10 Domande a… Carlo Cerciello

Carlo Cerciello

Carlo Cerciello

Incontriamo i registi presenti al festival Primavera dei Teatri per rivolgere le nostre “10 Domande a…”. Uno scambio di battute brevi ma prettamente significative per conoscerli meglio. Risponde Carlo Cerciello presente a Primavera dei Teatri con Il Presidente.

1. Come definirebbe il suo teatro?
Politico, come tutto il teatro. Penso che tutto il teatro sia politico, non facciamo adesso un’analisi storica del teatro per arrivare a questo, ma è chiaro che un teatro che non parli alla polis, all’uomo contemporaneo, anche con testi di tradizione, non ha nessun senso. È chiaro che la motivazione è sempre una motivazione fortemente politica, civile, sociale, non ha senso altrimenti parlare di teatro. Poi, si può parlare di spettacoli di evasione che hanno la loro dignità; però il teatro è un rituale e resta un rituale dell’uomo con l’uomo quindi l’uomo che parla all’uomo è preferibile che non dica troppe sciocchezze e che lo aiuti anche nella sua analisi esistenziale, nell’andare avanti, nel superare il dolore della morte. Anche questo è un modo politico di porsi.

2. Che cos’è il teatro di ricerca?
Secondo me è una fesseria dire “teatro di ricerca”, nel senso che non c’è il teatro senza ricerca. La principale ricerca di chi fa teatro sono le motivazioni per parlare all’uomo contemporaneo. Siccome nessuno di noi ha la sfera magica per cui può sapere immediatamente quale sarà il risultato, tutto il suo lavoro è un lavoro forte di ricerca, del segno, del significato e del significante per arrivare a una comunicazione con/verso l’uomo contemporaneo, con un colpo al cuore e uno allo stomaco. È necessario sempre tener presente il fatto che di fronte a te c’è un pubblico e il pubblico è una variabile assoluta e indipendente dal teatro. Quindi la ricerca è fondamentale perché non ci si può accontentare; e poi ti sorprende continuamente, ti sorprende l’autore, ti sorprendono gli attori perché è l’ultima vicenda creativa umana, la più profonda ancora.

3. Come lo spiegherebbe ad un profano?
Il teatro di ricerca è una formuletta coniata per il Ministero, anche un po’ per stabilire che c’è un teatro di serie A e uno serie B; sono formule burocratiche. Si parla tanto di teatro borghese: il teatro borghese è un teatro di gran dignità; Strehler ha dimostrato che si può fare teatro borghese facendo ricerca sul teatro borghese. Nulla non ha l’interpretazione, la passione, le piccole perversioni di chi lo fa: nel teatro si rispecchia l’uomo, quindi credo che sia impossibile prescindere dalla ricerca che è interiore, creativa. Lascerei questa formuletta vuota ai burocrati

4. Il Presidente in una frase.
È un testo sul potere. È però una visione un po’ diversa del potere: le vicende de Il Presidente erano ambientate sullo sfondo dei fatti della Baader-Meinhof, momento storico in cui c’era un potere molto contestato, molto forte; ma allo stesso tempo incrocia molto il contemporaneo e penso a quello che sta succedendo dai Paesi arabi fino adesso in Europa dove il sistema potere è in crisi, non ha più nessun rapporto con le persone. C’è un surplus di valore, cioè il testo fotografa l’implosione del potere, l’auto-corrosione, il vuoto, il soliloquio del potere che non ha più rapporti con nessuno e non può prescindere dalla nichilista visione del teatro di Bernhard che vede l’uomo sconfitto dalla morte, e quindi anche ogni sua cosa: anche il potere deperisce, incancrenisce.

