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Personaggi, stereotipi e linguaggi: in dialogo con i Fratelli Dalla Via

I legami di sangue, i conflitti familiari, eredità e ereditarietà. La terra d’origine, la provincia, il dialetto. Sono solo alcuni dei temi affrontati con Marta e Diego Dalla Via al Teatro Astra di Vicenza in occasione della presentazione dello spettacolo Mio figlio era come un padre per me, lavoro vincitore del Premio Scenario 2013 (leggi l’articolo). Quelli che vi proponiamo sono stralci da un incontro che ha approfondito anche il processo artistico in relazione al concorso nazionale, e si è arricchita infine di un breve intervento di Sergio Meggiolan – alla direzione artistica dell’Astra assieme a Nina Zanotelli – in merito alla programmazione teatrale.

Mio figlio era come un padre per me - foto di Marco Caselli Nirmal

Mio figlio era come un padre per me  – foto di Marco Caselli Nirmal

La vostra è una compagnia che si forma e cresce in un nucleo familiare. Quali sono stati i percorsi formativi che vi hanno poi portato a lavorare assieme in teatro?
MDV.
Il mio è un percorso classico: ho fatto un corso di teatro e ho incontrato maestri che mi hanno spinta all’indipendenza artistica. Una delle mie maestre, Angela Malfitano, mi ha suggerito di ricercare un modo che fosse personale per riuscire a scrivere uno spettacolo, un metodo che partisse dal fatto che sono un’attrice, non una scrittrice. Anziché sedermi alla scrivania quindi ho prima costruito dei personaggi, li ho fatti parlare, e poi li ho presentati attraverso la scrittura. Così è nato il primo spettacolo Veneti Fair. Successivamente, quando ho pensato di scrivere un secondo progetto, ho chiesto casualmente una mano a mio fratello Diego. Piccolo Mondo Alpino parla di una realtà che conosciamo entrambi perché veniamo da Tonezza del Cimone, un piccolo paese in provincia di Vicenza. Inizialmente pensavo solo che Diego potesse aiutarmi a scrivere, ma poi le cose sono andate così bene che abbiamo proseguito il percorso artistico assieme, approdando oggi a Mio figlio era come un padre per me.

DDV. Il teatro ci appartiene perché nel territorio in cui viviamo, la provincia veneta, è molto presente come fenomeno sociale. C’è un piccolo teatro in ogni paese e c’è anche nel nostro. Sono quasi sempre luoghi abitati da gruppi amatoriali, che avvicinano le persone al teatro e in questo modo mi sono avvicinato anch’io. Non sono uno scrittore, ma nell’avventura dal lavoro al testo, ho usato conoscenze che derivano dal mio percorso di formazione in Scienze della Comunicazione.

Quello che abbiamo visto in scena tratta di una storia familiare ed è raccontato da due fratelli. Tuttavia le conflittualità presentate non si limitano al nucleo familiare ma parlano dell’attualità. Com’è nato questo progetto?
MDV.
Ho proposto un’idea: una storia in cui due figli decidono di fare un torto ai genitori suicidandosi. Mi interessa molto il tema dei legami di sangue, i misteri che celano e le somiglianze che ci sono tra genitori e figli o tra fratelli. Questo aspetto c’era anche nello spettacolo precedente (Piccolo Mondo Alpino, ndr) e quando mi si chiede di descrivere il nostro nuovo lavoro, dico sempre che parla di eredità e di ereditarietà. Inoltre per noi è molto semplice mettere in scena questo tipo di rapporto dialogico perché ricalca, almeno in parte, il nostro scambio nella vita quotidiana.
DDV. Partire da un’esperienza che si conosce molto bene è un modo per assecondare e sfruttare i propri limiti. Abbiamo fatto così anche in Piccolo Mondo Alpino, per quel che riguarda una certa tipologia di contesto sociale. Quando parlo di limiti intendo anche le capacità attoriali che ci spingono ad assecondare un uso della scena meno costruita. Non sono un attore e ci sono molte cose che non so fare sulla scena quindi parto da quello che so fare – e che faccio – comunemente nella vita. A pensarci bene questo procedimento lo usiamo anche nei confronti della lingua che portiamo in scena: il dialetto.

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foto di Marco Caselli Nirmal

Quali sono stati gli strumenti e i materiali che avete utilizzato per la costruzione drammaturgica?
MDV. Il titolo è preso dal finale di un film di Elio Petri, La proprietà privata non è più un furto, che si chiude proprio con la scena di un padre in altalena che continua a ripetere questa frase, «mio figlio era come un padre per me», ridendo.
DDV. Il gioco citazionistico è molto presente con richiami che possono riguardare il teatro o il cinema. Le musiche di Roberto di Fresco e del Teatro degli Orrori giocano un ruolo importante in tutto lo spettacolo. La musica non è solo un tappeto sonoro, ma agisce in scena come parte del testo.

