
Cosa resta da dire, al termine di un’esperienza di critica e cronaca come questa? È quello che i redattori e collaboratori del Tamburo che hanno partecipato al progetto (Elena Conti, Roberta Ferraresi, Margherita Gallo, Emilio Nigro, Maddalena Peluso, Rossella Porcheddu, Carlotta Tringali) si sono chiesti, man mano che l’esperienza si avvicinava alla conclusione. Parlando con Daniele Timpano, negli ultimi giorni di auto-prigionia, si rifletteva su quello che manca e quello che resta, ovvero sulle larghe porzioni del progetto che non è stato possibile documentare e trasmettere attraverso i pur sempre presenti mezzi a disposizione: quello che la telecamera non ha visto e quello che si è cancellato, quello che non è stato scritto ed è stato solo pensato; tutto quello che, insomma, resta non-detto, nella testa di ogni persona che ha in qualche modo (dal vivo a teatro, via streaming, sui social) fruito di Aldomorto 54. Diceva Ferdinando Taviani che le zone di silenzio, in un documento, sono tanto importanti quanto quelle invece espresse con chiarezza; lo stesso vale per la soggettività dell’autore che riporta quel documento. Sono due fra le conquiste più cruciali della storiografia (teatrale e non solo) del Novecento. Il Tamburo di Kattrin, su questa scia, ha voluto concludere l’esperienza con una serie di appunti e riflessioni – una per ogni redattore – intorno a questo percorso che, lo stiamo vedendo già in questi giorni, ha in qualche modo segnato il nostro modo di fare critica e informazione. Sono sguardi assolutamente personali, non mediati e accostati da un semplice montaggio che, presi nell’insieme, restituiscono un’ulteriore immagine, immancabilmente concreta e mossa, di quello che resta, a noi, di Aldomorto 54.
Ma resta anche, naturalmente, per chi ne avesse tempo, voglia, curiosità, quella specie di diario intermittente fra storia e spettacolo, finzione e realtà, fra Aldo Moro e Aldomorto, 1978 e 2013 che è stato 7 rubriche per 7 settimane | Il Tamburo di Kattrin per Aldomorto 54, la pagina che, giorno per giorno, la webzine ha voluto dedicare al progetto di Daniele Timpano.
Il Tamburo di Kattrin per Aldomorto 54
siamo qualcosa che non resta
frasi vuote nella testa
e il cuore di simboli pieno
Il potere – come libertà e palcoscenico – logora chi non ce l’ha…
9 maggio: si chiude Aldomorto54. 54 giorni di reclusione volontaria di Daniele Timpano nella cella del Teatro dell’Orologio, 54 giorni in cui il Tamburo di Kattrin ha seguito il progetto tramite il web. E anche in questa ultima giornata è incisiva l’impossibilità di vivere (fisicamente) l’evento teatrale. Un nuovo e ambiguo immaginario si insinua nel divario tra presenza e assenza: quello di un performer che ha provato a non “tenere le mani in tasca”, utilizzando e alimentando, in un vero e proprio corto circuito, quel materiale di cui si nutre il suo lavoro.
Parole. Schegge di memoria, tra percezione privata e dimensione pubblica. Silenzi. Quelli consegnati dalla storia di ieri e quelli che la storia di oggi sta scrivendo.
Riguardando il percorso cominciato 54 giorni fa, la prima cosa che salta agli occhi è che abbiamo cominciato con Il Divo. Scorrendo con il mouse verso l’alto, alla fine lo si incontra ancora, disegnato in una copertina del Male dal titolo beffardo La misura è colma. Accantonate le coincidenze, i rimandi e le sovrapposizioni temporali, rimane un dato: il progetto Aldo Morto – Tamburo di Kattrin, senza saperlo e senza volerlo, mi dice che abbiamo voglia di politica.
La tutina verde di Daniele, le foto tipo “apparizione della Madonna”, i video su youtube, la sua resistenza fisica e mentale, l’ostinazione e un progetto che continua a incrociare la storia di un teatrante con la grande Storia. Dopo 35 anni dal rapimento di Moro, i due partiti rivali arrivano a un compromesso, il 7 volte premier della Dc muore e in tv si ripropone Il Divo – video che ha anche aperto le rubriche di Kattrin, di cui restano tracce pubbliche e mail private, sms, tabelle di coordinamento, calendari, memo, problemi tecnici, nottate passate a leggere articoli del ’78 e a guardare film/programmi/riviste che potessero trovare una qualche corrispondenza con il progetto di un folle genio.
Quello che resta, a me, ancora una volta, è che a fare critica te lo insegnano soprattutto gli artisti.