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La Tosse fra continuità e rinnovamento. Intervista a Emanuele Conte

Kronoteatro - "Pater familias"

Emanuele Conte, alla direzione del Teatro della Tosse dal 2007, ci porta dentro le modalità di lavoro, gli obiettivi e le funzioni che può avere un Teatro Stabile privato in rapporto alla propria città. Prima con la collaborazione di Massimiliano Civica (2007-2010), ora con quella di Fabrizio Arcuri, Conte ha deciso di portare avanti il lavoro su più livelli a partire da un unico, sostanziale desiderio: tenere il teatro più aperto possibile. Andiamo a vedere come, anche in rapporto alla rassegna Pre-visioni, che vede quest’anno la propria prima sperimentale edizione.

A partire dal 2007 al Teatro della Tosse è successo qualcosa. Volevamo innanzitutto chiederle quali sono gli elementi di continuità e quali invece di rinnovamento.

Intanto va detto che la volontà del cambiamento manifestata da tutti è stata fondamentale, perché i mutamenti o li governi o li subisci. Naturalmente la morte di Emanuele Luzzati è stato uno degli elementi non voluti, ma inevitabili – questo sicuramente in qualche modo ci ha modificato molto come persone, nel lavorare… È stato uno dei segnali dell’inevitabilità del cambiamento: stiamo parlando di un Teatro che aveva più di trent’anni di vita.
Altro elemento di riforma: la trasformazione, nel 2005, da Cooperativa in Fondazione, struttura che prevede una stabilità e che ha portato il Teatro della Tosse a diventare di proprietà dello Stato. Possono sembrare dettagli tecnici, ma in realtà possiedono ricadute enormi sul processo di lavoro: per esempio, questo passaggio ci ha obbligati a dotarci di un patrimonio mobiliare e immobiliare la cui gran parte consiste nelle opere che Luzzati ci ha lasciato. Quindi gli obiettivi della Fondazione non corrispondono soltanto a fare spettacolo o a promuovere la cultura in tutte le sue forme, ma anche a mantenere vivo il lavoro di questo grande artista. Infatti, il 2007 è stato un anno di profonda transizione, interamente dedicato al suo lavoro: sono stati realizzati una mostra itinerante – composta non solo di disegni, ma anche di scenografie vere e proprie – che si è mossa da Genova a Torino e a Roma, e poi anche numerosi spettacoli, fra riprese di sue scritture e lavori inediti che utilizzavano le sue idee sceniche.

Ma non ci siamo fermati lì. In seguito, abbiamo accolto per tre anni come co-direttore artistico assieme a Tonino Conte, Massimiliano Civica, che ci ha rimesso in contatto con le realtà del teatro emergente nazionale – dimensione che si può considerare anche in relazione all’essenza della storia del Teatro della Tosse, che si è distinta in gran parte per l’ospitalità di grandi spettacoli, italiani e stranieri. Un altro elemento del lavoro con Civica corrisponde al discorso sulla creazione di una compagnia stabile di giovani, che hanno lavorato e sono cresciuti con noi per tre anni. Questi attori, oltre ad essere impegnati nelle creazioni della Tosse, hanno avuto l’opportunità di completare il proprio percorso formativo lavorando ogni anno con registi diversi (Claudio Morganti, Marco Manchisi, Valerio Binasco).

Quando ho assunto la direzione artistica, credo di aver voluto lavorare su alcuni elementi di continuità con la storia del Teatro della Tosse. E penso che sia anche importante avere la possibilità di cooperare ogni tre anni con un collaboratore artistico – per questa stagione e per le prossime due è Fabrizio Arcuri, con cui stiamo consolidando il lavoro con i gruppi internazionali – per non perdere il contatto con quello che è l’esterno. Credo sia importante per il Teatro della Tosse non rischiare di chiudersi in se stesso, nei suoi ricordi e nella sua storia, ma mantenere sempre dei punti di contatto con il teatro nazionale e internazionale.

