Lo scorso dicembre, in occasione di una residenza artistica dei Fratelli Dalla Via al Teatro Astra di Vicenza, abbiamo avuto la possibilità di riflettere con gli artisti e con la direzione sulle molteplici sfaccettature che emergono dalla programmazione dell’Astra: dalla relazione con il territorio al dialogo instaurato con il contesto nazionale, si manifesta un percorso volto ad annullare alcune distinzioni oramai remote, lasciando emergere le specificità della realtà vicentina. All’incontro erano presenti Carlo Presotto, direttore artistico de La Piccionaia – I Carrara Teatro Stabile di Innovazione, Sergio Meggiolan che, affiancato da Nina Zanotelli, cura la programmazione del teatro e Gloria Marini, responsabile della comunicazione.
Il fil rouge che collega la stagione 2013/2014 al percorso che da alcuni anni sta intraprendendo il Teatro Astra nel tentativo di raccontare un’umanità attraverso i linguaggi del contemporaneo, si declina quest’anno nel titolo SIAMO UMANI. Homo sum. Humani nihil a me alienum puto – ovvero – siamo esseri umani, niente che sia umano ci è estraneo.
Da Saverio La Ruina a Tindaro Granata, dai Motus a Fanny & Alexander, i protagonisti della stagione si mettono in dialogo con i molteplici soggetti coinvolti nei percorsi di formazione e approfondimento ideati dall’Astra. Generi e generazioni a confronto per ripensare il rapporto tra palco e platea e per restituire, sia al pubblico appassionato che alle realtà del territorio con le quali sviluppare tematiche e riflessioni, il valore dell’opera teatrale.
«Abbiamo iniziato a condividere dei percorsi, a fare strada insieme alle varie comunità di spettatori, perché – racconta Carlo Presotto – a un certo punto ci siamo interrogati sulla responsabilità verso coloro che consideravano la nostra presenza come un collettore, uno snodo di rete nella ricerca sui linguaggi artistici tra il resto del mondo e Vicenza, e viceversa. Il nostro pubblico è molteplice per età e motivazione: giovani e adulti; genitori e bambini che si interrogano sul loro rapporto tra generazioni e, per crescere insieme, cercano esperienze da condividere; poi persone che si occupano di educazione e formazione, e infine tutta l’area del sociale ovvero il teatro che crea comunità. Tutti questi elementi fanno sì che si crei una piazza».
Nasce in questo contesto il progetto Fabbricateatro, un percorso laboratoriale-formativo curato da Ketty Grunchi, che incrocia le tematiche degli spettacoli e vede la partecipazione di alcuni degli artisti in cartellone. Come anticipato, la circostanza che ci ha fatto confluire a Vicenza, è stato infatti un appuntamento inserito all’interno del progetto in cui i laboratoristi hanno avuto l’occasione di incontrare Marta e Diego Dalla Via, impegnati a lavorare allo spettacolo Mio figlio era come un padre per me, progetto vincitore del Premio Scenario 2013.
Se alla grande richiesta di persone che vogliono fare teatro, le realtà teatrali vicentine rispondono con una molteplicità di proposte di formazione, Fabbricateatro cerca di ampliare la sua progettazione districando una delicata questione che riguarda la partecipazione e la fruizione di spettacoli da parte di coloro che il teatro lo vorrebbero fare: «Abbiamo cercato di articolare la proposta formativa – spiega Sergio Meggiolan – cercando un modo per portare a teatro chi il teatro lo vuole fare, a vedere lavori riconosciuti a livello nazionale e linguaggi differenti, costruendo una scuola non con l’obiettivo di arrivare a un progetto finale che ha sì un’identità artistica che è quella di Ketty, ma che possa fare interagire questi ragazzi anche con altre modalità, che sono quelle degli artisti che passano all’Astra, rendendoli più partecipi».
Continua a ripresentarsi il concetto di partecipazione, lo stesso che consente a Presotto di fornire una lettura lucida dell’idea di “visibilità” non in quanto potere astratto, ma come poter fare. «La visibilità è crudelissima, chiede di stare dentro a delle cornici imposte dal linguaggio del visibile (come può essere quello dei media), l’altra strada è invece quella dell’invisibilità: lavorare non solo sul linguaggio dell’arte, ma sulla domanda che genera una necessità di mettere in scena degli argomenti. Quando si riescono a cogliere le richieste di un territorio e a portare in scena quel tema forte, il pubblico partecipa non perché richiamato da un meccanismo di convocazione mediatico ma perché vi è un passaparola a livello orizzontale. Si creano intrecci culturali grazie a dei percorsi che mettono in relazione abitanti e artisti, e per fare questo è necessario abitare tanti luoghi fuori dal teatro».
Gloria Marini si sta occupando di capire come presentare il lavoro al territorio, cercando di trovare di volta in volta delle strutture di riferimento che possano avere necessità di seguire la programmazione dell’Astra non tanto per il fatto che questi soggetti “comprino un biglietto”, quanto piuttosto per attivare una riflessione importante sul coinvolgimento di realtà interessate, con le quali sia possibile ideare progetti futuri.
«La comunicazione è una cosa in sé – spiega Gloria – né scontata né facile, per la quale è molto importante conoscere la realtà in cui si lavora, sia a livello locale che nazionale. Io vedo una prospettiva lunga e positiva su cui lavorare per fare emergere le connessioni possibili, aprire e moltiplicare queste reti, volta alla creazione di una mappatura, fondamentale per un terreno in grado non solo di ricevere ma anche interagire con la proposta teatrale».
Ciò che è importante quindi, e che emerge da questo prezioso confronto, è la qualità del mettersi in ascolto con il territorio, che contraddistingue il lavoro de La Piccionaia. È una situazione strettamente connessa alla specificità territoriale di Vicenza che – come viene sottolineato – ha vissuto negli ultimi 10 anni un’esperienza di democrazia partecipativa nata dal tema della base americana. «Sembra che non c’entri niente con il teatro, in realtà – conclude Presotto – dato che è il terreno in cui si lavora, questa esperienza ha creato occasioni in cui le persone si sono confrontate tra loro, tra diverse generazioni e diversi linguaggi sul singolo rapporto della persona con il mondo e questo ha generato una specie di laboratorio di cittadinanza. Se il sistema teatro si arricchisce di queste componenti, è naturale che gli artisti abbiano occasione di abitare i luoghi del territorio. Questa peculiarità di Vicenza, forse provvisoria, fa sì che il teatro possa essere uno degli elementi per dare voce a ciò che senti».
Elena Conti