teatro stabile napoli

Via De Rosa dal Mercadante, fuori da ogni regola

Teatro Mercadante

Mentre il Presidente della Repubblica Napolitano sottolineava come in Italia non si può far finta di nulla di fronte alla «spia di malessere che le democrazie non possono ignorare», la cultura riceveva il suo ennesimo declassamento, intaccata da una politica che la alimenta e che allo stesso tempo la logora, portandola lentamente a un punto di non ritorno. Da nord a sud nel nostro Paese in questi giorni accadono fatti che spingono verso una rassegnazione semplice da provare con tanto di amarezza lacerante. Da una parte la chiusura definitiva del Teatro Duse di Bologna, storico luogo che il 18 dicembre ha visto per l’ultima volta un pubblico varcare la sua soglia dato che inutili si sono dimostrati i vari (c’è da chiedersi piuttosto: reali?) tentativi per salvarlo. Dall’altra parte la notizia è l’ascesa di Luca De Fusco alla direzione del Teatro Stabile del Mercadante di Napoli: se non si stava cercando un nuovo direttore, dato che il buon Andrea De Rosa stringeva a sé il contratto per stare in carica fino al 2013, perché quest’ultimo è stato revocato?

Ma andiamo con ordine: Andrea De Rosa, napoletano e classe 1967, era diventato direttore dello Stabile nel 2008, in seguito alle dimissioni date per motivi personali e professionali da Roberta Carlotto.  Ed era proprio quest’ultima uscendo dal suo incarico che spendeva le seguenti parole per il regista di prosa e lirica chiamato a prendere il suo posto: «un ulteriore passo di grande coerenza, in linea con il percorso di scelte di figure e personalità di nuova generazione del panorama contemporaneo». E in questi due anni di lavoro, il regista De Rosa ha portato lo Stabile a ottimi risultati, attivando progetti europei, trovando risorse economiche, dando ampio spazio alla “generazione dei quarantenni” che occupa il cartellone della Stagione 2010/2011 del Mercadante e facendo particolarmente attenzione al teatro di ricerca – come dimostra il calendario dell’altro teatro affidato allo Stabile, il Teatro San Ferdinando, che nonostante i tagli finanziari può vantare nomi di tutto rispetto. Sono passati solamente due anni dalla sua nomina e tutti questi riconoscimenti sembrano essere svaniti nel nulla. E ci si chiede quindi se vantare il titolo di direttore più giovane di Italia poteva infastidire qualcuno; o se il quarantatreenne potesse sembrare non sufficientemente capace di gestire il rapporto tra autofinanziamento e contributi pubblici, mentre De Fusco, come recita il comunicato stampa ufficiale del teatro «viene da una lunga e positiva esperienza dal Teatro Stabile del Veneto, in cui è riuscito a condurre il Teatro a importanti riconoscimenti nazionali ed internazionali, il tutto con un grande equilibrio tra sovvenzioni e autofinanziamento».

Sono simili e lontanissimi i destini dei due direttori De Rosa e De Fusco: anche De Fusco è napoletano, ma di classe 1957, e d è regista di prosa e lirica; e anche lui ha ottenuto ottimi risultati stando per dieci anni alla direzione del Teatro Stabile del Veneto, soprattutto investendo in classici, senza però dare spazio al teatro di ricerca, come invece sempre più sta succedendo con ottimi risultati negli altri Paesi europei. Per quanto riguarda i finanziamenti gli anni che vanno dal 2000 al 2010 non sono tuttavia paragonabili a quelli che coprono un arco di tempo molto più breve e soprattutto segnato da pesanti tagli finanziari come quello 2008-2010 (tagli che in ogni caso non sono stati risentiti eccessivamente dallo Stabile partenopeo proprio grazie all’intelligente direzione di De Rosa). Altro elemento che allontana De Rosa da De Fusco è il fatto che quest’ultimo ha potuto terminare il suo secondo mandato come previsto da contratto, restando fino al 2010 alla direzione dello Stabile Veneto; infatti solo ora si è ritrovato senza “direzione stabile” alcuna, ma con forti amicizie come quella con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta.