Uno degli elementi che mantengono la tradizione del Teatro della Tosse è quello di essere un teatro d’apertura – che è anche testimoniato dal fatto che abbiamo un pubblico con un’età media bassissima (l’80% è sotto i 40-45 anni). In questo contesto si collocano anche gli spettacoli in estiva: creazioni itineranti che richiamano grandi numeri di spettatori; secondo me, hanno il grande vantaggio di fare un teatro rispettabile, nei contenuti e nelle idee, raggiungendo un grande pubblico che diversamente non andrebbe a teatro. Non escludo che questa freschezza del nostro pubblico non derivi anche dai contatti che riusciamo a conquistare con gli spettacoli estivi, dove in 15 giorni ci son 6-7 mila presenze.

Suite case – “A4”

Nei termini di questa recente trasformazione, come è cambiato il rapporto della Tosse con il pubblico e con la città?

Una cosa di cui sentivo molto il bisogno era quella di aprire il teatro il più possibile: il teatro deve essere un servizio, deve essere una casa aperta. Per cui abbiamo avviato corsi di recitazione, di scenografia, di movimento, di maschere, di teatro per bambini… E poi abbiamo aperto la terza sala del Teatro in una nuova veste, in forma di locale: il progetto de La Claque in Agorà che è attivo dal 2009 e possiede una propria identità e con cui abbiamo cercato di mantenere una dimensione separata da quella del teatro strettamente inteso. Al di là che si tratta di un percorso interamente auto-sostenuto, che non dispone dei finanziamenti pubblici, ci ha permesso di raggiungere un pubblico diverso, attraverso un altro tipo di programmazione – musica, teatro comico, cabaret, bizzarrie, serate di varietà – che lavora sempre e solo in seconda serata. In questa sede abbiamo avuto l’opportunità di veicolare il nostro materiale informativo anche a un pubblico che si muove diversamente.

Per quanto riguarda il rapporto con la città, credo che ora il pubblico senta di nuovo la nostra presenza; gli ultimi anni della Tosse sono stati un po’ difficili, c’era forse un po’ di stanchezza, sentivo che stavamo un poco allontanandoci dalla gente, sentivamo che dovevamo ricostruirci ma non sapevamo come. Adesso mi sembra che la strada sia abbastanza segnata e che possiamo solo crescere.

Una grande importanza per me ha poi il teatro ragazzi, che abbiamo incrementato enormemente. Tutte le domeniche della stagione, prima degli spettacoli, abbiamo attivato dei laboratori gratuiti per bambini, che possono venire nel foyer a giocare nello spazio che ci ha regalato Ikea, o seguire laboratori creativi, che insegnano ad esempio a realizzare strumenti musicali con materiali di riciclo, burattini, a raccontare storie…

Credo sia molto importante che tutto il teatro lavori sempre: chiunque venga in qualsiasi momento fra ottobre e maggio non trova mai solamente una sala utilizzata, perché sta sempre succedendo qualcosa anche altrove… Da una parte c’è qualcuno che prova, dall’altra qualcuno che fa spettacolo, chi prepara una scenografia, qualcuno che suona… Soprattutto quando è cominciata la crisi ho pensato che dovevamo lavorare di più: se si comincia a ritrarsi, non viene più il momento di riaprirsi. È molto pericoloso tirare i remi in barca, perché poi la corrente non sai dove ti porta… e noi ci siamo messi a remare come pazzi! Se hai un patrimonio, un valore – come una Fondazione con questa storia – credo che debba essere sfruttato il più possibile. Sono convinto che quando finirà questo periodo nero chi ha continuato a investire, avrà dei riconoscimenti dal pubblico e dalla gente.

La stagione del Teatro della Tosse è articolata in sezioni con nomi come Appunti sul futuro,  Tradizione della rivoluzione, Movimenti del Presente e Danza con me. C’è inoltre la parte dedicata a Pre-visioni…

Un bel nome che Fabrizio Arcuri ha trovato su un’idea per cui mi batto molto. Al di là delle enormi difficoltà e dei costi, credo che se sei un teatro, seppure privato, hai anche una funzione pubblica, dunque è essenziale trovare il modo di dare la possibilità a gruppi teatrali che non hanno una sede di avere un’occasione di visibilità e anche di incontro come si sta rivelando Pre-visioni. È il primo esperimento di un’idea che intendevo realizzare da tre anni e sono sicuro che possiamo anche migliorare la formula. Ma come primo esperimento lo trovo molto riuscito: fra gli spettacoli che abbiamo visto ci sono cose più o meno finite, che possono piacere o meno, ma in tutte riconosco la dignità di essere viste.

