tramonto renato simoni

Un ostinato tramonto veneto

Recensione a Tramonto – regia di Damiano Michieletto

 

Somaglino, Previati

Il tempo scorre inesorabile ma quell’orologio, su cui cade l’occhio appena le luci sul palco si accendono, continua a girare intorno alle sei, orario che segna il procedere della giornata verso la sua fine, al suo tramonto. E proprio Tramonto è il titolo dello spettacolo di cui Damiano Michieletto firma la regia, scegliendo di riportare alla luce un testo di un autore interessante come il veronese che visse a cavallo tra ‘800 e ‘900 Renato Simoni. La storia vede Cesare, un politico di un paesino veneto, comportarsi in maniera despotica nei confronti di tutti quelli che lo circondano a partire dalla moglie Eva fino al nipote Carlino, ma anche verso sua madre, la baronessa, e i suoi colleghi. Se nella prima parte dello spettacolo, lentamente e affannosamente, si delinea questa situazione dove tutti i personaggi sono oppressi dall’alto egoismo autoritario del protagonista, solo più tardi si profila un’atmosfera asfittica e in disfacimento in cui la forte personalità di Cesare crolla in seguito alla scoperta del tradimento della moglie accaduto ben vent’anni prima. Mentre la frase disvelatoria “no go dito che la verità” riecheggia nella mente del bravo attore Giancarlo Previati – che veste i panni del protagonista –, le lancette del grande orologio posto in scena tornano indietro velocissime per fermarsi di nuovo e segnare inesorabilmente l’ora del tramonto. Quel tramonto che ha sempre segnato la misera esistenza di Eva – interpretata dalla convincente Nicoletta Maragno – che rinfaccia al marito di aver “recitato quel monologo eterno che è la tua vita, un’adorazione estetica del sé!” e che ora caratterizza l’esistenza di Cesare, che troppo tardi comprende di aver vissuto nella falsità, dove l’amore dei suoi cari nei suoi confrontinon era che una mera imposizione dettata dalla paura. Tramonto, scritto nel 1906, diventa così un dramma che ben si avvicina ai testi pirandelliani dove il protagonista deve fare i conti con la sua coscienza e la sua esistenza passata; assume allo stesso tempo i toni di denuncia ibseniani, di situazioni immobili e di falsi equilibri che si spezzano quando ormai è troppo tardi per poterli ricucire. La vera sconfitta di Cesare trova il suo apice, infatti, nel confronto con sua madre, la baronessa: nella figura materna egli tenta di trovare il riscatto della propria persona cercando amore e comprensione, una sicurezza che appare subito fallace tanto è l’orgoglio di quella donna. Dorotea Aslanidis interpreta una irremovibile nobildonna per cui non mostrare le proprie debolezze diventa essenziale a un punto tale che pronuncia parole tremende a suo figlio come “voria che non fossi mai nato si devi esser disonor de ta casa”.

Previati, Casarin, Plos, Spadaro

Il testo di Simoni è impregnato di rancori e amarezza,che fuoriescono, anche, grazie alla lingua veneta: il dialetto diventa infatti essenziale per credere a quelle emozioni, che non sono artificiali, ma vengono dal profondo e solo così possono trovare espressione. Bravo anche il resto del cast – Massimo Somaglino, Lino Spadaro, Pino Costalunga, Michele Modesto Casarin, Maria Grazia Plos, Andrea Pennacchi ed Eleonora Bolla – che copre parti minori e meno tragiche rispetto a quelle del triangolo familiare. Un Tramonto che risulta registicamente troppo didascalico nella rappresentazione della fine, tramite foglie secche e orologio bene in vista. Ma che fa arrivare la sensazione di malessere profondo, dal quale non c’è alcuna possibilità di riscatto.

Visto al Teatro Goldoni, Venezia


Carlotta Tringali