Teatro Giovanni Poli Venezia

Voix sans paroles, lingue straniere e teatro universitario

Approfondimento a partire da Voix sans paroles – mise en espace di Nanténé Traoré

foto Andrea Maggiolo

Accanto alla programmazione teatrale per la stagione 2011/2012, il Teatro universitario G. Poli di Ca’ Foscari a Venezia ha organizzato una sezione speciale di approfondimento scenico rivolta a giovani e studenti, intitolata Molecole: esperienze, laboratori, spettacoli, letture. Cinque spettacoli e performance caratterizzati da una molteplicità di culture e lingue, assieme a quattro laboratori molto eterogenei. Si va dal progetto L’Università si mette in scena – laboratorio semestrale condotto da Elisabetta Brusa e finalizzato alla realizzazione scenica di Storia filosofica dei secoli futuri di Ippolito Nievo – al workshop di Teodor Borisov che indaga l’universo marionettistico, concludendo il 18 e 19 aprile con Chiara Frigo e la sua ricerca di espressione corporea.

Giovedì 8 marzo è invece andato in scena il risultato finale del quarto esperimento: Voix sans paroles, laboratorio condotto dall’attrice francese Nanténé Traoré, con la partecipazione di dieci giovani studenti e appassionati di performing arts. Elemento centrale del lavoro è stata l’indagine sull’uso della voce, alla scoperta di timbri e colori vocali: «C’è in ognuno di noi una moltitudine di voci che nemmeno immaginiamo. Come riuscire a farle affiorare sul palcoscenico? Da dove vengono? Come richiamarle? Cercheremo di scavare in ogni piccola fenditura per far dischiudere tutte queste voci», spiega Traoré, già ospite del Poli nella passata stagione con lo spettacolo in prima nazionale Moi fardeau inhérent del regista e drammaturgo haitiano Guy Regis Jr.

Per indagare l’umanità della voce, i protagonisti del workshop si sono affidati al mito, alla dimensione tragica dei testi classici, da Antigone di Sofocle a Le Troiane di Seneca, passando per Femmes de Troie da Euripide nell’adattamento di Matthias Langhoff, fino a Enfonçures, Chimères et autres bestioles del regista e drammaturgo francese Didier-Georges Gabily. Il risultato è un montaggio non lineare che permette alla voce di indagare se stessa, calandosi pienamente nella dimensione rituale della declamazione. Nel più scarno e tradizionale semicerchio corale, dieci corpi guadagnano il silenzio e conquistano spazio sonoro sovrapponendosi e intersecandosi. Due lingue in scena francese e italiano  giocano a farsi eco l’un l’altra, passando dal monologo alla pluralità della phoné, quasi come se in scena si stesse giocando a lanciarsi un oggetto che non si vuol far cadere a terra. Le traiettorie sono inaspettate e confuse, non ci sono personaggi a cui aggrapparsi e nemmeno un’unica lingua familiare e scontata, ma frammenti da raccogliere e accostare. Contenuto manifesto di ogni stralcio drammaturgico è la donna oppressa, privata di dignità, stretta ma più ancora costretta nella drammaticità del conflitto e della distruzione. Una terra, una città, una madre, presenze femminili che non possono smettere di subire violenza e sopruso e che, cariche di consapevolezza, reggono sulle spalle il peso di un mondo in armi. Accanto a loro gli uomini, attori di distruzione, ma vittime anch’essi di un meccanismo logorante. Si racconta di donne e uomini del mito per parlare di guerra dall’antichità a oggi e arrivare a indagare l’essere uomini e donne nel presente contemporaneo. Il quadro finale vede i giovani attori danzare lentamente in coppia e una voce sussurrare: «Essere umani ancora fino a domani».

Niente costumi o scenografie, solo qualche sgabello, due microfoni calati dall’alto e l’intenzione di condividere con il pubblico il breve ma intenso lavoro svolto dal 5 all’8 marzo sul tema della moltitudine delle voci interiori. Un percorso che, per la sua componente multi-linguistica, ha costretto i partecipanti a recuperare il senso profondo della parola, dimenticando dizione ed esattezza, e concentrandosi sul suono sconosciuto. Il laboratorio non ha richiesto la conoscenza del francese e si è svolto gratuitamente, permettendo ai giovani attori, selezionati solo sulla base delle esperienze pregresse, di cogliere un’opportunità pensata come servizio. È infatti nelle intenzioni di Donatella Ventimiglia e del professor Carmelo Alberti, che curano la programmazione del Poli, rendere sempre più questo teatro un luogo di forte connessione tra la scena e l’università, uno spazio in cui riflettere sulla contemporaneità e continuare la ricerca quasi fosse un’aula in più, in cui sperimentare nuovi percorsi di formazione.

