Alla fine degli anni novanta il cagliaritano Maurizio Saiu, tra gli esponenti storici della danza d’autore in Italia, portò per la sezione danza di Teatri 90 al Franco Parenti di Milano la sua Morte Araba, un assolo “tellurico e ancestrale” affidato all’epoca a Cornelia Wildisen e poi interpretato dallo stesso Saiu. Allievo di Merce Cunningham, il coreografo partiva dall’idea di sperimentare una danza estremamente breve quanto potente, recuperando l’impostazione degli assoli, nello stile della tedesca Mary Wigman, visti ricostruiti negli anni ottanta durante la sua permanenza a New York.

Da qui la volontà di creare un assolo che riprendesse queste suggestioni e fascinazioni – il cinema muto, l’esplorazione delle nozioni di staticità, monumentalità e frontalità tipiche dell’arte funeraria, l’esoterismo manierato dell’estetica orientalista – cucito sul corpo di Cornelia Wildisen, una sorta di dea-mater saldata su un tappeto finto orientale, che in 10 minuti svelava tutta la sua vertigine drammatica. Qui il video
Dopo 17 anni, il coreografo cagliaritano recupera le matrici di questa sua creazione e si mette in scena con la danzatrice Elisabetta Di Terlizzi con La Morte Araba: la genesi, coproduzione del Teatro di Sardegna e Tir Danza, celebrato da pubblico e critica all’ultima edizione del Festival Inequilibrio di Castiglioncello e ora in scena al Teatro di Massimo di Cagliari (mercoledì 4 novembre).
“Non un restauro filologico ma una vera e propria opera di riscrittura ed ampliamento” – scrive Carmelo Zapparrata su Arte&Arti – in cui “immersi in un’atmosfera tetra e oscura, i due inanellano un susseguirsi di scene misteriose, simili ai vari numeri di un cabaret, tra movimenti densi e aguzzi, salmodie arabeggianti e pantomine con tanto di teschi e bandiere americane, mentre lascive odalische ricevono fiori da ufficiali coloniali”.

Morte Araba – ph Franco Casu
Lo spettacolo è potente provocazione e si sente dentro la Sardegna, vibrazioni indefinite di corpi in estinzione, “umori” primordiali e aspri, una durezza che Saiu riesce a veicolare trasformandola in solidità e contenuto.
Come spiega Enrico Pau su La Nuova Sardegna, Saiu “torna più malinconico a fissare una materia oscura, uno spazio nero in cui ogni esotismo si è trasformato in semplici gesti che approdano a immagini rarefatte, eleganti come la danza di Elisabetta Di Terlizzi, e fisse come una scultura dell’anima, profonda e primitiva”.
La danzatrice “con pochi movimenti – scrive Tommaso Chimenti sul Fatto Quotidiano – in pochi passi, sbraccia come pendolo, argano, fusione di composizione e picchiettii, cerca il centro immersa in questa natura, in una foresta dove incessantemente piove. Parchi elementi di umanità contemporanea: un elicottero, noise industriale, campane di chiesa, come a dire guerra, lavoro e Dio. In tutto questo lei è fiore che emerge, bocciolo che, mentre tutto attorno è caduta e violenza, ascolta solo i propri bisogni primari di sopravvivenza”.
Nell’opera, realizzata con la collaborazione dell’artista sassarese Aldo Tilocca, in arte Greta Frau, emerge il grande inganno sull’Oriente, “troppo spesso visto – scrive Mario Bianchi su Krapp’s Last Post – come esotismo di maniera, esplicitato in modo immaginifico, mai mimetico, di grande e raffinata forza espressiva” stigmatizzato proprio nella star americana del cinema muto Theda Bara, Arab Death appunto.

Maddalena Peluso