spettacoli teatro aurora

Stagione di Teatro Contemporaneo – Teatro Aurora di Marghera

Mamma, mi leggi una fiaba? E la mamma, al capezzale del letto, ci leggeva un racconto fantastico che ci consegnava al sonno. Poi siamo cresciuti e abbiamo capito che non tutte le fiabe sono poi così lontane dal reale. Che il mondo che ci raccontano è spesso un modello di quello che siamo costretti a vivere. Che a volte le fiabe sono crudeli, amare, nere. Che non tutte le fiabe finiscono bene, e che non tutti gli eroi sono positivi, né tutti gi eroi, alla fine, guadagnano una principessa o un reame…”. Una fiaba disillusa, specchio feroce della realtà, come spiegano le parole del direttore artistico Antonino Varvarà: torna, attorno a questo tema, la Stagione di Teatro Contemporaneo, edizione 2012-2013, del Teatro Aurora di Marghera.

La Stagione, organizzata dall’associazione Questa Nave e dall’Assessorato alle Attività Culturali del Comune di Venezia in collaborazione con la Municipalità di Marghera, dal 17 novembre a maggio inoltrato propone dodici spettacoli in dieci serate, più due appuntamenti speciali firmati da Questa Nave, per portare il teatro fuori dal palcoscenico: le incursioni poetiche negli ascensori del Centro Le Barche di Mestre, e una lettura con video animazioni che andrà in scena nelle case degli spettatori che vorranno ospitarla.

A personalizzare il tema della fiaba saranno chiamati i protagonisti del teatro nazionale e internazionale, da Babilonia Teatri e Gli Amici di Luca con “PINOCCHIO” (in scena attori usciti dal coma), a Giuliana Musso con “LA FABBRICA DEI PRETI”, fino al drammaturgo argentino Rafael Spregelburd, premio Ubu 2010, autore delle fabule morali di “TUTTO” in prima regionale. Ma non mancheranno le compagnie da scoprire come i pugliesi VicoQuartoMazzini / Teatro Minimo (“IL SOGNO DEGLI ARTIGIANI”, per la prima volta in Veneto), e la collaborazione con l’Accademia Teatrale Veneta, che presenterà lo spettacolo di chiusura del percorso triennale degli allievi attori. E, per carnevale, non poteva mancare una fiaba vera e propria, tutta dedicata ai bambini: Francesca D’Este proporrà “La vera storia di Hansel e Gretel”.

Una sezione speciale della Stagione 2012-2013 è poi dedicata alle giovani compagnie del territorio, con il progetto SALA TRAVAGLIO. Il cartellone dell’Aurora ha sempre avuto una particolare attenzione verso i gruppi emergenti del territorio attraverso il percorso “Specie Protetta”; quest’anno, Questa Nave compie un passo ulteriore: “SALA: teatro, prove, riunioni; TRAVAGLIO: attesa, fatica, respiro, lavoro. Abbiamo offerto ai nuovi gruppi del territorio gli spazi che abbiamo in gestione” – spiega Francesca D’Este, dello staff artistico e organizzativo – Non è stata fatta nessuna selezione tra le compagnie; piuttosto, una richiesta: quella del lavoro insieme. Questi gruppi sono qui, sono nella pancia gravida di Venezia, disegneranno il futuro del territorio: abbiamo voluto aprire il Teatro Aurora come un luogo di ricerca di linguaggi, mettendo a disposizione lo staff di Questa Nave per approfondire una vocazione”. I gruppi protagonisti – Empusa Teatro, exvUoto Teatro, H2O non potabile, ItinerisTeatro, La Vanguardia Nonsensista – dallo scorso settembre abitano il Teatro Aurora in residenza, e saranno protagonisti della Stagione con gli spettacoli che essi stessi hanno ritenuto più rappresentativi della propria poetica e che il pubblico sarà chiamato a giudicare. Alcuni di questi gruppi, infine, creeranno insieme uno spettacolo ispirato non a caso al conflitto generazionale presente nel Re Lear di Shakespeare, e che sarà presentato a fine Stagione.