Visto al Teatro G. Poli, Venezia

Margherita Gallo

La danza di corpi e “carne” di Roberto Castello

Recensione a Carne trita – di Roberto Castello / Compagnia A.L.D.E.S

Voce e corpo, in tutte le loro declinazioni, sono gli elementi sui quali si struttura Carne trita, il nuovo spettacolo della compagnia lucchese A.L.D.E.S – diretta da Roberto Castello – presentato a Venezia per l’inaugurazione della terza stagione di Teatro Ca’ Foscari. Il coreografo in questa occasione sceglie di lavorare con i danzatori indagando l’accezione più materica della persona: il corpo è carne e a renderlo umano è l’insinuarsi di quelle condizioni sociali e relazionali, apparentemente astratte, che ne lacerano la superficie, la pelle, e causano interferenze e variazioni profonde sull’essere. Se questa inserzione si cela sotto uno strato di fittizia materia, non rimane altro che adoperare una spaccatura per lasciare affiorare l’impercettibile. Ma tale processo, nel lavoro di Roberto Castello, non equivale alla messinscena di istintualità e primitività non manifeste; con Carne trita il coreografo esplora le possibilità della voce e del movimento per rintracciare quegli elementi con i quali l’individuo si confronta ogni giorno.

Carne trita - foto di Giorgio Sottile

Un quartetto femminile introduce il tema: le danzatrici Elisa Capecchi, Alessandra Moretti, Giselda Ranieri e Irene Russolillo attingono al quotidiano, ripercorrono ed elaborano, divertendosi a giocare con il simbolico, le sfaccettate gestualità mimiche e corporali che caratterizzano i comportamenti della cosiddetta normalità per ritualizzarne l’espressività umana. Ad ogni gesto corrisponde una sola e determinata intenzione? Uno sbadiglio può trasformarsi in grida? Per accostamento e accumulazione il quartetto elabora una partitura di suoni e movimenti che destabilizza lo spettatore; l’azione scenica segue percorsi che dal mostruoso conducono all’ironico e viceversa e, guardando al quotidiano, affronta “di pancia” quegli aspetti che compongono la nostra essenza organica. Nell’impossibilità di bloccare le figure create dall’azione coreutica al fine di semplificare la visione e consentire allo spettatore di formulare una definizione univoca, anche la composizione musicale si fonda ugualmente su processi non normativi: negato l’uso di musiche registrate, l’unico strumento in scena è la voce in tutte le sue peculiarità musicali ed espressive. Nella struttura dialogica di Carne trita si unisce con impeto al quartetto una figura maschile, il danzatore Fabio Pagano, presenza inizialmente marginale seduta sul divano di una scarna scenografia. L’energia che porta in scena, manifestata tramite movimenti veloci e gestualità interrotte e poi riprese come balbuzie, si uniforma al dinamismo del gruppo mantenendo tuttavia un distacco dal coro femminile come ad alludere a dinamiche relazionali tra i due sessi.

Nelle sequenze di insieme i danzatori, con movimenti scattanti, quasi robotici e parole nonsense, trattano parimenti comunicabilità e incomunicabilità; raccontano storie che, nell’alternarsi dei soggetti coinvolti, riguardano tutti. Nel susseguirsi di cambi che vedono di volta in volta un danzatore protagonista dell’evento, tutti sperimentano la labilità della condizione emotiva; alla relazione si contrappone l’isolamento, all’allegria si sostituisce il pianto. Solo sul finale si verifica la coralità fino a questo momento accennata e ripetutamente spezzata: è la caduta, simbolica e fisica, che porta a un riassestamento della condizione iniziale. L’uomo si siede sul divano ma ora la scena è carica di una presenza fisica che segna profondamente la visione e il legame tra i danzatori e il pubblico.