Sono arrivati 51 progetti, fra cui sono stati selezionati i 7 in rassegna. Il bando, per questo primo anno, era aperto – non c’erano parametri specifici oltre quello territoriale – e si è fatta molta selezione sui progetti. L’anno prossimo mi piacerebbe stringere di più. Anche se va detto che abbiamo assunto naturalmente una direzione, nelle fasi di selezione, ovvero quella di valorizzare progetti drammaturgici originali. Mi sembrava importante che questa vetrina si aprisse non solo ad attori e registi, ma anche alle nuove scritture. Fra queste si trovano, per esempio, il progetto di Radio Aut della Compagnia Filò, che abbiamo visto in fase embrionale, così come Vai che sei forte! di Marco Arena e Paolo Fittipaldi che chiude la rassegna – un lavoro che va a ficcare il naso là dove c’è un guasto, nei casi di cattiva amministrazione che sono gli  inspiegabili misteri italiani.

Fra tutte le proposte arrivate al bando di Pre-visioni e quelle selezionate per la rassegna, che idea si è fatto della nuova scena contemporanea ligure?

Innanzitutto va detto che non ho voluto far parte della giuria perché ho troppi legami con il territorio, per cui conosco davvero solo i progetti selezionati.
Quindi, per quello che ho visto finora, devo dire che ho trovato cose molto, molto diverse. In generale c’è un livello tecnico alto, molto buono; dal punto di vista concettuale, invece, devo dire che ci sono contenuti che mi sono sfuggiti.
Altro elemento di continuità si trova nella provenienza degli artisti in rassegna: la maggior parte degli attori proviene dalla scuola dello Stabile di Genova, che è stata una delle più importanti e delle più serie perché aveva la peculiarità di avere insegnanti consapevoli di non dover appiattire gli allievi, credendo nel fatto che ogni attore debba mantenere una propria individualità. Ciò significa che vi si sono formati attori molto diversi fra loro – e forse questo è un elemento che Pre-visioni riflette. Poi va detto che, assieme al lavoro dello Stabile, c’è stato proprio quello della Tosse, che negli ultimi dieci anni ha sempre prodotto una decina di nuovi spettacoli l’anno che coinvolgevano moltissimi artisti della città. Ci sono state figure importanti, come quella di Luzzati o di Tonino Conte, che hanno sicuramente segnato molto i giovani del territorio: credo che tutti questi artisti sparsi per la Liguria abbiano intersecato in qualche modo il lavoro nostro e dello Stabile, due entità che hanno creato numerose affiliazioni. C’era molto lavoro a Genova, per cui tanti attori provenienti dalle diverse parti d’Italia poi si sono fermati qui; dunque c’è tanta professionalità e molto materiale in Liguria – attori ma anche scenografi, costumisti… – ed è per questo che Pre-visioni trova una sua ragion d’essere, di venire sviluppata e promossa nei prossimi anni, per farla crescere e darle visibilità.

Roberta Ferraresi / Carlotta Tringali

Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Teatro e Critica

La precarietà secondo Casales e Lisma

Recensione a La squadra di bowling – di Beppe Casales
L’Operazione – di Rosario Lisma

Tra sfumature di apatia e determinazione, entusiasmo e frustrazione, è un affresco amaro quello che si è osservato nella prima serata del Festival Pre-visioni al Teatro della Tosse di Genova. Con La squadra di bowling di Beppe Casales e L’Operazione di Rosario Lisma viene rappresentata la generazione dei trentenni di oggi, divisa tra la voglia di veder riconosciuto il proprio lavoro, sentirsi appagati e la noia in cui si ricade quando un’occupazione non la si ha.

La realtà irrompe in tutta la sua comica amarezza ne La squadra di bowling, scritto da Beppe Casales: tre amici passano le loro giornate sul divano di casa vestiti con la divisa per partecipare ai tornei del loro sport, il bowling. Giocano per gareggiare e vincere trofei, continuano a indossare sempre la stessa maglietta della squadra, ma in fondo non vanno al bowling da due anni: cercano il “quarto”, ma in realtà stanno seduti a bere birra in casa e trovare l’ultimo componente del gruppo sembra impossibile. Aspettano un Godot che non arriva e in fondo non lo cercano veramente: rimangono sospesi in un’apatia che giustifica il loro fare nulla e da cui non escono proprio perché non ne hanno la volontà: «dopo tutto, non ci si deve divertire sempre» come viene detto da uno dei tre ragazzi durante lo spettacolo. Il problema però è che non si divertono mai: Beppe, Davide, Marco – i nomi dei personaggi ma anche degli attori stessi, Beppe Casales, Davide Iacopini e Marco Taddei – sono bloccati in una paralisi di noia, i loro dialoghi diventano monologhi fini a se stessi che agli altri non interessano. Marco con la sua teledipendenza e anti-globalizzazione risulta uno “sfigato di sinistra”; Beppe parla agli amici del suo innamoramento per Giulia ma quando ha la sua vera occasione con lei si tira indietro; Davide polemizza sui discorsi dei suoi compagni continuando a leggere la sua rivista di moto. A ricadere nella noia non sono più i borghesi come ai tempi di Moravia, pieni di soldi e senza scopi, ma i giovani di oggi, frustrati e laureati disoccupati, con degli obiettivi che piano piano scemano perché non trovano una realizzazione; trentenni che si chiedono il motivo dell’esistenza della laurea in filosofia se poi con essa non ci si può far nulla. La squadra di bowling mostra un presente amaro in maniera leggera e ironica, strappa risate al pubblico nel suo semplice schema di sketch per cui i giorni passano e i tre rimangono nel loro immobilismo esistenziale. Una fotografia della generazione dei trentenni che sembra fatta non con una reflex, ma con una fotocamera compatta che rende l’immagine nitida e piacevole senza dare troppa profondità a una disillusa quotidianità.

L'Operazione di Rosario Lisma

Ne L’Operazione – spettacolo vincitore del Premio Nuove Sensibilità 2008 – l’amarezza esistenziale che traspare riguarda lo stesso sistema teatrale, ma getta uno sguardo ancor più ampio sul nostro Paese descritto come «il Paese dei favori, dei ladri, dei truffatori e dei servi» e soprattutto dove non esiste meritocrazia, mentre si potrebbe benissimo parlare di “convenienzocrazia”. Rosario Lisma – drammaturgo, regista e attore della pièce – gioca sul fattore meta-teatrale: all’interno de L’Operazione egli riserva per sé gli stessi ruoli, essendo a capo di una compagnia teatrale impegnata a mettere in scena un testo sul terrorismo dei brigatisti rossi. Affiancato da Andrea Nicolini, Andrea Narsi e Ugo Giacomazzi – e la partecipazione di Lino Spadaro – Lisma punta la luce sulla precarietà dei giovani attori o drammaturghi stessi, senza alcuna tutela e sospesi in una situazione instabile dove oggi si lavora e domani chissà. Tra rassegnazione, depressione ma anche attimi di entusiasmo e di energia, il loro cruccio e obiettivo diventa quello di ottenere una recensione dal «mammasantissima della citazione», il Critico per eccellenza che controlla tutto e grazie al quale si aprono le porte del successo e lavoro assicurato. Una commedia con attori di qualità, uno spettacolo che diverte per la costruzione dei personaggi e per le relazioni che tra loro intercorrono, a tratti comiche o tragicomiche, ma che si dilunga troppo in alcuni meccanismi: si succedono infatti diversi stati emotivi e problemi che in maniera circolare si reiterano per arrivare sempre a denunciare lo stato di malessere diffuso che come una polvere velenosa si propaga nel Belpaese. Polvere che è arrivata ad intaccare anche il sistema artistico-culturale che dovrebbe essere scevro invece di ogni gioco di potere. A essere preso di mira non è solo il critico Mezzasala, spesso nominato e visto come un cinico burattinaio che decide chi muovere e chi lasciare chiuso nel baule in cantina, ma coloro che assoggettandosi a un sistema di convenienze e di falsi sorrisi alimentano lo stesso impianto malato, proprio come fanno gli stessi personaggi de L’Operazione. Ma questa autocritica risulta forse solo una sfumatura di cui ci si dimentica una volta usciti da teatro: a risaltare è quel sistema di cui in fondo non sembra di essere mai complici, ma sempre e solo le vittime.

Visto al Festival Pre-visioni del Teatro della Tosse, Genova

Carlotta Tringali

Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Teatro e Critica