Teatro Dimora Mondaino

Un dovuto ascolto

Balmorhea

Balmorhea

Recensione del concerto di Marco Mantovani – Antonio Rinaldi e dei Balmorhea

Riscoprire l’ascolto del corpo attraverso tutti e cinque i sensi era lo scopo di un pomeriggio, del primo maggio, passato al Teatro Dimora di Mondaino per l’evento Dimoralandscape#2. Partendo dal gusto, grazie a una succulenta merenda a base di cibi dei produttori del luogo, attraverso la vista del suggestivo spazio in cui si è svolto l’evento, l’Arboreto Sperimentale di Mondaino, si è arrivati all’ascolto delle melodie elettroniche di Marco Mantovani e del gruppo indie rock Balmorhea.

La sensazione di pace e quiete respirata all’esterno del Teatro Dimora è stata trasportata al suo interno dal pubblico che, con estrema serenità, ha atteso l’inizio dell’evento. A interrompere l’idillio è stata la cupa installazione visivo-sonora dal nome 24 ore in 24 minuti di Antonio Rinaldi, giovane performer, e Marco Mantovani, compositore di musica elettronica. Il progetto, costruito da Mantovani, consiste in 24 ore – un intero giorno – di registrazioni di suoni d’ambiente, che l’autore ha rielaborato facendo in modo che ogni ora di suono venisse condensata in 60 secondi. Questo lavoro d’unione dei minuti sonori, corrispondenti alle ore sonore, ha reso possibile la crezione di una melodia di 24 minuti che ripercorresse tutto l’arco di una giornata. I suoni d’ambiente esterno non erano puri ma sono stati assemblati con samplers e white noise, restituendo un’atmosfera inquieta, portatrice d’ansia, la quale è stata un’ottima base per le immagini visionarie create sulla scena da Antonio Rinaldi.

Quest’ultimo, portando avanti un lavoro profondo sull’illuminazione dello spazio scenico, è stato l’artefice di un poetico gioco di luci che ha accompagnato, dall’alba della melodia al tramonto della stessa, il passare della giornata sonora, componendo un quadro visivo capace di scuotere emozionalmente e intellettualmente. Il lavoro di Rinaldi mette in discussione ciò che si pensa un’ovvietà, ovvero la presenza di luce in un ambiente interno o esterno, ponendo l’accendo sul fatto che lo spazio, o il vuoto, esistono perché anche un solo flebile fascio di luce c’è per permettere che essi si manifestino o meno ai nostri occhi. Essendo talmente abituati alla possibilità di utilizzare la luce ovunque e quindi non più preparati a vivere in luoghi bui, abbiamo di conseguenza perso il contatto con essa, smettendo di provare stupore per la sua presenza.

Tornata l’illuminazione diffusa e riaperte le tende nere che avevano fino a quel momento coperto i grandi finestroni che circondavano il palcoscenico, tranne la ribalta, sono apparsi raggianti i Balmorhea. Il gruppo texano, con un fare ingenuo da tipico nerd americano, ha offerto all’audience l’ascolto del suo ultimo strepitoso disco All Is Wild, All Is Silent. L’immersione in paesaggi sonori al limite del mistico ha preso vita con Elegy, un duetto di chitarre eseguito dai fondatori del gruppo, Rob Lowe e Michael Muller, ed è proseguita poi con Baleen Morning, San Solomon, Coahuila, Settler e March 4 1831, pezzi in cui il pianoforte ha costruito la base sulla quale si sono incastrate le note degli archi e della batteria. Uno dopo l’altro, il geniale gruppo di Austin, ha suonato pezzi di sonorità acustiche e spunti cameristici, trasmettendo sensazioni d’intimità e dando la possibilità, a chi era in loro ascolto, di farsi trasportare in ideali luoghi lontani e solitari come il Texas, fonte di ispirazione del gruppo. I Balmorhea, vicini alle sonorità di band quali i Olafaur Arnalds, i Sigur Ros e degli Swod, sono gli artefici di composizioni che ricordano la musica pop, in quanto la struttura musicale delle canzoni è basata su un pianoforte e su una chitarra acustica. Ma loro sono anche autori, grazie all’ausilio di batteria, di violoncello e contrabbasso, portatori di atmosfere intense, sognanti, capaci di parlare ai luoghi nascosti dell’anima. Ciò che più affascina di questo sestetto americano è l’utilizzo che loro fanno degli hand clapping che, essendo intrisi di gioia, colorano le note di entusiasmo. Invece, lentamente, i giri di violino disarmanti dipanano la serenità acquisita in precenza, attimo dopo attimo. L’euforia iniziale che traspare dai gesti dei musicisti e dalle armonie create dagli strumenti delicatamente cede spazio alla malinconia.

Armati di umiltà e di costruttiva follia, gli artisti che hanno dato vita a Dimoralandscape#2hanno utilizzato il Teatro Dimora di Mondaino non solo come luogo in cui esibire la propria arte, ma anche come fonte d’ispirazione capace di dare sensazioni di profondo contatto materico con l’ambiente, in quanto è completamente immerso in un parco naturale.

visto al Teatro Dimora, Mondaino

Rossella Placuzzi