Recensione a Il castello (2° frammento: Il segreto di Amalia) − regia di Giorgio Barberio Corsetti
«Kafka (…) è la chiave che permette a Barberio Corsetti di aprire le sue scene-scatola e ricontestualizzare i totem-video, di riuscire a inondare con i suoi spettacoli le vie, le stazioni e le fabbriche della città»: così Stefania Chinzari e Paolo Ruffini descrivono in Nuova scena italiana il rapporto di Giorgio Barberio Corsetti con lo scrittore ceco, iniziato ormai in un (forse) lontano 1988 con Descrizione di una battaglia, a partire da tre racconti kafkiani. Parole che ancora oggi sembrano riassumere con semplicità e lucidità l’approccio del regista che continua a scontrarsi/incontrarsi con la poetica di un autore che così tanto ha dato alla letteratura contemporanea. Il castello (2° frammento: Il segreto di Amalia) prende vita dall’omonimo romanzo, già affrontato nel 1995 al Théâtre National de Bretagne: un’opera complessa, iniziata a due anni dalla morte dello scrittore e rimasta incompiuta, che Barberio Corsetti ha saputo adattare ad una scena mutevole, in grado di trascinare lo spettatore in un viaggio all’interno del Castello degli Ezzelini di Bassano del Grappa, nell’ambito di Operaestate Festival Veneto. Il lavoro costituisce la seconda tappa di un percorso avviato con Il castello (1° frammento: Frida), evento site-specific presentato al Festival dei 2 Mondi Spoleto 54.

Attraverso una magistrale orchestrazione degli spazi e la recitazione degli attori della compagnia Fattore K, Corsetti riesce a creare un universo mutante: fessure e spiragli mettono costantemente in discussione le certezze che lentamente prendono forma in K. e, di riflesso, nel pubblico. Il progredire della vicenda rivela la potenza di un mondo che attraverso la sua apparente stabilità è in grado di controllare la realtà, gli esseri umani e le loro scelte. Sin dalla scena d’apertura i personaggi rivelano infatti la loro natura di protesi di un potere superiore, dando forma ad abiti innestati su una scenografia che suggerisce l’esistenza di un’entità in grado di manovrare le sue marionette.

Nonostante la complessità della vicenda narrata, Giorgio Barberio Corsetti riesce a trasformare Il castello in uno spettacolo che pur rispettando i temi kafkiani, fa sorridere e scivola nella mente dello spettatore, trasportandolo in un sogno abitato da acrobati e giullari: un mondo caro al regista, già direttore artistico di Metamorfosi – Festival di confine fra teatro e circo, che in occasione della sesta edizione dichiarava che i baratri dell’inconscio sono «meglio scossi, a volte, dalla risata infantile che ti suscita un clown con la sua arte inqualificabile. E alla radice di tutto c’è magari Ovidio, o il Kafka che non riteneva riproducibile lo scarafaggio della sua Metamorfosi». Ed è con questo riso inquietante e destabilizzante che ci si risveglia da quello che potrebbe essere ugualmente sogno o realtà, lasciandoci alle spalle le mura del castello.
Visto al Castello degli Ezzelini, Bassano del Grappa
Giulia Tirelli