Eppure è proprio la questione dei finanziamenti quella a cui si aggrappa il Cda dello Stabile per giustificare una scelta che sta suscitando giustamente diverse polemiche. Qui non si parla di fiducia – comunque boicottata – ma di buon senso, di dare giusto valore e riconoscimento a chi non era neanche a metà mandato e a chi il suo compito lo stava svolgendo con ottimi risultati. Sono i Consiglieri Sergio Sciarelli, Laura Angiulli, Giulio Baffi, Francesco Barra Caracciolo, Giuliana Gargiulo ad aver voltato le spalle a De Rosa e ad aver accolto a braccia aperte De Fusco. Un solo voto contrario, quello di Angela Maria Azzaro che con estrema coerenza si è dimessa immediatamente dal Cda, unica ad opporsi a questo gioco di potere mascherato, che sta diventando persino troppo palese. E si vuol riportare le parole della Azzaro, per la sua onestà: «La mia decisione nasce dal totale dissenso nei confronti dell’orientamento assunto dagli altri colleghi del Cda e dal suo Presidente Sergio Sciarelli. Oggi è stato compiuto un atto gravissimo nei confronti del Teatro Stabile e della sua storia che, se pur breve, ha rappresentato un’esperienza straordinaria nel panorama nazionale. Dispiace che l’immotivata cacciata dell’ottimo direttore De Rosa, che per contratto doveva restare in carica altri tre anni, sia avvenuta con il voto favorevole degli altri esponenti del centrosinistra e con motivazioni – una crisi economica non certo dovuta al lavoro del direttore – usate con il palese scopo di nascondere le vere ragioni: far posto ad un nuovo direttore, Luca De Fusco, gradito alla nuova maggioranza che governa Regione e Provincia».

In molti dicono che questa notizia sarebbe presto giunta, perché “si sapeva”. Ma se De Rosa ha intitolato la stagione 2010/2011 «il gioco della regola, la regola del gioco», non poteva aspettarsi una simile mossa, non prevista dal regolamento. E se si sapeva, allora si poteva fare qualcosa per evitare; tutti sappiamo che ci sarà la morte un giorno ad accoglierci, ma non stiamo ad aspettarla inermi e immobili, altrimenti saremmo subito perduti. Davanti a questo ennesimo gioco di potere indigniamoci, muoviamoci. Come recita il nuovo film di Wim Wenders Pina – Dance, dance, otherwise we are lost dedicato a Pina Bausch, “danziamo altrimenti siamo perduti”, dove per danza si intende un’accezione più ampia, un libero modo di espressione. Ops, dimenticavo: questo film difficilmente raggiungerà il nostro Paese…

Carlotta Tringali

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2010/12/20/news/la_lettera_di_de_rosa-10435438/

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2010/12/20/news/de_fusco_non_sono_di_destra_per_me_parla_il_curriculum-10435576/

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Un dialogo solitario

Recensione a Auntie and me di Fortunato Cerlino

Morris Panych, autore, regista e attore, è uno dei più importanti personaggi della scena teatrale canadese, e non solo. Scrittore geniale e intelligente, mette a nudo problematiche esistenziali senza giri di parole, si interroga sulla vita e, da arguto drammaturgo, crea storie che fanno riflettere e ridere, che si parli di rapporti umani, di morte o della dialettica tra bene e male. Esistenzialismo, situazioni paradossali e dialogo serrato da teatro dell’assurdo, umorismo acre e una vicenda dolorosa da black comedy: questi gli ingredienti principali di Auntie and me, primo dramma di Panych tradotto e messo in scena in Italia.

È la storia di Kemp che si definisce un disilluso ma in realtà si aggrappa con tutto se stesso proprio alle illusioni, anche se con lucida consapevolezza; appartiene alla categoria dei ‘vinti’ ed è un uomo che nasconde speranze e dolori dietro un muro di cinismo. Dietro tutto questo una vera e profonda solitudine, quella che ci porta a scavare dentro noi stessi, punto focale di tutto il dramma; la solitudine che si percepisce fin dall’inizio, non appena entriamo nella spoglia camera da letto di Grace, la zia. Anche lei è sola, dimenticata da tutti, e anche lei, forse con più tenacia sebbene anziana, è guidata da un filo di speranza. Lui è un uomo che si lascia vivere e troverà proprio in questa vecchia, di cui aspetta la morte per mettere le mani sull’eredità, l’unico punto di riferimento; lei è diffidente ma non disdegna la presenza del nipote cui, poco a poco, si affezionerà. Auntie and me è un’amara riflessione sui rapporti interpersonali ma soprattutto sui veri affetti della vita.

Nonostante la tenerezza che ispirano, il tono tragico è smorzato dalla sagace penna di Panych. Le battute taglienti e schiette di Kemp sulla morte e sull’omicidio fanno ridere senza infastidire, anche perché si uniscono alla maestria di Alessandro Benvenuti, regista e attore proveniente dal cabaret. La controparte, la zia Grace, è Barbara Valmorin, un’attrice che si definisce artigiana della parola che qui, però, gioca la sua interpretazione sull’espressività; rimane, infatti, praticamente muta per tutto il tempo, interagendo con il nipote solo con lo sguardo. Ma la perfezione della costruzione drammaturgica viene esaltata anche dal taglio cinematografico che il regista, Fortunato Cerlino, usa nel dramma, interrompendo il dialogo con dissolvenze in nero che scandiscono il passare delle ore, dei giorni e delle stagioni. Così passerà un anno dal loro primo incontro, e forse Kemp un’eredità l’avrà, ma sarà solo una magra consolazione.

Visto al Teatro Mercadante, Napoli

Stefania Taddeo