Ulteriore novità dell’edizione 2012-2013, il concorso fotografico “LA STAGIONE PER IMMAGINI”: in un’ottica di partecipazione sempre più condivisa con gli spettatori, il pubblico dell’Aurora è chiamato a reinterpretare il tema della fiaba inviando le sue fotografie alla mail info@questanave.com entro il 15 dicembre. In palio, due carnet per tutti gli spettacoli 2013 del cartellone al Premio del Pubblico e al Premio della Giuria, e le 20 immagini più votate dal pubblico saranno esposte nel foyer del Teatro a partire dal mese di febbraio.

PROGRAMMA

sabato 17 e domenica 18 novembre dalle 21 alle 23 / Centro Le Barche di Mestre
Questa Nave Il vaso di Pandora ovvero Incursioni poetiche di individui per ascensore in movimento
regia di Antonino Varvarà

mercoledì 5 dicembre ore 21
VicoQuartoMazzini – Teatro Minimo Il sogno degli artigiani
di Michele Santeramo regia Michele Sinisi

giovedì 31 gennaio ore 21
Evoè!Teatro Tutto
di Rafael Spregelburd regia Alessio Nardin

lunedì 11 febbraio ore 16 / Sala Consiliare della Municipalità di Marghera
Questa Nave La vera storia di Hansel e Gretel
di e con Francesca D’Este

sabato 16 marzo ore 21
H2O non potabile Comma 212

sabato 16 marzo ore 22
ItinerisTeatro Di doppio andare

giovedì 21 marzo ore 21
Babilonia Teatri – Gli Amici di Luca Pinocchio

sabato 13 aprile ore 21
La Vanguardia NonSensista L’Orazio di Heiner Müller

giovedì 18 aprile ore 21
Empusa Teatro Bersabea

giovedì 18 aprile ore 22.15
exvUoto Teatro Funi E Desideri Rapidamente Ammazzano (F.E.D.R.A.)

aprile e maggio / abitazioni private di Venezia e Mestre
Questa Nave Les Amants du quatriéme ètage – Gli amanti del quarto piano

4 maggio ore 21.00
Giuliana Musso La fabbrica dei preti

maggio – data da definire
Accademia Teatrale Veneta Spettacolo conclusivo del triennio di formazione professionale

maggio – data da definire
Lear o del conflitto generazionale (titolo provvisorio)
di e con Empusa Teatro, H2O non potabile, ItinerisTeatro

Come uno scarafaggio sul marciapiede

Recensione a Come uno scarafaggio sul marciapiede – regia di Antonino Varvarà

È luogo comune ormai pensare che sia il malessere più che il benessere a rendere l’uomo creativo, che sia la necessità o l’assenza di qualcosa a smuovere l’intelletto e a stimolare la produzione di forme artistiche che siano allo stesso tempo espressione e catarsi. Forse è per lo stesso motivo che da qualche tempo gli artisti vengono percepiti dalla società come gli eterni scontenti, ancor più di recente la parola “crisi” ha fatto irruzione nel nostro vocabolario quotidiano e il disagio, la disillusione hanno ricominciato a battere alla porta.

come uno scarafaggio sul marciapiede

foto Tommaso Saccarola

È proprio da questi fermenti che nasce il nuovo spettacolo scritto e messo in scena da Antonino Varvarà: Come uno scarafaggio sul marciapiede. Il male in ogni sua declinazione aveva aperto la stagione del Teatro Aurora – il tema lanciato da Giovani a Teatro come fil rouge della sezione Esperienze – e ha letteralmente contagiato le iniziative del vicino teatro gestito da Questa nave: la nuova produzione ne è l’ultimo esempio.

Nonostante il titolo decisamente insolito, non vi è alcun rimando a Kafka: il testo scritto dallo stesso Varvarà è piuttosto un dialogo interiore che si incrocia tra i pensieri del protagonista.

