Cyrano: un eroe antiestetico

Recensione a Cyrano de Bergerac – regia di Daniele Abbado, con Massimo Popolizio

«Gli eroi son tutti giovani e belli» cantava Francesco Guccini; ed è un luogo comune ormai così dato per certo, che sembra impensabile immaginarsi un uomo forte, orgoglioso, pronto a lottare per i propri ideali, poeta abilissimo, finissimo pensatore con un nasone così grosso stampato in faccia tanto da doverlo definire: brutto. Forse sta proprio in questo il successo dell’opera di Edmond Rostrand: con Cyrano de Bergerac l’autore francese delinea un eroe reale, grottesco, irriverente, leale e commovente, impacciato nei sentimenti quanto fermo e sicuro nell’affrontare i nemici. Cyrano è un personaggio completo e complesso, «Filosofo, naturalista, maestro d’arme e rime, musicista, viaggiatore ascensionista, istrione ma non ebbe claque, amante anche, senza conquista», si definisce. Vive di contraddizioni, ideali e poesie che lasciano senza parole.Sotto la direzione di Daniele Abbado, Massimo Popolizio riesce senza dubbio a restituire tutte le sottili e fondamentali sfaccettature di questo personaggio. Autoironico e sarcastico, coraggioso e tenero: ogni sua battuta  o gesto regala un’emozione al pubblico, lo fa divertire e commuovere in un perfetto crescendo in cui più l’animo di Cyrano si svela, e più ci si innamora di questo eroe. Grazie alla sublime prestazione di Popolizio – una delle tante, bisognerebbe invero aggiungere -, il grande attore sa far affezionare lo spettatore sinceramente a questo eroe pronto a battaglie inutili, a lottare invano, solo per amore di un ideale, di un orgoglio raro, o di una donna per lui speciale. D’altronde, «Perché battersi solo se la vittoria è certa? È più bello quando è inutile, tra scoppi di scintille» dichiara Cyrano, congedandosi dal pubblico e dal mondo.

Un personaggio spiazzante, che mette in crisi i pregiudizi legati alla figura dell’eroe e, di conseguenza, un millenario canone che vuole la bontà per forza legata alla bellezza. Se il testo di Rostrand non vantasse più di un secolo di vita, si potrebbe definire Cyrano decisamente anti-hollywoodiano, e quindi inevitabilmente attuale: l’ossessione per l’estetica ha fatto forseperdere alla società qualcosa di più importante e meno vuoto. Valori che, ormai dimenticati, suonano come inediti e meravigliosi pronunciati, con virtuosismi poetici, dal povero e grandioso eroe.

Ma l’estetica torna – ormai per assuefazione si potrebbe ipotizzare – a circondare questo Cyrano, con una scenografia (di Graziano Gregori) statica, poco funzionale e convincente, ed una regia, dall’impianto abbastanza tradizionale e ben curato, forse troppo attenta a risolvere le singole scene per offrire una visione forte e d’insieme all’intera pièce. Verrebbe quasi da dire che tutto lo spettacolo poggi sulle spalle di Popolizio, che, coadiuvato da un cast più che decoroso, lo regge dall’inizio alla fine senza mai risparmiarsi.
Istrione
con meritatissima claque.

Silvia Gatto


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