In questi festival c’è un momento estremamente vitale, imperdibile, che rinnova il senso dell’antica convivialità e ne restituisce il lontano valore di confronto come di confutazione. A quell’ora del mattino a colazione nell’Istituto Scalabrini di missionari per gli emigrati – alloggio straordinariamente promiscuo (artisti, critici, operatori…) di risate e notturne guerre acquatiche senza esclusione di colpi né rispetto di ruoli morti da tempo – scopriamo che gli emigrati siamo noi questi giorni, esuli dalle nostre vite solitarie giunti qui per condividerle con il pretesto del teatro, mai pretesto fu più opportuno dell’arte; lo sforzo più grande è cercare un angolino di gruppo in cui sedersi e cercare in quello del dirimpettaio il proprio sguardo ancora assonnato.
Continua a leggere su Teatro e Critica…