Uno Sguardo solo potenziale

foto di Angelo Mengoli

Recensione a Lo sguardo di Amleto – Effetto Larsen

Effetto Larsen sotto la guida di Matteo Lanfranchi, affronta Amleto di Shakespeare, indagando il dramma dal punto di vista del principe di Danimarca (Lo sguardo di Amleto appunto) e concentrandosi sul rapporto tra piano reale e piano onirico che può emergere dal filtro distorto che è la mente del protagonista.

Le visioni del principe, i suoi incubi, i deliri ad occhi aperti, trovano concretezza sotto-forma di ombre. È il semplice e antico gioco che crea la retroilluminazione su un telo bianco e che permette di deformare le silhouette dei personaggi. Così si crea – seppur poco efficacemente – lo spettro del re e si tentano di risolvere le scene topiche della tragedia: dall’assassinio di Polonio, allo spettacolo dei comici e, alzato il telo da una parte, si svela una poco convincente pazzia di Ofelia. È sempre Matteo Lanfranchi a curare l’adattamento drammaturgico: il regista riduce e ricompone il testo originale e inserisce altri brani in un’ardua operazione di riscrittura che tenta, probabilmente, di avvicinare il testo a sé o al pubblico. Ci si chiede se sia davvero necessario modificare o “aggiornare” l’immortale linguaggio di Shakespeare, seppur parzialmente. Infatti riscrivere un capolavoro è un terreno scivoloso e anche solo facendo aggiunte si rischia di spaccare la parola in due registri separati e stridenti.

foto di Angelo Mengoli

Da Lo sguardo di Amleto emerge un’innegabile sensibilità registica, le cui intuizioni spiccano seppur intermittenti. Infatti è suggestiva la confusione sonora e visiva provata da Amleto durante il duello finale, in cui è tormentato dalle voci dei suoi “fantasmi”: dalla vendetta ordinata dal padre, alla voce della madre, alle ultime parole di Ofelia viva, allo zio e Laerte. Affascina anche il momento in cui Ofelia (Francesca Botti) attraverso la semplice gestualità si auto-infligge la morte e affoga. Le dinamiche tra i personaggi, però, poco approfondite, sono basate su atteggiamenti prevedibili in cui mancano originalità, forza e – spesso – pulizia di gesto e azione. L’impressione è che l’idea registica non sia stata tradotta efficacemente in azione e visione, rimanendo soprattutto potenziale. Lanfranchi va a disegnare uno spettacolo dalla superficie cedevole e a tratti maldestro: un lavoro che cade in cliché, gesti approssimativi e atteggiamenti oramai desueti che rimandano a un vocabolario teatrale molto tradizionale e poco credibile. Il coraggio inizialmente posto nell’indicare una nuova prospettiva su Amleto non è supportato da una forza comunicativa altrettanto originale e decisa.

Proposta come: “tragedia onirica per Piccolo Principe”, Lo sguardo di Amleto non è poi così lontano da una versione tradizionale e non molto convincente. Ma avrebbe potuto essere davvero un nuovo Amleto, forse rivoluzionario, attraverso la cui innocenza poter vedere un mondo trasformato, filtrato dai suoi occhi e dalla sua mente. Diverso dalla Danimarca shakespeariana che già conosciamo. Probabilmente irriconoscibile.


Visto al Teatro della Contraddizione, Milano

Agnese Bellato

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