J’imagine

J’imagine: una suggestione che diviene invito allo spettatore.
J’imagine: inesorabile come un metronomo, scandisce l’andare avanti, nella sua immobilità, di While We Where Holding It Together, spettacolo ideato e diretto da Ivana Müller – in scena nella sua versione francese a Marsiglia – organizzato da Marseille Objectif Dance, all’interno del festival actOral.10, festival international des arts & des écritures contemporaines.

foto di Delphine Micheli

J’imagine: e la mente si ritrova a volare tra gli alberi di una foresta alle corsie di un ospedale, per poi essere catapultata all’interno di una cellula rivoluzionaria, e ancora in tournée con un gruppo rock o con un gruppo di attori intenti a mettere in scena Robin Hood. Lo spettacolo (non a caso insignito, nella sua prima versione in inglese, del duplice riconoscimento al festival tedesco Impulse del premio del Festival Off e del premio del Goethe Institut) si rivela da subito lontanissimo da quello che generalmente si intende per danza: l’annullamento del movimento è totale, e il senso vive solo nelle parole ma, ancor di più, nella mente dello spettatore.

J’imagine: ripetono continuamente i cinque, bravissimi, performer, che dipingono in scena un tableau vivant la cui immobilità diviene sempre più sofferta e smossa da tremolii involontari ed inevitabili che fanno vibrare di verità l’intera messa in scena. Un gioco che diverte, emoziona – anche nelle sue esternazioni squisitamente metateatrali – in un continuo sorprendere lo spettatore svelandogli sempre nuove possibilità. Un gioco, sottile ed efficace, che si insinua negli anfratti più delicati che separano la percezione dalla realtà effettiva, svelandone la fragilità e, al contempo, l’enorme potenzialità. Ed è così che il movimento, obiettivamente assente nello spettacolo, passa in secondo piano perché a essere messa in moto è proprio l’immaginazione stessa del pubblico, che si ritrova a essere parte attiva e fondamentale dell’intelligente performance.
J’imagine è infatti l’elemento fondante di tutti i giochi dell’infanzia, ma è anche alla base di quel rapporto che si instaura, in teatro, tra attore e spettatore. E While We Where Holding It Together lo eleva, con coraggio, all’ennesima potenza. E proprio quando il gioco stava per diventare ripetitivo, ecco che piccole variazioni scombinano le carte: un attore parla con la voce di un suo compagno, nel buio un personaggio scompare, per poi riapparire al posto di un altro. Il tableau resta sempre uguale, pur cambiando di continuo. Il tutto con una delicatezza ed una lucidità estreme.

J’imagine è un ritornello — e come non pensare al celebre inno di John Lennon — che culla e rassicura il pubblico, che si lascia, così, portare ovunque. E dopo l’immaginazione, la riflessione prende il sopravvento: su quanto la nostra mente sia facilmente manipolabile, indirizzabile, e su quanto sia fragile il concetto di realtà e verità. È quasi incredibile quanto un gruppo di cinque attori, immobili, riesca a smuovere in poco più di un’ora; onore al merito, quindi, a Ivana Müller e alla sua I’M Company per aver davvero osato, con spiazzante semplicità, nella riuscitissima ed estrema opera di sottrazione che va a comporre una performance che, senza scadere in escamotage interattivi, coinvolge davvero, nel profondo, il pubblico.

Visto alla Salle Seita de La Friche La Belle de Mai, Marseille

Silvia Gatto

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *