima di tutto fateci mangiare
e poi parlate pure a perdifiato.
Voi che alla nostra ciccia tenete e al nostro onore,
date ascolto, sappiatelo, è così:
solo saziato l’uomo può farsi migliore!

Silvia Gatto