b.Shot #3

La foto del giorno di b-stage (31 agosto)

b-stage 2012, il blog a cura del Tamburo di Kattrin per B.Motion di Bassano del Grappa, quest’anno vuole raccontare tutti i retroscena, i backstage, le curiosità che si nascondono dietro al festival. Abbiamo chiesto agli artisti presenti al festival, e ad altri professionisti e operatori giunti a Bassano come spettatori, di svelarci qualche segreto o trucco del mestiere, qualcosa che succede in teatro e che è impercepibile dalla platea.

Moreno Callegari, Simone Derai, Marco Menegoni (artisti, Anagoor)
Siamo un po’ “animisti”: diamo un nome a tutto, un nomignolo portafortuna per gli oggetti di scena o l’attrezzeria.
Ad esempio il nostro furgone si chiama El Gambaro o Gustavo; il tubo di Tempesta, Gonzago o Gonzales, a seconda dei casi, e il tubo di aspirazione è Bazzan; la mummia di Fortuny è La Pupa, invece Bazar è una cassettina che abbiamo dal 2001 e portiamo sempre con noi. Per cui i tecnici non ci capiscono mai: «adesso dobbiamo portare in scena Bazzan e metterlo lì» (ridono).

Elena Lamberti (operatrice)
Un segreto del mio lavoro, che è anche una difficoltà, risiede nel fatto che ho una funzione che non è di filtro: credo che se ci si occupa di distribuzione di uno spettacolo si debba sposare il progetto artistico di una compagnia; se lo fai solo perché sono famosi, così che abbiano delle buone possibilità di distribuzione, sei scorretto alla base. Credo che il direttore artistico che si relaziona con te debba sapere che gli stai proponendo uno spettacolo in cui credi; questo è il senso con cui ho impostato il mio lavoro: preferisco avere rapporti mirati con direttori artistici con i quali c’è una stima e fiducia reciproca e che sanno che gli proporrò uno spettacolo che mi piace, di cui sono sicura del valore.

Matteo Balbo (artista)
Spessissimo i momenti più veri (e talvolta più emozionanti) degli spettacoli nascono per caso, in scena, come risultante dell’improvvisazione dell’artista o del gruppo per risolvere un impasse, un problema tecnico, riparare ad un errore, sistemare le cose fuoriposto.
E anche se il pubblico di tutto ciò quasi mai se ne avvede, sperimenta una forte empatia con la compagnia, una sorta di esplosione d’energia. Di replica in replica poi lo spettacolo si arricchisce, e continuerà ad arricchirsi… se si riescono a cogliere e a far crescere i… regali del caso.

Roberto Rinaldi (critico, Rumor(s)cena)
Ho due o tre segreti da svelare sul mio mestiere. Il primo riguarda l’allenamento della memoria: la maggior parte delle volte non è possibile prendere appunti durante lo spettacolo, magari per via di un allestimento che richiede il buio completo o perché ti trovi a distanza troppo ravvicinata rispetto alla scena (e per scelta personale non voglio assolutamente apparire come quello che sta giudicando nel momento stesso in cui l’artista si esibisce, un po’ per pudore e un po’ per rispetto del lavoro dell’attore). Allora ho allenato una memoria visiva e auditiva con lo scopo di captare più informazioni possibili che servono poi per la scrittura della recensione.  È tutta una metodica della memoria che proviene dal mio altro lavoro, rifacendosi alle biografie di cura.
L’altro aspetto “segreto” del mio lavoro riguarda le interviste: è raro che io faccia domande dirette, ma cerco in qualche modo di instaurare un rapporto di empatia e fiducia, all’interno del quale non mi pongo subito nel ruolo dell’intervistatore, quanto piuttosto come una persona che desidera conoscere l’altro – non solo dal punto di vista professionale, ma anche a livello personale e umano. Questa tecnica che proviene dai colloqui – dove non fai domande dirette altrimenti rischi di chiudere immediatamente la relazione – mi sono accorto che dà i propri frutti. Può capitare spesso che gli artisti rispondano in maniera evasiva a domande dirette, mentre l’impressione che dall’altra parte ci sia qualcuno che presta ascolto e attenzione indipendentemente dal fatto che quelle informazioni gli possano servire per un articolo facilita la comunicazione assertiva. E ottengo quello che mi serviva: l’artista mi confessa le cose senza che io gliele abbia chieste. Ma non si tratta di un inganno, quanto piuttosto di un metodo che permette di sciogliere quella tensione iniziale che può esserci all’inizio di un incontro.
Infine, mi viene facile prendere appunti molto velocemente, senza aver fatto mai alcun corso di stenografia. È un’eredità che proviene dal mio passato di studente universitario, quando alle lezioni cercavo di prendere più appunti possibili. Anche questa tecnica ha a che fare con il mio altro lavoro, e più precisamente con la scrittura automatica utilizzata in campo terapeutico.
Poi, oltre ai “segreti del mestieri”, ho delle piccole abitudini scaramantiche. Tipo portare con me molte penne, sapete perché? Un giorno, di fronte a un direttore d’orchestra importantissimo che dovevo intervistare, all’improvviso mi si è scaricata la penna e non ne avevo altre con me; lui ha continuato a parlare e io ho dovuto far finta di scrivere, pensando e ripensando al grande sforzo di memoria che avrei dovuto sostenere per ricomporre l’intervista. Così adesso vado in giro con 5-10-15 penne che saltano fuori da tutte le parti.
Altra abitudine fra lo scaramantico e il rituale è che, mentro prendo appunti durante lo spettacolo, spesso faccio la “lista della spesa”: un elenco degli articoli che devo scrivere, che comprende tutti gli spettacoli che mi mancano, in ordine cronologico. La cosa strana è che a distanza di qualche ora o il giorno dopo la lista cambia e non procede mai nell’ordine che avevo stabilito, magari si inverte, il primo spettacolo da recensire diventa il quinto. È una cosa che mi dà calma e sicurezza. E mi aiuta: quando magari vedo uno spettacolo noioso o che non mi piace, mi permette di andare a pensare a un altro di cui devo ancora scrivere e sopportare così la visione.

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