Una scena vuota, un uomo, con cappello e cappotto, in mano una valigia. Qualcosa di impercettibile fa intuire che se ne sta andando; ad accompagnare i suoi passi le musiche di Sigur Ross e una voce fuori campo, il suo pensiero interiore. Lentamente la scena si popola: tre figure, tre donne, vestite in bianco, grigio e nero occupano altrettante sedie rosse.

foto di Tommaso Saccarola

Le scelte cromatiche, estremamente semplici, acquistano, con lo scorrere del tempo, sempre più valore. Lo spazio, dapprima assolutamente privo di connotazione, pian piano assume un ruolo fondamentale. È il testo a creare l’immagine, un affondo tagliente e doloroso negli angoli più bui dell’animo umano, tutto quel che si vorrebbe dire e non si è mai detto; una poesia dolce carica di rinuncia e disillusione. È attraverso le parole che i pensieri prendono forma, ecco allora che la scena sembra essere un parallelo della mente dell’uomo, che rivanga il passato: tutte le sue scelte, i suoi incubi, i suoi ricordi migliori. Le tre donne altro non sono che tre momenti della sua vita, o – volendo astrarre ancor più – tre “pensieri” quasi una scala cromatica delle sfumature dei sentimenti dell’uomo. Le chiavi di lettura sono molteplici, il testo lascia aperte diverse interpretazioni, ma è sempre la parola ad avere il sopravvento.

Lo spettacolo infatti si regge principalmente sulla poesia e sulla verità scatenate dalle parole scritte dal regista, non vi è una storia, vi è un susseguirsi di scene fini a se stesse. L’integrità della performance è frammentata da bui continui e forse non sempre indispensabili. Sebbene le parole siano forti, gli attori della giovane compagnia Trepunti, nonostante il forte slancio poetico, stentano a sostenere i ruoli, forse la mancanza di veri e propri personaggi non li aiuta a reggere la scena e la presenza si indebolisce, facendo perdere il filo del discorso e la potenza delle parole. Un testo valido ma una messa in scena ancora fragile, sicuramente l’esperienza aiuterà la compagnia di attori a trovare una propria strada interpretativa e una sicurezza in più.

Visto al Teatro Aurora, Marghera

Camilla Toso

L’esilio del pensiero critico

Recensione a PaliCompagnia Scimone Sframeli

Tre pali fissati su una collinetta verde. Le posizioni laterali, con inevitabile rimando ai due ladroni evangelici, sono occupate da La Bruciata e da Senzamani, personaggi legati l’uno all’altro dal fatto che hanno deciso di difendersi dal mondo esterno isolandosi, salendo su dei pali, abbandonando il basso per guardarlo dall’alto perché – come anticipano i due – solo in questo luogo deputato «si può stare a testa alta» e solo «dai pali si vede tutto, perfino il pensiero degli altri». A dare voce a queste due figure è la coppia messinese formata da Spiro Scimone e Francesco Sframeli che con la loro ultima creazione, Pali, abissano la denuncia sociale nell’inerzia dell’individuo, in un’esplosione di parole che rafforza l’immobilità del corpo.

Arroccati su questi pali, i personaggi si inseriscono in una dimensione scenografica completa (nell’essenzialità dei tre elementi), nessuna variazione si verificherà nel corso dello spettacolo, nessun coup de théâtre;  lo spazio che hanno a disposizione è solo di due piedi – in senso letterale e non di misurazione – e pochi sono i movimenti a loro concessi se non quelli determinati dall’uso della parola. Questa viene testata in ogni sua declinazione; toni aspri si mescolano a un’ironia che mira al grottesco per raccontare l’isolamento come forma di ribellione alla società. Ma la rinuncia alla partecipazione portata in scena dalla compagnia messinese, pur scaturendo da una profonda presa di coscienza, non appare sufficiente a liberare l’uomo dai malesseri del mondo. L’individuo assume le specificità della marionetta e l’operazione che ne deriva è limitata alla tensione di un po’ di quel filo che lega l’uomo al tempo e alla storia e dalla quale nessuna possibile uscita risulta efficace. La relazione con la realtà si connette alla forma stessa delle strutture su cui si reggono i personaggi; la scelta di adottare i pali delle palafitte oltrepassa concettualmente il riferimento visivo della Crocifissione, per identificarsi con elementi ben fissati a terra che traggono libertà dalla sospensione oltre il livello dell’acqua. Il fiume che noi non vediamo (ma che occupiamo spazialmente sia dentro che fuori il teatro) e che i personaggi avvistano da lassù, è un «mare di merda» che incombe e soffoca, nel quale «tante persone nuotano». La drammaturgia originale di Spiro Scimone, autore dell’opera e interprete di Senzamani, si nutre di luoghi comuni che popolano la nostra società per porre in luce gli accadimenti dell’oggi, consegnando alla lingua un’universalità che lascia lo spettatore libero di affondare le proprie critiche dove meglio ritiene, come nel didascalico – e personale – riferimento alle alluvioni che hanno coinvolto il nostro Paese e alle relative reazioni, e non-reazioni, che ne sono seguite. Inerzia è la parola che echeggia continuamente, al pari di quella stessa inazione che denota anche il comportamento di coloro che si rifugiano lontano dallo squallore della realtà.

