Recensione a Fuorigico di rientro – Andrea Mitri
Lontano da qui, in un campetto di periferia, Andrea Mitri apre squarci su altri modi di vivere (il gioco e la vita), così prossimi ad ognuno eppure dal sapore antico, inarrivabile ormai. Fuorigioco di rientro, di cui Mitri è autore e interprete, è un viaggio in parte autobiografico nel mondo del calcio amatoriale – quello “vero”, così distante dagli scandali e dalla spettacolarità della Serie A – che attraversa, tramite le diverse declinazioni linguistiche, tutta l’Italia. Fra personaggi veri, se stesso, e altri ancora inventati, Mitri racconta di ragazzini alle prese coi propri sogni, che «vanno avanti a oltranza, fino a rimanere uno contro uno» e si dedicano anima e corpo al gioco scoprendo poi l’umano; di allenatori che insegnano il rispetto e di giovani che crescono; di giocatori, procuratori, ma anche di vari tipi di tifosi e gli amici di sempre; di partite, di ferite, di solidarietà e di quotidianità, in un percorso che vede il calcio penetrare tutti i momenti dell’esistenza e, viceversa, che mostra la vita impregnare le varie dimensioni del gioco, fuori e dentro il campo, anche oltre la tribuna, per riversarsi nel mondo di ognuno, anche di chi non ha esperienza e dimestichezza col mondo del pallone. La fusione fra sport e vita è forse l’innesco di questo spettacolo (lo stesso Mitri ha un passato calcistico di una certa rilevanza) e si propone come sua capitale strategia comunicativa, a tratti efficace e in certi momenti più intricata, forse difficile da intercettare per chi non gode di un passato calcistico.
Fuorigioco di rientro è uno spettacolo di grande semplicità, che cerca un impatto emotivo e che va segnalato per la scelta del contesto, in cui si possono ritrovare tanti momenti della propria giovinezza.
Il protagonista è Mirko Botteghi. E ovviamente il suo pallone, «pieno d’aria, ma per i ragazzini di tutto il mondo è pieno di sogni». Prima bambino nel campetto della chiesa, poi giovane promessa delle categorie di periferia e in seguito approdato al professionismo, il giocatore-interprete, infortunato e costretto ad abbandonare il calcio, ricorda i diversi momenti della (sua) vita, fra crescite e fallimenti, desideri e delusioni. La storia, costruita per scene successive che mostrano sfaccettature differenti dello sport (dall’allenamento al gol), di un sogno sempre più vicino e poi improvvisamente crollato per via dell’infortunio, arriva alla platea solo per momenti: essendo i vari frammenti decisamente contestualizzati al loro interno, la linea drammaturgica principale è a volte – forse volutamente – dispersa nell’affondamento nei dettagli di ogni singola vicenda.
La sfilata di ritratti di marcata impronta regionale – in cui si trovano veneti, pugliesi, napoletani, romagnoli, toscani e così via –, pur necessaria ad indicare l’universalità e l’intensità della vocazione localistica nostrana, è a momenti troppo calcata, diventando infine prevedibile: caratterizzazioni stilizzate così diverse, poste l’una accanto all’altra, rischiano di perdere la loro intensità specifica in una omogeneità diffusa.
Visto a Estate a Radicondoli
Roberta Ferraresi