
Far vivere di arte un posto altrimenti tenuto fuori, produrre collettivamente, piantare semi per futuri raccolti. Con particolare attenzione al pubblico, intercettarne tendenze, aderire allo spirito e i trascorsi del luogo. E non tralasciare la funzione evasiva del fare creativo, il trasposto altrove. Perché è il coinvolgimento del pubblico la traccia universale del mettersi in scena, evitando autoreferenzialità e vetrine di sorta. Pescando nella tradizione tutta italiana dell’adattamento agli umori, alle fisionomie, del posto di rappresentazione. Un po’ guitti e un po’ maestri, insomma.
Formazioni e mentalità di approccio scenico diversificate (una decina le compagnie e gli artisti coinvolti) per un obiettivo comune. Un bene, piuttosto, comune e condiviso. Diverso dal supportare un pensiero unico, un respiro ampio, invece, di libertà espressive, soggettive, apportate a un corpus d’insieme. Molecole di un atomo. Arterie di un unico muscolo pulsante.
Areté Ensemble, Compagnia ‘I Ragli’, I ‘Confusione’, ‘Topi Dalmata’, Filippo Arcelloni, Nadia Scarpa, Ernesto Orrico, Tom Corradini, Flavia Pezzo gli artisti coinvolti. E coinvolgenti. Invertendo termini e tempi della creazione artistica, favorendo un rapporto non mediato, diretto, con il pubblico partecipante attivo. Proseguendo, volendo giocare di rimandi, l’abitudine classico-greca ed ‘elisabettiana’ della platea rumorosa. Leggerezza e brio parola d’ordine.
Partecipazione attiva anche nei laboratori gratuiti (scrittura creativa, teatro, danza, bambini): l’esito dei lavori contribuirà alle ‘tappe’ del percorso ideato per domenica 1 settembre, quando le sale della struttura alberghiera ospitante, si trasformeranno in ‘habitat’ performativi. Mini spettacoli teatrali concepiti dalle compagnie durante il soggiorno tra le alpi carniche. Contaminazione, mescolanza di metodi e culture territorialmente e artisticamente non di compatibilità immediata.
Il teatro che, allineato alle tendenze contemporanee, fornisce cenni, spunti ideali, assottigliando personaggi e composizione drammatica, amplifica l’interazione con luoghi, lascia interpretarsi insinuandosi tra pieghe individuali.
Il teatro che rotolando su se stesso, pur innovandosi in tecniche e fruibilità, continua a riprodurre la vita, continua a far riflettere di e su di noi, materializzando cosa resta generalmente nel profondo, nell’io, nel sotteso oggettivo. Il teatro insomma che ci ripropone in sembianze quali vorremmo, ma non riusciamo a essere. Finestra su questi tempi ‘liquidi’, di monadismo. Non da guardare ma da percepire.
Emilio Nigro