
Per introdurre Das Weisse vom Ei / Une île flottante di Marthaler ricorriamo alle motivazioni che si adducono per la consegna del Leone d’Oro a quest’uomo perché fungono da riassunto esemplare: «Per il suo lavoro musicale in spettacoli in cui apparentemente la musica non appare. Per il suo senso dell’umorismo sempre intelligente che permette di unire tragedia, dramma e commedia in un unico mondo. Perché ci fa sognare da svegli. Per la fantastica creazione di spazi scenici unici creati in collaborazione con l’immancabile Anna Viebrock, una delle migliori scenografe della storia del teatro. Per la sua capacità di porre davanti a uno specchio la società europea lasciando che osservi la miseria e la meschinità dell’umanità che ci caratterizza e che ci sa raccontare così bene.»

Si respira tutt’altra atmosfera, più tesa e estremamente dura, in Die Ehe der Maria Braun diretto da Thomas Ostermeier e tratto dal film di Rainer Werner Fassbinder. Un lavoro dal sapore aspro che utilizza il recente passato della Germania del secondo dopoguerra per criticare un presente che continua a considerare il dio denaro come unico motore di una comunità altrimenti perduta. Dopo Il nemico del popolo visto alla Biennale 2013 e che molto ci aveva fatto riflettere sulla situazione politica e sociale dei nostri tempi (leggi la recensione), Ostermeier si conferma un regista attento all’oggi, un artista che vede nel teatro una possibilità, una lente di ingrandimento per leggere criticamente il presente.

ph Arno Declair
Maria Braun – interpretata dalla bravissima Ursina Lardi – è infatti una donna che grazie alla sua bellezza utilizza il proprio corpo dapprima per sopravvivere e poi, a causa della sua sete di ricchezza, per salire avidamente la scala sociale. Sposatasi durante la guerra con il soldato tedesco Hermann – l’integro Sebastian Schwarz –, Maria si ritrova di lì a pochissimo vedova (così crede inizialmente, ma poi scoprirà che il suo uomo è ancora in vita, andando a complicare la situazione). La donna inizia il suo decadimento morale concedendosi a un soldato americano prima e a un uomo d’affari poi: vittima di un momento storico incomprensibile e malato, la protagonista vive uno spaesamento continuo che le fa commettere degli errori, dei passi falsi (è complice dell’assassinio del suo amante che costringe il marito in galera) che a poco a poco si trasformano in cinico arrivismo. Non scorre più sangue in lei ma la volontà di potenza, di denaro, di una donna che rimane “fredda perché i tempi non permettono di avere sentimenti” come chiosa il suo personaggio e che riesce a comprarsi una casa tutta sua perché “si è fatta valere”. Ma nonostante la sua freddezza, Maria Braun rimane una vittima del suo tempo perché non considera che lo stesso arrivismo di cui si è nutrita possa avere contagiato anche le persone intorno a lei: ed è proprio il marito, alla fine della pièce, a mostrarle come chi sia costretto a subire prima o poi si riscatterà facendo lo stesso identico gioco senza alcuna pietà.
Sul fondale di una scena che ricorda il salotto di un hotel, scorrono le immagini di quella maledetta guerra, delle donne tedesche innamorate di Hitler, ma anche le riprese fatte dalla telecamera in scena tenuta dagli stessi attori – splendidi e affiatatissimi: uno scenario che fonde la storia passata con l’egoismo presente in uno spettacolo metateatrale che interroga il nostro oggi, in cui dovremmo smettere di pensare egoisticamente “per fortuna non siamo mica greci”, come dicono ironicamente i personaggi durante le loro battute, per salvarci insieme, prima di arrivare al rumore assordante dell’esplosione finale che non risparmia nessuno.
Visti al Teatro alle Tese e al Teatro Goldoni, Venezia
Carlotta Tringali