traduttore cesare garboli

Cesare Garboli, dieci anni senza

Sono passati dieci anni dalla scomparsa di Cesare Garboli. Dieci anni senza quella sapienza geniale che ha accompagnato la cultura italiana segnandone alcune pagine importantissime. Vogliamo qui restituire un breve ritratto di Garboli: per non dimenticare, per raccontarlo brevemente alle nuove generazioni, per cantare ancora la sua importanza. Perché forse in pochi, pochissimi, si sono accorti che da quel 11 aprile 2004 sono già passati 10 anni.

garboli2Definire un personaggio di tale levatura, quale è stato Garboli, è come tentare di dare il nome a una figura sfuggente, a cui non si sarà mai sicuri di aver dato una descrizione abbastanza esatta. La sua vocazione? La scrittura, sentita come un istinto nato dalla volontà di liberarsi di un démone, piuttosto che come una gioia o un desiderio di scrivere, come lui stesso affermava in Scritti Servili. Si potrebbe dire che ciò che lo contraddistingueva e lo ha fatto diventare un uomo-personaggio fondamentale per il secolo scorso fosse il suo bisogno di interrogarsi e scandagliare ciò che solitamente rimaneva nell’ombra, riportandolo alla luce. Cesare Garboli è nato come critico: letterario, teatrale, d’arte; sentiva spesso la necessità di ritornare su uno stesso autore, testo o pittore, proprio per il bisogno di scavare fino all’osso, fino all’essenza nascosta dietro una frase, dietro un’immagine, dietro un’espressione che aprisse a un significato altro, nel tentativo di mostrarlo come frammento di verità balenato nell’attimo e che, di conseguenza, si può portare a casa.

Curioso come Garboli riuscisse ad analizzare diversi autori ma non se stesso: nel momento in cui un giovane scrittore alle prime armi gli chiese dei suoi rapporti con la letteratura, egli iniziò a interrogarsi trovando grande difficoltà nel dare una definizione. Nell’ultimo capitolo di Pianura proibita lo scrittore-lettore – quale diceva di essere Garboli – compie una riflessione intima e personale del suo lavoro. In bilico tra l’essere un attento lettore, un grande scrittore, un acuto critico e un pignolo traduttore, in qualsiasi modo si preferisse definirlo, si può senz’altro dire che fosse una personalità eclettica: “Ero un critico? No. Ero uno scrittore? No. Risposi al mio giovane interlocutore con tutta sincerità: se avessi saputo di essere un critico, o di essere uno scrittore, non avrei mai scritto un rigo. Col che, mi ero già scavato la fossa. Senza volerlo, avevo decretato che a fondamento della mia letteratura, o, se si preferisce, della mia vocazione letteraria, si apriva un abisso d’ignoranza circa la funzione e la natura del mio lavoro”.

Garboli non accettava definizioni. Non si descriveva come scrittore perché mai si è confrontato con la stesura di un romanzo; non si sentiva critico perché non interessato a dare giudizi estetici; non si definiva un critico-lettore perché la sua lettura era concentrata spesso intorno agli stessi autori, agli stessi nomi che leggeva, rileggeva, che conosceva molto bene di persona, intervistava, interrogava e analizzava fino a carpirne la vera essenza, cercando di comprendere dalle opere l’uomo e non il contrario come spesso è più diffuso fare. Non si vedeva nei panni di un traduttore perché in fin dei conti si limitava alla traduzione di testi che l’avevano sedotto e li riprendeva sempre in mano, continuando a chiamarli in causa. Affascinato da ciò che lo circondava, e dalle patologie che spingevano gli scrittori a riversare i loro pensieri o la propria immaginazione su delle pagine bianche, Garboli non era interessato a cambiare il mondo con i suoi scritti perché questo esporsi troppo avrebbe significato mettere in vista le proprie viscere; ma ciò che lo affascinava erano le viscere degli altri.

Cesare Garboli e Elsa Morante

Cesare Garboli e Elsa Morante

Nei suoi libri sono raccolte prefazioni, commenti, conversazioni epistolari che egli teneva con i suoi amici letterati e che erano anche i suoi “pazienti” di studio e analisi preferiti. Sotto la sua lente di ingrandimento e di riflessione sono passati Natalia Ginzburg, Elsa Morante, Roberto Longhi, Sandro Penna, Giovanni Pascoli, Antonio Delfini per lo più; sotto il suo particolare bisturi ad inchiostro sono state trattate quasi tutte le personalità di rilievo del Novecento dagli scrittori come Contini, Montale, Parise o Soldati, a studiosi come Macchia o Raboni, a teatranti come Cecchi, Petrolini o Valli. Degli autori più trattati Cesare Garboli aveva una conoscenza personale ma non usava questa per comprendere meglio la produzione artistica dell’interessato, tutt’altro; gli scritti, i romanzi, le opere erano gli strumenti per carpire lo spirito dell’uomo: ciò che interessava Garboli in fondo era l’uomo, con le sue debolezze, nevrosi e disincanti.

Tra gli autori che Cesare Garboli ha interrogato tutta la vita ce n’è uno che non ha conosciuto personalmente perché morto tre secoli prima di lui: Molière. Ha cercato di entrare nelle pieghe più oscure che si nascondono nei dialoghi tra i personaggi, nelle assenze di parole, sintomo e indice di una mancanza, di una gravità, di uno stato emotivo non esplicitato ma presente. Garboli parlava di una nevrosi, di un’inquietudine che si cela dietro al riso, che attraversa tutta l’opera molieriana; ed è proprio questa ombra nera, questa cifra stilistica mostrata per la prima volta all’Italia del Novecento che ha riportato una nuova attenzione nei confronti dell’autore francese. Sosteneva Garboli che l’Italia avesse completamente saltato Molière: forse perché una spina nel fianco per svariati motivi o forse perché visto solamente come un altro autore affine alla Commedia dell’Arte. Scriveva infatti “Molière è un classico che la cultura italiana deve ancora raggiungere. Finora è stato saltato. Questo incontro mancato è simile a un malanno o ad una sciagura nazionale”. E questo incontro importante e fondamentale con Molière l’Italia lo deve a Cesare Garboli. Quest’uomo ha scritto tante e tante pagine che qui non possiamo riportare neanche con il contagocce, sono troppo belle ed emozionanti, sono da leggere interamente. E allora in questo decimo anniversario dalla sua morte riprendete in mano un suo libro, ne sarà valsa la pena.

Carlotta Tringali