Attacchi a questo trancio di terra non tardano a venire e a completare il meccanismo innescato da La Bruciata e da Senzamani si aggiunge la coppia – quasi estrapolata dalla Commedia dell’Arte – formata da il Nero e l’Altro. Il loro ingresso viene anticipato dal suono lontano di una banda musicale ma artefici del tutto sono solo i due. Il primo si presenta percuotendo una grancassa mentre l’Altro prova a suonare una tromba, ci prova… ma non ci riesce. Di una bontà d’animo disarmante ma forzatamente costruita, il Nero e l’Altro si completano e sostengono a vicenda apportando riflessioni sui mali del nostro tempo con un forte accento sull’egoismo e sull’intolleranza. I dialoghi dei quattro si fondano sulla circolarità e ripetizione della parola, in una leggerezza che si traduce presto in esasperazione. Centrale, in questa dimensione, è la speranza dell’Altro di voler far ridere le persone con le sue barzellette, ma nel momento in cui l’obiettivo si traduce in fallimento, nasce spontanea la sua domanda: «mi dite allora cosa posso fare?». La soluzione giunge immediatamente. C’è ancora posto sui pali, vi è proprio una postazione libera tra la Bruciata e Senzamani, ma devono affrettarsi a salire i due ancora in basso, e poi «sui pali si può anche suonare».

Come variazione sul tema della rappresentazione, si presenta con cadenza regolare l’invocazione che La Bruciata indirizza a un qualche Padre idealmente situato molto più in alto della sua postazione aerea; viene testata la sua esistenza ma nessuna risposta giunge a soddisfacimento delle sue richieste, non si prospettano ipotesi di salvezza né di redenzione, così «bisogna solo aspettare – beckettianamente – che pioverà» e «con questo cattivo tempo sappiamo che a piovere non sarà acqua».

Visto al Teatro Aurora, Marghera

Elena Conti

Nel bosco di Lucia

Recensione a Lucia nel bosco con quelle cose lì Questa Nave

Lucia nel bosco con quelle cose lì è la nuova produzione che Francesca D’Este – regista dell’ormai consolidata Associazione culturale Questa Nave – ha presentato in prova aperta al Teatro Aurora di Marghera appena prima dell’estate. Un racconto ambiguo e a tratti oscuro, una storia continuamente in bilico tra fantasia e realtà.

foto di Luca Giambardo

A raccontarla è Lucia – che non è veramente Lucia – una bambina di dieci anni – o forse sette – che gioca a raccontare la sua vita come vorrebbe che fosse mentre vive una realtà che la costringe a fantasticare. La telecronaca di un trauma infantile narrato in terza persona. Uno sdoppiamento che nasce dalla impossibilità di aderire completamente alla realtà che la circonda e che non trova risposta nelle sue mille domande: «Quando il bambino era bambino, era l’epoca di queste domande». Cosa sono “quelle cose lì”? La vita clandestina del padre e la serietà militare della madre portano la quieta vita familiare a cadere in un clima di disagio e negazione, fino alla condanna del padre, all’abbandono e alla disperata promessa di salvezza della figlia.