Usate molto anche gli stereotipi del Veneto: la polenta, l’alcool, il leghismo…
DDV.
Quando dico che sono veneto non penso di essere Loris, il ragazzo dello spettacolo, ma riconosco delle dimensioni che mi appartengono. Lo stereotipo ci serve per osservare appunto le cose in cui non ci identifichiamo ma che riconosciamo attorno a noi.
MDV. Secondo me gli archetipi, come le favole, sono un mezzo perché tutti possano capire delle cose. Lo stesso vale per gli stereotipi. Tutti conosciamo la signora che va a messa e ne approfitta per parlar male degli altri. L’utilizzo di questi personaggi serve proprio per avere una materia comune con il pubblico, non solo italiano, ma anche all’estero. Noi abbiamo un grandissimo amore per il luogo in cui viviamo perché è una continua fonte di ispirazione. Nonostante si tratti di un paese piccolo, non ci limita anzi, mette a nostra disposizione tanti particolari per creare continuamente nuove ricette, nuovi spettacoli e nuovi spunti per la ricerca di personaggi.

Mio figlio era come un padre per me ha vinto il Premio Scenario 2013. Il prossimo appuntamento al Teatro Astra vedrà in scena un altro lavoro segnalato dalla giuria del premio: trenofermo a-Katzelmacher della compagnia nO (Dance first. Think later). Approfondiamo quindi, con Sergio Meggiolan – alla direzione artistica dell’Astra assieme a Nina Zanotelli – le motivazioni che li hanno spinti a inserire nella programmazione entrambi i lavori.
S.M. Premio Scenario ci dà la possibilità di analizzare le nuove tendenze del contemporaneo ed è incredibile come ad ogni edizione una sottile linea rossa colleghi i progetti finalisti: quest’anno le nuove generazioni hanno sentito l’urgenza di analizzare il presente partendo dalle specificità dei territori regionali fatte di suggestioni, stereotipi e soprattutto lingue, riscoprendo l’importanza della scrittura del testo e dell’utilizzo della parola.
È così che i Fratelli Dalla Via, con Mio figlio era come un padre per me, presentano una visione legata alla loro terra d’origine attraverso l’uso del dialetto veneto, mentre la compagnia nO (Dance first. Think later) ci riconsegna con i colori e le lingue  del nostro Sud  una visione dell’Italia alle prese con l’incontro con il diverso. Ci interessava durante questa stagione presentare questo tipo di percorso, ciò su cui si sta interrogando il teatro, soprattutto in relazione al territorio.

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foto di Marco Caselli Nirman

Cosa ha significato vincere il Premio Scenario 2013 e come si è sviluppato il lavoro nel percorso per tappe: dai 5 minuti della prima fase al debutto?
MDV. Abbiamo presentato i 5 minuti dello studio proprio sul palcoscenico del Teatro Astra di Vicenza, la prima fase è infatti affidata a delle Commissioni Zonali e le selezioni vengono fatte in ambito territoriale. Successivamente, per il lavoro di 20 minuti, è stato sviluppato ciò che è oggi – più o meno – l’inizio dello spettacolo; la costruzione della vicenda è stata presentata in modo cronologico, non abbiamo estratto dei frammenti ma abbiamo deciso di presentarlo – e costruirlo – nella successione, in modo da non svincolarlo drammaturgicamente.
DDV. Dai 5 minuti iniziali ad oggi, è stata presente anche una dimensione di viaggio: partecipare alle tappe di selezione ci ha consentito di entrare in relazione con altre compagnie che provenivano dal territorio nazionale. Anche grazie a questo confronto si è passati a sviluppare il testo nel corso dei mesi. È questa una delle specificità del concorso, ovvero di essere un lungo percorso insieme che dalla prima presentazione nel dicembre 2012, ha visto il debutto del lavoro completo nel dicembre dell’anno successivo.
Piace infine sottolineare l’importanza che ha avuto la presenza e la fiducia che ci è stata consegnata dagli operatori che hanno seguito il progetto fin dall’inizio, una volontà di scommettere e un sostegno che si è mantenuto costante nel tempo.

Intervista a cura di Elena Conti e Margherita Gallo

 

In chiusura dell’incontro, i Fratelli Dalla Via hanno ringraziato il pubblico con un regalo: Diego ha presentato Fattore P, un testo che la compagnia propone all’interno di una cena-evento teatrale, di cui riportiamo un breve estratto.

Passato penoso presso pianura padana, piaghe, peoci, pelagra.
Pietansa pocheta: pan, puina, patate, polenta.
Padre pezzente preoccupato: “pignatelo picolo par parecchi pargoleti piangenti”
Poro pelegrin prega patrono par proteggere piantagione, prende particola, penitente partecipa processione: “Pater patrum perdona peccati”.
Parrocchia potente, prete paragonabile podestà, pullula preziosi paramenti predica pasiensa: penuria provviste passerà. Promesso prossimo paradiso, però pansa perennemente provata.

Fattore P – Diego Dalla Via