Luci, ombre e spazio sonoro

Recensione di No Night No Day – opera astratta di Cerith Wyn Evans e Florian Hecker (53.esima Biennale di Venezia)

No ligth no day
un frame da No Night No Day

Ci sono dei luoghi che inevitabilmente, per abitudine, convenzione o semplicemente struttura architettonica, determinano in chi li visita delle salde convenzioni sulla loro fruizione. Entrando in un teatro all’italiana, per esempio, si prende posto in poltrona e rivolgendo lo sguardo al palco ci si aspetta di essere spettatori – ovvero di guardare – dei corpi in movimento, degli attori che cantano, degli strumenti agiti.

L’artista gallese Cerith Wyn Evans, invece, su commissione della Thyssen Bornemisza Art Contemporany (T-B A21) trasforma per tre serate il Teatro Goldoni in un cinema sui generis: il boccascena è chiuso da uno schermo sul quale viene proiettato un lavoro video, accompagnato dalla composizione elettronica di Florian Hecker, per la durata totale di 40 minuti.

Luci e ombre si alternano lentamente, in immagini altamente contrastate e, in parte, sfocate, nelle quali solo a tratti sembra intravedersi una figura umana. L’astrazione è totale e completamente in bianco e nero, a parte un brevissimo istante verso la fine del video, in cui un blu elettrico sostituisce il bianco accecante protagonista del lavoro: un flash di colore che non può passare inosservato, ma quasi troppo breve per poter lasciare un segno, un interrogativo, un significato negli spettatori.

Il coinvolgimento, infatti, è soprattutto acustico: l’intera platea del teatro è circondata da casse, che diffondono sonorità tridimensionali in quanto proposte attraverso 24 canali diversi – e quindi provenienti da altrettanti punti della platea non simultaneamente. Il risultato è una composizione che avvolge interamente il pubblico con suoni stridenti, metallici alternati a motivi più dolci e liquidi, suoni digitali ed altri che sembrano invece quotidiani, riconoscibili. Florian Hecker riesce, con il suono, a costruire uno spazio vero e proprio, aereo ma in un certo senso palpabile.

Un lavoro, quindi, più da sentire che da vedere, e decisamente ostico da seguire in tutta la sua interezza. No Night No Day è indubbiamente un’opera di sperimentazione ed astrazione interessante, ma che forse troverebbe maggior successo in forma di video-installazione – lasciando il pubblico libero di entrare ed uscire dalla sala di proiezione e scegliere se visionarla nella sua totalità.

D’altronde, lo stesso Wyn Evans, che da anni porta avanti questo suo percorso sull’astrazione, dice di sentirsi come John Cage quando affermò : “non ho niente da dire e lo dico”. Una dichiarazione di poetica forte, una premessa chiara che promette agli spettatori la visione di un’astrazione purissima, proprio perché non ha “nulla da dire”. Ma gli spettatori, proprio per le loro convinzioni precostituite, non credono del tutto a questa promessa fino alla completa visione del lavoro, uscendo dal teatro un po’ perplessi.

Visto al Teatro Goldoni, Venezia

Silvia Gatto