La messa in scena di Francesca D’Este si focalizza sullo sdoppiamento della protagonista nel passaggio tra realtà e finzione fino ad arrivare allo scontro interiore tipico della preadolescenza. Le coreografie di Elisabetta Rosso guidano le due interpreti (Simonetta D’Adamo e la D’Este stessa) in un continuo gioco di sguardi e rincorse, gesti e giochi, reinventando il mondo magico in cui corre la fantasia di Lucia. Il testo di Handke è forse troppo impegnativo e oscuro, è un racconto che riflette su una realtà adulta e lascia il quesito aperto ad ogni interpretazione: che sia una favola un po’ stramba o una tragedia interiore.
Questa Nave si conferma, ancora una volta, coraggiosa e piena di entusiasmo. Proprio per queste qualità verrà premiata il 5 giugno a Barletta dall’Associazione Nazionale Critici di Teatro per la stagione che ha portato avanti nel 2009-2010. Un programma volto a sostenere e scovare nuove e giovanissime compagnie, che fanno parte di quel sottobosco in cui sta crescendo una vera e propria “specie protetta” del/dal teatro italiano.

Visto al Teatro Aurora, Marghera

Camilla Toso

La corsa di Teatro Sotterraneo

Recensione a La Cosa 1 – Teatro Sotterraneo

foto di Paolo Rapalino

Immobilità: una cosa sciocca. Più che sciocca, improbabile. Unica possibilità? Correre. Senza sapere dove si va, senza fermarsi un attimo a pensare. Semplicemente fare. La Cosa 1: una corsa, un fare, un procedere. Puro svuotamento di azioni e nessun sentimento, riflesso nel palco vuoto, senza alcuna scenografia. Il giovane gruppo Teatro Sotterraneo porta in scena un’energia folle, una frenetica esistenza fatta di un fare malato, disperato, esasperato: un fare che spesso non porta ad alcuna conclusione. Solo alla considerazione che devi correre. E per farlo devi essere ben attrezzato. Lo richiede la stessa sopravvivenza.

Il corpo dei quattro performer Iacopo Braca, Sara Bonaventura, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri vive una sofferenza, si ferma per pochi secondi: piccoli quadri, sketch di brevi episodi della propria vita, veri o inventati; situazioni. Il montaggio è serrato: Matteo sciorina al pubblico le violenze subite da tutti i suoi parenti, un mega pupazzo azzurro è sommerso di domande personali a cui non tenta neanche di rispondere, in una tenda da campeggio viene data una festa, su una panchina si susseguono dichiarazioni d’amore. Non si ha un vero discorso da fare: è una drammaturgia di azioni, non ci sono personaggi fittizzi, i performer si chiamano con i loro stessi nomi. Sono. E ancora situazioni: si regala una canzone romantica a cui si affidano i propri sentimenti. Forse anche essi vuoti. L’alternativa è scrivere una lettera. Inconcludente. O parlare in lingua giapponese. Incomprensibile. Non c’è tempo per soffermarsi troppo su quello che succede. Alle cose non si arriva preparati. Accadono. Passano.

Teatro Sotterraneo, fresco del Premio Ubu Speciale 2009, usa un linguaggio divertente, coinvolge il pubblico chiedendo dei numeri casuali che avranno poi delle conseguenze, una volta tradotti dai performer in azioni – schiaffi, baci, conti alla rovescia –: è il fare alla sua ennesima potenza. Daniele Villa, dramaturg di questo geniale collettivo teatrale, spinge il testo all’estremo, con situazioni al limite del paradossale; ma lo fa con un’intelligenza sottile che fa sorridere e che nasconde tutta la verità – e assurdità – del nostro vivere quotidiano.

Dopo essersi fermati per un’ora a teatro si esce e si ricomincia a correre, cercando di recuperare un tempo che però non è andato in questo caso perduto. Magari dopo aver visto questa corsa folle ci si soffermerà di più a vivere e a trattenere delle situazioni, riempiendole di significato, per non lasciarle correre via senza farne rimanere traccia. Dopo tutto: “si vive una volta sola”.

Visto al Teatro Aurora, Marghera

Carlotta Tringali