5. Che cos’è per lei Primavera dei Teatri?
È un festival di resistenza oggi in Italia; il teatro di resistenza è quello che ormai viene fatto sulla pelle degli artisti. La cultura è una parolina un po’ vuota se non è piena di contenuto e l’attenzione culturale reale in genere in questo Paese non è molto alta. Fare teatro non “commerciale”, cioè un teatro che non corrisponde al facile consumo, perché non ha dentro il tale cabarettista o il tale uomo della televisione, significa rischiare; per esempio un autore come Bernhard – che di per sé è già difficile in Germania –, non si può pensare che possa avere un grande ritorno di immagine per cui è difficile proporlo. Un festival, una vetrina, come Primavera dei Teatri consente ancora tutto questo e non so dove trovino la forza viste le difficoltà; sono dei coraggiosi e noi siamo qui anche perché sono delle persone molto care. Sono stato già qui con Quartett tanti anni fa e ci portò fortuna perché arrivammo quasi all’UBU; poi con Stanza 101 lo vincemmo, fu un momento magico e allora c’era Franco Quadri. Anche questa dedica del Festival a Franco è un po’ nostalgica, un po’ per persone come me che l’hanno conosciuto nella sua estrema dedizione, passione sfrenata per il teatro, senza nessun altro tipo di interesse… Questo è un momento di vuoto perché era una persona molto importante per il nostro lavoro perché era attentissimo, sempre.

6. Se la sua vita fosse uno spettacolo teatrale chi sarebbe il regista?
Sono Io! (sorride, ndr) No… Mi piacerebbe che non ci fosse una regia involontaria, ma purtroppo c’è una regia involontaria che prescinde dalla mia; quindi non posso stabilire soprattutto i tempi e questa è una cosa che mi mancherà moltissimo, perché certo il tempo di fine cercherei di allungarlo.

7. Lo spettacolo che le ha cambiato la vita?
Il contagio
, la messinscena del romanzo Cecità di José Saramago col quale poi sono diventato amico; è stato un momento non soltanto di teatro ma di vita fortissimo. Per me José era un riferimento assoluto, proprio come uomo, scrittore, politico, un po’ per tutto. Mi ricordo una cosa che gli dissi, ve lo dico in napoletano: “mo’ posso pure morì”, nel senso che non capita spesso nella vita di incontrare un personaggio come questo – ancora non aveva vinto il Nobel, lo vinse in corso d’opera –. Mi ricordo che lui ci spronava continuamente e ci diceva “Io quando scrivevo non pensavo di vincere il Nobel con tutto quello che ho passato…; ci ha dato una forza incredibile per andare avanti e ci ha concesso i diritti per lo spettacolo, nonostante fossimo un piccolo teatro. Quello è stato un grande momento; l’altro è stato Quartett una sorta di esame di laurea: volevo affrontare un testo molto difficile e possibilmente cercare di non farne una sorta di masturbazione intellettuale perché non la amo; volevo che fosse diretto al pubblico, che il pubblico lo potesse apprezzare e potesse entrare nella magia di quel testo come vi ero entrato io. Pare che poi è andata bene ed è partita tutta la nostra avventura, molto contemporanea a Primavera – vincemmo il Premio Bartolucci come Teatro Elicantropo l’anno stesso di Primavera dei Teatri, nel 2001, insomma storie parallele molto vicine.

8. Uno scrittore che metterebbe in scena o a cui chiederebbe di scrivere una drammaturgia per lei?
Non saprei rispondere perché sono così innamorato del teatro tedesco… Io non ne faccio una questione di autori, a volte leggo delle cose anche di giovanissimi che magari sono ancora un po’ acerbi ma interessantissimi. Certo, quando affronti i grandi testi, quando attraversi un grande autore, entri in un mondo e non finiresti mai di metterlo in scena; penso a Shakespeare, Pasolini o Brecht: ci vorrebbe una vita per lavorarli tutti e lavorarli bene come tu vuoi. Quindi è complicatissimo pensare un autore per farsi scrivere una drammaturgia; poi talvolta può succedere ma per progetti specifici, questo sì. Amo tanto i testi in genere, a prescindere dagli autori: dipende moltissimo da quanto mi appartiene la cosa che voglio fare perché è difficile altrimenti partire dall’autore.