Visto a Teatro Giovanni Poli, Venezia

Elena Conti

Teatro Ca’ Foscari di Venezia

Settembre. È arrivato il tempo di presentare le stagioni teatrali 2011/2012 e per coloro che si trovano a Venezia, il primo segnale proviene da Teatro Ca’ Foscari, il teatro dell’Università veneziana che annuncia – per il terzo anno – un cartellone ricco di proposte interessanti. L’iniziativa, curata da Carmelo Alberti e Donatella Ventimiglia, è realizzata in collaborazione con la Fondazione di Venezia e Giovani a Teatro e se da un lato si rivolge agli studenti, ponendosi come strumento didattico, dall’altro si compone nell’intento di mostrare lavori innovativi della scena performativa contemporanea alla città. A sottolineare questo è Carlo Carrero, Rettore dell’Ateneo, che nel corso della conferenza stampa svoltasi giovedì 22 settembre a Palazzo Ca’ Foscari, coglie anche l’occasione per ribadire come la rassegna si discosti da propositi concorrenziali con gli altri teatri della laguna, in una velata risposta a possibili – e passate – accuse che hanno riguardato Ca’ Foscari. L’accaduto, almeno per la sottoscritta in quanto spettatrice, è circoscrivibile alla mancata comunicazione tra le diverse strutture teatrali che, nella scorsa stagione, ha comportato la sovrapposizione di alcune rappresentazioni, fatto rilevante in una piccola realtà come Venezia. Ma lo spessore che assume Ca’ Foscari in tale ragionamento è dato dall’alta qualità degli spettacoli proposti che sembra riconfermarsi in questo nuovo anno.

Lo spazio che ospita i sedici eventi della rassegna è il Teatro Giovanni Poli a Santa Marta; si parte allora il 5 ottobre con un’inedita produzione di Teatro Ca’ Foscari, Carne Trita di Roberto Castello, un quintetto per voci e danza (sottotitolo stesso dello spettacolo), arrivando a coprire i mesi invernali e primaverili fino al 14 maggio, serata in cui verrà presentato Faust-Sanguineti. Una seconda parte della Compagnia del Cotone, un interessante progetto di Lino Guanciale, Claudio Longhi, Luca Micheletti e Giacomo Pedini che affronta il mai trascritto, ma indagato e ideale Faust parte seconda di Edoardo Sanguineti (la prima, Faust. Un travestimento, era stata pubblicata nell’85).
Litanie del caos
– questo il titolo del progetto per l’edizione 2011/2012, si articola in tre momenti, ciascuno declinato attraverso un binomio: “Mormorii e confusione”, “Silenzi e pause”, “Disordine e Caos”. Gli spettacoli proposti da Ca’ Foscari toccano temi fondamentali per l’uomo contemporaneo e tra le varianti del sentire di oggi si trova in programma, il 19 ottobre, Isabella Ragonese con Lady Grey di Will Eno; poi Mirko Artuso con il gruppo teatrale di operatori e ospiti dei centri socio-riabilitativi di Ferrara – Le altre parole, presenta La silenziosa danza (16.11); mentre il 25 e 26 novembre torna al Teatro di Santa Marta Ottavia Piccolo con Dalla terra di latte e miele. Chiude infine, l’anno 2011 ma non la stagione, La terza vita di Vittorio Moroni per la regia di Amandio Pinheiro, in scena Laura Nardi ed Elena Veggenti (30.11).

L’attività riprende nel nuovo anno (01 febbraio) con Italian Beauty. Viaggio in un Paese di mostri di Leonardo Manera, mentre un altro felice ritorno in laguna è quello dell’attore, regista e drammaturgo Saverio La Ruina con Italianesi, lavoro dedicato a un dramma della migrazione cancellato dalla memoria collettiva (14 e 15.02); si prosegue con il Don Chisciotte di Corrado d’Elia (29.02) e Scalpiccii sotto i platani di e con Elisabetta Salvadori il 12 aprile. Il programma di Ca’ Foscari si arricchisce quest’anno di danza e dopo la presenza di Roberto Castello, due ospiti femminili occupano il palco del Giovanni Poli: sono le coreografe e danzatrici Silvia Gribaudi (in scena il 22 ottobre con Wait) e Chiara Frigo con Suite-Hope (20 aprile 2012).

E ancora, per spunti e impressioni sulla contemporaneità, Ca’ Foscari guarda oltre il nostro Paese e ospita quattro prime nazionali: la prima, attesa, presenza a Venezia (8 e 9 novembre) è l’attrice norvegese Juni Dahr che in Ibsen Women – Put an Eagle in a Cage riprende sei celebri figure femminili ibseniane per ricercare lo spirito che rende queste ancora affascinanti e attuali; a offrire un punto d’osservazione sull’oggi con semplicità e limpidezza sono poi le marionette di Teodor Borisov in City of Clown (21.02), gli studi su suono e voce di Nanténé Traoré (Voix sans paroles, l’8 marzo) e uno sguardo sulla drammaturgia congolese con Le cœur des enfants léopards di Wilfried N’ Sondé adattato per la scena dai fratelli Dieudonné e Criss Niangouna (28.03).

Un calendario ricco che si amplierà inoltre con laboratori tenuti da alcuni degli artisti ospiti per consegnare «agli studenti interessati – come sottolinea Carmelo Alberti – gli strumenti necessari prima di salire sul palcoscenico», e poi incontri e letture per fornire con Litanie del caos, un contributo, anche minimo, sulla complessità del nostro tempo.

Elena Conti