teatro diversamente abili

DiversaMente Attori

Al progetto partecipano cinque laboratori di diversi dipartimenti di salute mentale portati avanti dall’intesa nata tra cinque Unità Sanitarie Locali e cinque registi: Gabriele Tesauri per Bologna, Andreina Garella per Reggio Emilia, Michele Zizzari per Forlì, Monica Franzoni e Riccardo Peterlini per O.P.G. (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), Lucia Vasini e Paolo Rossi per Piacenza. DiversaMente ha visto non solo la messa in scena dei lavori dei laboratori ma anche la partecipazione di due compagnie effettive quali Isole Comprese Teatro e Olinda e Armunia.

Aspettando Godot l'ergastolo bianco

Aspettando Godot l'ergastolo bianco

Sabato 28 nella Sala Archi dell’Arena si è tenuto un incontro, condotto da Massimo Marino, a cui hanno partecipato quattro dei cinque registi sopracitati (Tesauri, Garella, Zizzari e Vasini) e dal quale sono emersi aspetti interessanti come il concetto di attorialità applicato ai protagonisti in scena; i metodi adottati dai registi e la proposta di utilizzo di una sigla e di un simbolo che identifichi l’origine delle compagnie nate all’interno di ogni dipartimento.

La questione “attoriale” è scaturita dal caso Pippo Bosè – attore di Io e Amleto per Isole Comprese Teatro – dal suo porsi goliardicamente quale antieroe che si contrappone alla figura di Amleto, dal suo essere uno showman per natura e dell’aver portato sulla scena uno spettacolo che vede il connubio tra teatro e vita privata. Attore catalizzatore di folle, amante della carica e complicità che riesce ad ottenere dal suo pubblico, è stato capace di portare avanti lo spettacolo con semplicità nonostante qualche attimo di confusione in platea. Giocoso e mutevole nel suo interpretare in video alcuni personaggi del dramma, esprime e manifesta lati di queste personalità a volte incredibili. Filippo Staud, alias Pippo Bosè, proprio per il suo pregresso artistico, ha abilità nello stare sul palco, se si lascia andare recupera con maestria, non stride l’intreccio tra la sua storia personale e quella narrata nell’Amleto. È evidente la sua condizione ma quando sale sulla scena la sua capacità è tale che riesce a tramutare quello stato di malattia in arte. Portare sulla scena il proprio privato, scandito anno per anno, non è, come sostenuto da alcuni partecipanti alla conferenza, anti-attoriale.

La questione “metodologica” è apparsa assolutamente soggettiva. Si è riscontrato che c’è chi lavora in modo più classico e chi invece è più propenso a cogliere e misurarsi con gli input che partono proprio dagli stessi attori-psichiatrici; c’è chi fa partecipare gli operatori e chi invece li tiene al di fuori della pratica teatrale. Fondamentale è comprendere che, a detta degli stessi registi, nessuno è lì per fare della terapia ma per fare “semplicemente” del teatro.Per quanto riguarda la questione “dicitura”, il problema è stato sollevato da Andreina Garella. La regista ha proposto di sostituire nei cartelloni l’espressione “Dipartimento di Salute Mentale – A.u.s.l” con un logo che lo rappresenti, vista la ripetitività della scritta all’interno dei manifesti del festival. L’intento è quello di indurre il pubblico a non focalizzarsi sulla malattia ma sull’attore.
La magia che si è presentata è stata quella di vedere sparire la malattia dalla scena e godere del puro spettacolo. Amleto!Ovvero l’incontro mancato di Olindo e Armunia da questo punto di vista è stato fortissimo. Una scena traboccante  – tre pareti ricolme di cappotti utilizzati dagli attori, un trono, cassette dell’acqua per il tip tap e scritte al neon. Un lavoro sulla pluralità e il gioco di gruppo: i ragazzi di Armunia hanno sfruttato la coralità fisica e vocale per esaltare anche gli assoli. Al contrario l’Amleto di Bosè si relazionava solamente con il suo dj  (Alessandro Fantechi),  l’assistente ed il video. In una scena quasi nuda: un tavolino con elementi come parrucche, corone e cappelli; la postazione dj, un microfono ad asta e i video proiettati sul fondo. Due realizzazioni d’Amleto totalmente diverse ma entrambe con una forza che ha catalizzato il pubblico fino all’ultimo minuto.

Una netta diversità di allestimento scenico anche nei due Godot. Quello realizzato dall’O.P.G. portava sulla scena contemporaneamente più luoghi all’interno di un unico allestimento mentre quella del gruppo di Piacenza esponeva la classica sagoma bianca dell’albero solitario. In questo caso, ciò che ha fatto veramente la differenza è stata la presenza degli attori in scena. In Aspettando Godot – l’ergastolo bianco dell’O.P.G. il problema si è manifestato nella parziale memorizzazione del testo e del conseguente uso del copione durante la rappresentazione. Il suo inserimento, non avvenuto in modo armonico, ha comportato una fissità degli attori stessi e lo scollamento tra le scene, pur essendo buona “l’intenzione” che il testo presentava e dell’impegno che gli attori hanno dimostrato per la miglior riuscita dello spettacolo. Caso opposto invece per Da Aspettando Godot… Qualcosa di diverso che ha visto i ragazzi sul palco ridare vita in modo ben riuscito al testo di Beckett, anch’egli in scena perché interpretato da uno degli attori. Interessante l’inserimento di cenni di altri testi dell’autore irlandese che hanno reso più movimentato e divertente lo spettacolo. Ogni ruolo era ben ponderato e la sintonia creata fra gli attori, nonostante qualche scambio di battute imprevisto, ha reso il tutto fluido e senza intoppi.

In generale la rassegna ha avuto un discreto riscontro da parte del pubblico, che in alcuni casi ha partecipato piuttosto attivamente ed ha accolto positivamente questo tipo di evento, confermato da una sua crescita costante in sala. Speriamo solo che questa avventura possa trovare felicemente un seguito.

Visto a Teatro Arena del Sole, Bologna

www.teatralmente.it

Marta Panciera