9. Potendo scegliere: teatro come sede della compagnia o nomadismo?
Noi abbiamo un teatro che è sede della compagnia e secondo me tutti dovrebbero avere un minimo di spazio proprio; poi il nomadismo è necessario per l’incontro, però purtroppo da come è fatto adesso il teatro in Italia il nomadismo sta per tramontare perché le spese sono tantissime e si sta riducendo quella che era una delle prerogative del teatro italiano, ossia lo spostamento, la tournée che è diventata complicatissima. Sono poche le risorse e i pesci sono tanti. Dello spazio c’è bisogno, dell’incontro c’è bisogno, ci sarebbe bisogno anche di un po’ di aiuto: non parlo delle sovvenzioni nel senso che bisogna aiutare e ci dobbiamo soltanto basare su questo… Basterebbero anche delle sane leggi sulle sponsorizzazioni, qualcosa che vada ad aiutare l’artista o decisioni più per bandi pubblici e non soltanto egemonizzati come sempre dalla politica: queste cose qui alla fine ti impediscono di fare.

10. Quali sono le possibilità che il teatro possiede e che lo fa essere un’arte fondamentale?
Principalmente il teatro è un rito uomo a uomo senza mediazioni che non si ripete perché ogni sera è diverso, perché si cancella, non resta: è proprio come un sogno, è come la vita e come la morte, finisce, non si ripete più; è un attimo: se tu sei stato partecipe di quell’attimo potresti essere stato partecipe di una magia infinita e quindi è come la vita. E poi ha un altro grande merito, almeno per noi: quello di dilatare il tempo della fine, perché sul palcoscenico ci illudiamo di fermare il tempo. Poi è cultura nel senso vero, tu conosci testi, gente, persone che lo fanno, sono orizzonti che si aprono. E poi metti in gioco te stesso: chi fa il mestiere dell’attore rasenta tutte le sere l’infarto e se traduci quella sofferenza in malanno perverso del quale proprio non puoi farne a meno allora diventa magia…

Biografia di Carlo Cerciello
Carlo Cerciello nasce a Napoli nel 1951. È attore in teatro, cinema, radio e televisione. Fonda nel 1996 il Teatro Elicantropo di Napoli, un piccolo spazio di 42 posti dedicato alla drammaturgia contemporanea, particolarmente connotato per il suo impegno politico e sociale, che nel 2007 è riconosciuto dal Ministero. Firma numerosi progetti e regie di successo, tra cui Il contagio, da Josè Saramago, Quartett di Heiner Müller, Stanza 101 da 1984 di G. Orwell e da Una storia italiana di S. Berlusconi, Guappo di Cartone di Raffaele Viviani con Nino D’Angelo, Genova 01 di Fausto Paravidino, ‘Nzularchia di Mimmo Borrelli. Numerosi i premi al suo attivo tra cui: il prestigioso Premio Giuseppe Bartolucci 2001, per l’attività del Teatro Elicantropo, una Nomination ai Premi UBU 2000 per la regia di Quartett, il Premio UBU 2002 per Stanza 101, il Premio ETI Olimpici del Teatro 2008 per Nzularchia, il Premio Hystrio 2009 per la regia, oltre ad una trentina di riconoscimenti per il teatro a Napoli. (Biografia gentilmente concessa dal sito primaveradeiteatri.it)

 

One thought on “10 Domande a… Carlo Cerciello

  1. pasquale says:

    Sono perfettamente d’ accordo sul fatto che il teatro borghese può essere politico…
    Sono d’ accordo su tutto ma mi chiedo: “Il teatro comico(Moliere, Goldoni, Feydeau…) è teatro politico o tearapeutico?
    Si potrebbe rispondere che anche LA TERAPIA, in fin dei conti è un fatto politico!
    pasquale calvino

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