Recensione a Seppure voleste colpire – di Roberto Latini
È nuda la scena, sono basse le luci, è profonda la voce di Roberto Latini che nella sala dell’Argot apre la serata del 12 ottobre, quarto atto di un programma di “resistenza teatrale” che ha visto alternarsi nello spazio romano per sei giorni consecutivi registi, attori, musicisti, giornalisti, danzatori, ospiti fissi e visitatori occasionali.
Seppure voleste colpire non è uno spettacolo, non è una rappresentazione; nessuno ha interpretato né raccontato, ma tutti insieme hanno combattuto, con appunti, oggetti, gesti, memorie, una battaglia comune. Non fruitore, non spettatore il pubblico, seduto ai lati della scena al pari degli artisti e illuminato nei passaggi da un pezzo all’altro, è protagonista muto, chiamato a manifestare la propria presenza. Frammenti shakespeariani precedono canzoni d’autore, note di chitarra seguono violenti spasmi corporei, le parole lasciano spazio ai silenzi.
Gli ospiti di Latini, anima del progetto, si avvicendano in monologhi tragici e riflessioni sociologiche, danze dolorose e canti popolari. Si percepisce la rabbia di Ismene, la non-eroina di Ritsos portata in scena da Elena De Carolis, fiori tra le mani e urla nella bocca. Scuote e turba la performance di Alessandra Cristiani, energica danzatrice, che appesantisce il respiro e inchioda il corpo al pavimento, batte e percuote la carne invocando su di sé una punizione. Mastica Alessandro Porcu – già attore di Fortebraccio Teatro – sacchetti di plastica e sarcasmo, lasciando a bambolotti-feticcio il compito di comunicare la sofferenza, la malattia che avvinghia il corpo. Raffaella Misiti e Stefano Scatozza, voce e chitarra degli Acustimantico, storico gruppo romano, riempiono lo spazio di note e parole, mentre Katia Ippaso, giornalista e scrittrice, si fa portavoce dell’odio di Antonio Gramsci per gli indifferenti, libro tra le mani e voce amplificata. Esce dalla penombra Latini per pronunciare al microfono – prima che venga atterrato – le parole di Ariel, spirito dell’aria, prese in prestito da La Tempesta di Shakespeare.
Gravidi di ideali, con finte pance gonfie di convinzioni, i manifestanti si spogliano delle difese, abbandonano le armi, per dedicarsi a un gioco che non esiste, passarsi palline da golf senza cercare la buca, senza perseguire un fine né uno scopo preciso. Se non quello di offrire il corpo agli occhi e le parole alle orecchie, con la determinazione di esserci, nonostante tutto, con la voglia sempre nuova di combattere, quotidianamente e indipendentemente dal risultato raggiunto.
Visto al Teatro Argot Studio, Roma
Rossella Porcheddu