L’invidia verso lo straniero

Recensione a Otello – Pantakin

Claudia Fabris

foto di Claudia Fabris

Otello è il diverso, lo straniero venuto da un indefinito ‘oriente’ che, convertitosi al cristianesimo, nella Repubblica Veneta riveste un ruolo rispettabile (generale a capo di un esercito) ed è innamorato – ricambiato – della fanciulla più bella della città. Una posizione davvero invidiabile, soprattutto da chi è invece balbettante e in continua attesa di promozione: Iago, il quale, non riuscendo a trovare realizzazione, concentra le proprie energie al solo scopo di distruggere l”immigrato”.

Scegliere di mettere in scena l’Otello di Shakespeare oggi, sopratutto nel nord est d’Italia, dove più è concentrato un pensiero politico di diffidenza e ostilità verso l’altro – l’immigrato extracomunitario –  non può essere una scelta non consapevole. Infatti la compagnia Pantakin da Venezia sceglie, ad esempio, di citare le “ronde”, inneggiate assieme alla Lega dal vecchio veneziano Pantalone.
I livelli narrativi, infatti, sono molteplici: inizialmente il pubblico si scopre ad osservare una compagnia di comici dell’arte che scelgono di mettere in scena l’Otello. Ovviamente a modo loro, con Arlecchino e Pantalone a completare la cerchia dei personaggi shakespeariani.
Utilizzando un interessante e duttile struttura scenografica lignea (che ricorda un castello per bambini), con cambi di costumi e di scena a vista, prende vita la storia nella storia. In una ritmica narrazione non priva di interruzioni causate dagli stessi comici che, per un litigio o un commento, riportano a galla il livello sottocutaneo della rappresentazione. La finzione è esplicita: dall’uso delle maschere messe e tolte in continuazione, a quello della sentinella-fantoccio che ha il solo compito di essere uccisa e spostata, fino ai simbolici nastri rossi sventolati ad ogni pugnalata. È un teatro che vuol condividere, senza celarla, la dimensione ludica e pura della finzione, in una inesorabile e, a volte, crudele trasformazione in sempre nuovi personaggi, che a lungo andare rischia di rendere fantasma ogni attore.

foto di Claudia Fabris
foto di Claudia Fabris

Funziona il lavoro drammaturgico di Roberto Cuppone, che convince nel non facile compito di fondere storie e tradizioni teatrali differenti e riuscendo, al contempo, a rivolgersi al pubblico attuale. Le belle maschere di Stefano Perocco di Meduna e Roberto Ledda sono molto espressive, inquietanti e piene di fascino; i bei costumi di Licia Lucchese sono duttili e fiunzionali. Aiutato dall’innegabile magia del Bastione Santa Croce, lo spettacolo diretto da Michele Modesto Casarin convice e rapisce un pubblico divertito e sinceramente coinvolto che ringrazia di cuore gli abili attori e i caldi musicisti del gruppo Calicanto, che assieme a Roberto Kriscak hanno fatto risuonare il vento notturno di Padova.

Agnese Bellato

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